Honor Swinton Byrne: «Io e mia madre Tilda» | iO Donna
Sei già abbonato? Accedi
Hai scelto di non dare il consenso alla profilazione pubblicitaria e del contenuto e di aderire all’offerta economica equivalente.
Accesso Consentless

Naviga il sito di Iodonna.it, Amica.it, Oggi.it, Living.corriere.it, Viaggi.corriere.it, Abitare.it e Style.corriere.it rifiutando tutti i cookie di profilazione ad eccezione di quelli tecnici necessari.

Hai cambiato idea e preferisci dare il consenso?1

Naviga il sito di iodonna.it con pubblicità profilata e senza abbonarti

Honor Swinton Byrne: «Io, mia madre Tilda e l’elefante nella stanza»

L’elefante nella stanza” l’ha definita la madre, con un’espressione inglese. No, niente di ingiurioso: quando Tilda Swinton discuteva con la regista Joanna Hogg sulla possibile protagonista di The Souvenir, la soluzione era lì, seduta sul divano accanto a loro, eppure non la vedevano… Così Honor Swinton Byrne si è ritrovata (caso? destino?) in una pellicola di culto per cinefili: gran premio della giuria al Sundance Festival, fra le pietre miliari degli ultimi venti anni secondo e Story of Film, il documentario di Mark Cousins. Pellicola che si è meritata anche un seguito: The Souvenir Part II, prodotto da Martin Scorsese, presto disponibile sulle principali piattaforme.

Un amore tossico

La storia? La giovane aspirante regista Julie, dopo un amore malato e la morte per overdose del fidanzato, elabora la sofferenza mettendo in scena la vicenda nel saggio di fine anno dell’accademia. Cinema nel cinema, insomma, che ha finito col bissare il successo del Part I: «Miglior film del 2021» nel sondaggio dell’autorevolissimo magazine Sight & Sound; «Capolavoro metatestuale ricco e commovente» per il Guardian. Persino i cani sono da premio: i tre springer spaniel Rose, Dora e Snowbear (che sono poi quelli di Tilda e Honor nella realtà) hanno ricevuto il Palm Dog Award, la Palma d’oro per la performance canina, al Festival di Cannes.

Honor Swinton Byrne con la madre Tilda Swinton in The Souvenir Part II, diretto da Joanna Hogg.

Del resto, se sei la figlia della divina Tilda (e di un drammaturgo come John Byrne). Se la Hogg è la tua madrina. Se sei cresciuta – pur vivendo nella natura scozzese, a Nairn – in un milieu internazionale, in un’aristocrazia intellettuale («Rigorosamente senza tv e ne sono felice, la sua influenza è negativa»). Se,se, se… Be’ un esordio con il botto non è fantasia peregrina. Per quanto non calcolato: Honor aveva appena finito le superiori (non un liceo qualsiasi, ma la Drumduan Upper School, fondata dalla Swinton per lei e il gemello Xavier affinché potessero continuare gli studi con un’impostazione steineriana, libera e senza lo stress dei test), stava lavorando da una fiorista e programmando un viaggio come volontaria in Namibia in attesa di entrare all’università di Edinburgo quando si è trovata come… l’elefante nella stanza.   

Honor Swinton Byrne

“Studio psicologia”

Ora la sua strada è segnata: sarà attrice. 
No, no, no. Non ho deciso e non credo che deciderò. Mai ho pensato: voglio essere questo e nient’altro. Sto studiando psicologia, intendo continuare. Recitando, qualora capiti.

La psicologia può aiutarla a progredire nella recitazione.
Mi aiuta a progredire come essere umano. Capisco di più me stessa, chi mi circonda. Il che contribuisce a sviluppare l’empatia. In fondo, recitare è essenzialmente questione di empatia: mettersi nei panni di un altro. E dare all’altro qualcosa di sé: io, come Julie, sono molto emotiva e ipersensibile, rimugino troppo. 

Honor Swinton Byrne con la mamma Tilda a Cannes lo scorso anno

Le sarà costato girare la cruda scena di sesso, con tanto di sangue mestruale.
Sì, però non è gratuita, anzi: rappresenta una tappa del processo di guarigione del personaggio. È realistica, e l’imbarazzo è parte della vita. Sbagliare è salutare, la crescita personale procede per tentativi ed errori. Mi piacerebbe che ai ragazzi che vedono The Souvenir passasse questo messaggio: sii paziente e gentile con te stesso; se non lo fai tu, nessun altro lo farà. Sei il tuo miglior amico.

Cosa la trattiene dal buttarsi definitivamente nel cinema? Che timori ha?
L’Ego! Che non riguarda solo gli attori, riguarda chiunque. Studiando psicologia so che non va negata l’importanza dell’Ego, purché sia equilibrato: bisogna guardarsi dal dilagare eccessivo.

Debutto con Guadagnino

E come mantiene l’equilibrio?
Oh, mio Dio, credo di non aver incontrato tante persone che avessero trovato il giusto bilanciamento! Comunque, ancora una volta, questa è la vita e io sto imparando, ci sto lavorando… (ride).

Cosa ricorda della primissima esperienza sul set, nel 2008, in Io sono l’amore di Luca Guadagnino?
Conosco Luca da quando ero letteralmente così (indica l’altezza di un neonato)! Ho un flash di me – a quattro o cinque anni – e lui mentre balliamo in cucina a Nairn sulle note di The Last Time I Saw Richard di Joni Mitchell…  

Un flash delle riprese del film Io sono l’amore?
Avevo dieci anni e compaio per un secondo appena… Ero così nervosa! Dovevo guardare in camera e invece continuavo a guardare Luca. Hanno dovuto tagliare quasi tutto! 

Decisamente nessuna attrazione fatale per l’obiettivo.
No, decisamente no (ride).

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA