Hi, Mom

Hi, Mom

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Hi, Mom è il maggior incasso della storia del cinema diretto da una donna: elogio della famiglia e celebrazione dell’identità cinese nel corso del tempo il film di Jia Ling, al di là delle sue qualità artistiche, è un prodotto che non può che spingere a interrogarsi sul nostro sguardo occidentale ancora incapace di comprendere il più vasto mercato mondiale dello spettacolo, la Cina. Al Far East 2022.

Grande Madre Cina

Jia non è mai stata una bella bambina e, cresciuta, è una diciannovenne sgraziata con pochi successi scolastici. Per rendere fiera sua madre Li, Jia arriva a falsificare un documento che attesta un’inesistente ammissione all’Accademia di Arte Drammatica: smascherato il falso durante una riunione di famiglia, Jia sente ancor più di deludere continuamente sua madre. La verità invece è che Li adora sua figlia e le due ridono assieme un attimo dopo, andando in bicicletta, finché una distrazione conduce alla tragedia: investita da un camion, Li è in fin di vita. Jia piange al suo capezzale in ospedale quando accade una cosa ancora più incredibile: dal 2001 Jia si ritrova nel 1981, un anno prima della sua nascita, e conosce sua madre ventenne… [sinossi]

Esordio alla regia di una celebre attrice e stand-up comedian cinese, Jia Ling, Hi, Mom è il maggior incasso della storia del cinema diretto da una donna: con i suoi 850 milioni di dollari, il film ha scalzato la Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins con i suoi 822 milioni. La regista donna che ha guadagnato il primo posto nella gara della remuneratività non è americana o europea, ma cinese. Non solo: Hi, Mom è a oggi il terzo maggior incasso di sempre realizzato nel mercato cinese e tutto questo nel 2021, il secondo anno della pandemia. Dove i cinema chiaramente non sono stati chiusi in tutto il globo. Infine, per restare alle annotazioni (forse) esteriori, vale la pena dire che la regista, al suo primo film in questo ruolo, è una personalità comica molto famosa nel Paese del Dragone il cui sistema culturale, produttivo e commerciale, evidentemente si muove in maniera non troppo diversa dal nostro: Ling ha per esempio partecipato svariate volte al CCTV New Year’s Gala, il grande show della tv cinese ossia il programma televisivo più visto del mondo. Il mondo va davvero a Ovest, come cantavano i Pet Shop Boys? Forse questi primi dati introduttivi all’analisi di Hi, Mom basterebbero a riposizionarci nel globo terrestre, fornendo informazioni altamente rilevanti per una corretta visione di cosa sia oggi il nostro sistema culturale rispetto a quello, ormai altamente strutturato, della superpotenza cinese. Sembrerà strano, ma in tempi in cui la geografia politica è diventata pane quotidiano, è difficile vedere Hi, Mom senza farsi molte domande su cosa sia, in prima istanza e fondamentalmente, il cinema. Su quale sia il suo insostituibile ruolo sociale e politico e dunque propagandistico. Soprattutto di fronte a un campione d’incassi di questo livello, in un mercato – quello cinese – che ancora in tanti tendono a sottostimare se non snobbare.

Hi, Mom è innanzitutto una storia commovente che promuove i valori confuciani della famiglia: l’amore per la madre da parte di una figlia (interpretata dalla stessa regista), che pensa di averla delusa, si trasforma in un viaggio nel tempo per spingere la genitrice ad avere una vita migliore, anche a discapito della propria stessa nascita. Se è vero che la Cina di recente ha utilizzato svariate volte l’escamotage del viaggio nel tempo (per esempio Goodbye Mr. Loser, 2015, diretto da Yan Fei e Peng Damo), è indubbiamente vero che il film di Jia Ling mutua due classici hollywoodiani non a caso degli anni ’80, come Ritorno al futuro e Peggy Sue si è sposata, facendone quasi una crasi. Il racconto autobiografico di Ling (la cui madre è davvero morta nel 2001, prima che la regista diventasse un’attrice comica) compie un grande balzo all’indietro, andando dal 2001 – quando la regista, classe 1982, aveva 19 anni – al 1981, un anno prima della sua nascita: in un viaggio ovviamente impossibile si compie il desiderio di una figlia di dare “istruzioni” a sua madre per avere successo e agio, per prendere quella “sliding door” che non ha intercettato (dunque un viaggio molto diverso da quello di Marty McFly che deve, in ogni modo, far conoscere i propri genitori per poter esistere); ugualmente in questo trapassare il tempo si compie però anche l’amore più puro di una madre verso una figlia nella determinazione “coppoliana” che le scelte siano motivate da ragioni insondabili magari ma qui ed ora ineluttabili e non sostituibili. Commozione, ruoli che si mescolano e apparentemente ribaltano, Hi, Mom è una commedia tenera sui rapporti d’amore tra figli e genitori, qualcosa di molto importante per la struttura sociale cinese. Oltre a questo, c’è un aspetto di devozione per una Madre ancora più alta, quella Cina che ha attraversato il tempo cambiando e restando sempre se stessa. Jia Ling nel suo balzo temporale approda in una fabbrica, con i suoi alloggi comunitari e le sue attività collettive, di inizio anni ’80, l’era delle riforme di Den Xiaoping – l’anno in cui la regista è nata è anche l’anno della “Costituzione del 1982” – molte delle quali sia a livello istituzionale che culturale daranno una forte spinta alla creazione della Cina “moderna” che poi diverrà contemporanea. Nel film gli operai stanno bene nella fabbrica dove c’è addirittura un’esule dall’Unione Sovietica che preferisce Pechino a Mosca, e il Partito, che tutto governa e decide, è visto in fabbrica con riverenza e fantozziano timore ma più al fine di ottenere “di più”, di “fare carriera”, che non per la sua capacità o volontà punitiva. Tutti insomma – pare raccontare Hi, Mom – avevano un proprio posto sereno nella Cina di 40 anni fa e nel film non ci sono mai vere asperità. Jia, approdando nel 1981, ritrova non solo sua madre ma alcuni suoi parenti e persone che conosce: tra queste, per esempio, una zia divenuta poi ricchissima e che nel 2001 ha mandato sua figlia a studiare regia all’UCLA di Los Angeles. Il personaggio non è “negativo” in senso assoluto, ovvero non si tratta di una persona cattiva: semplicemente è una persona ambiziosa e, scoprirà Jia, lo era anche da giovane, cosa che ha motivato la sua carriera nelle logiche di promozione del Partito.

Un film commerciale e popolare del 2021 può insomma ben mostrare che se, da una parte, il Partito Comunista (e Unico) assicurava a tutti protezione e frugale sicurezza, dall’altra come in ogni consesso umano gli ambiziosi tendono ad emergere anche se non sono i più meritevoli, o quelli che veramente incarnano i sani valori della Cina confuciana, ma sono semplicemente i più ambiziosi. Il sistema cinese non nega i caratteri e i difetti individuali. E il “sistema”, come tutti i sistemi, promuove spesso questi ultimi. Ma nel viaggio del tempo, Jia toccherà con mano la semplice vita degli anni andati, che noi percepiamo in “bianco e nero” ma erano invece molto colorati, in cui il collettivo era unito e tutto sommato felice. E il Paese era pronto a entrare in una decisa, determinante, industrializzazione (uno dei personaggi andrà a lavorare a Shenzhen che negli anni ’80 diventerà “zona economica speciale” e avrà uno sviluppo enorme). Ma i tempi in cui la madre di Jia è cresciuta erano ancora tempi in cui il desiderio fondamentale era avere una figlia sana e felice: a differenza di quanto Jia – già abituata a leggere la società in termini di “perdenti” e “vincenti” – possa pensare, sua madre non ha mai desiderato successo e ricchezze né per se stessa né per la propria bambina. Ma solo una vita serena. Questi, insomma, sono i valori cui la Cina deve guardare (anche per non coltivare in seno a se stessa quella classe che manda i figli a studiare in Occidente), di cui la Cina non si deve dimenticare. Se il 1981 è infatti quasi idilliaco, nel 2001 la Cina è ovviamente un Paese di possibilità ma anche di maggiori possibilità di devianze dai valori fondamentali. E andare a Ovest, come cantavano i Pet Shop Boys, non è per forza una grande idea (come in maniera molto differente suggeriva però anche Al di là delle montagne di Jia Zhangke). Il successo stratosferico di Hi, Mom deriva forse dall’essere una commedia commovente e di buoni sentimenti ma anche dal fatto di essere un elogio ai valori culturalmente fondativi di un Paese che – legittimamente – si pensa un Grande Paese, capace di resistere coriaceo nel tempo specie e soprattutto se non tradisce la propria identità più autentica e profonda. Hi, Mom ha avuto l’evidentemente apprezzata qualità di unire, partendo dalla storia personale della sua regista, la vicenda individuale e famigliare con quella della Cina. E soprattutto con la rappresentazione che lo spettatore cinese medio desidera vedere sullo schermo.

Appare chiaro che il “giudizio” sul film in sé risulti residuale. È bello, Hi, Mom? Probabilmente no, infarcito di troppi buoni sentimenti, fondamentalmente prevedibile nel suo sviluppo, con effetti di post produzione di grana molto grossa e colori sparati, momenti ridicoli (il momento in cui Jia si catapulta nel passato, piovendo dal cielo, è di matrice cartoonistica e non delle più raffinate), rallenty retorici. Ma a suo merito il film ha i tempi efficaci di una commedia scritta per scorrere via e, per chi ha voglia di commuoversi, scene che spingono alla lacrima facile. Vale la pena vedere Hi, Mom? Probabilmente sì, intanto per l’importanza commerciale del film nel più grande mercato di consumatori di cinema che esiste al mondo, la Cina. Ma anche come esercizio di riposizionamento di noi occidentali, che ci pensiamo padroni della produzione culturale e della sua legittimazione, mentre altri sistemi e strutture macinano cifre ragguardevoli raccontando storie in cui una fetta consistente di mondo, differente dal nostro, si ritrova e si rispecchia.

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