Gustav Mahler giunge a un punto della storia della musica in cui l’opposizione fra musica “pura” e “a programma” può finalmente tramontare. La presenza di un “programma” poi ritirato per la Terza sinfonia può esserne in fondo la dimostrazione: il significato musicale può essere inteso con o senza programma, egualmente.
Nell’analisi è tuttavia proficuo affidarsi alle note dell’autore, che ci presentano un percorso chiaro e utili riferimenti attraverso gli atipici sei movimenti di quest’opera monumentale:
In termini di durata, la sinfonia ha una distribuzione simmetrica ma chiaramente eccentrica, con due movimenti da oltre trenta minuti agli estremi (primo e sesto) e un’antologia di episodi più brevi a congiungerli. Usando termini cari alla filosofia antica e lasciandosi suggestionare da questi titoletti, i due movimenti estremi – pilastri della struttura della sinfonia - potrebbero essere tradotti in Fisica e Metafisica, e l’arco di volta che sta in mezzo costituisce dunque il passaggio dall’una all’altra.
Fisica da intendersi come φύσις, Natura sensibile, e Meta-fisica come ciò che va “oltre” al sensibile. Lo snodo fondamentale tra le due è l’Uomo, che fa la sua comparsa al termine del terzo movimento e professa il suo verbo – con le parole dello Zarathustra di Nietzsche – nel quarto, cioè esattamente nella cerniera centrale della struttura. Per rocce, piante e animali non c’è metafisica, è l’uomo con il suo pensiero e la sua anima a introdurre la metafisica nel mondo per proiettarsi verso ciò che lo trascende: gli angeli e l’amore, cioè Dio (l’analogia Dio-amore è di Mahler stesso, dalle note che scrisse all’amica Natalie Bauer-Lechner). Questo slancio verso la trascendenza, che rilegge l’intero creato in ottica evolutiva e spiritualistica, è comune a tutta la poetica di Mahler.
Qui torna utile anche l’analisi strettamente linguistica e musicale, poiché Mahler è molto rigoroso nell’uso di intervalli e semantiche per tutto il corso della sua produzione compositiva. La Natura è spesso associata a intervalli perfetti, cioè quarte e quinte giuste, come nel celebre Naturlaut che apre la Prima sinfonia (con reminiscenze dell’incipit della Nona beethoveniana) e ritorna sovente anche nel primo movimento della Terza. La quarta e la quinta giusta portano con sé una forte identità ma una mancanza di definizione, di carattere, in quanto sono intervalli comuni sia al modo maggiore che al modo minore. Non a caso il primo movimento ha una forte consistenza tonale sul re e segue blandamente anche una forma-sonata, ma non si sofferma mai in maniera marcata sul gioco fra maggiore e minore, evidenziando piuttosto l’identità comune a tutto il materiale tematico. Una forma di panteismo (il movimento è dedicato a Pan d’altronde), che aderisce perfettamente all’immagine della Natura naturata. Al termine del percorso panteistico busseremo invece alle porte di Dio, egli stesso Natura, ma naturante, spirituale, creatrice.
Comprendiamo così la struttura quasi ciclica del primo movimento, che tende tuttavia a richiudersi e ritornare su se stesso (la ripresa è letteralmente annotata come “Wie zu Anfang” della frase dei corni d’apertura). Il movimento finale invece – con largo uso delle armonie per terze e del contrappunto – sarà capace di un’ascensione continua e sublime. L’aspetto in comune ai due movimenti estremi è in ogni caso la forte fiducia nella tonalità, che rimanda idealmente al concetto comune di “Ewigkeit” (Eternità) nel divenire. Un tema che ricorre esplicitamente nei due testi della sinfonia: nel quarto movimento con il nietzschiano “alle Lust will tiefe Ewigkeit” (ogni desiderio vuole profonda eternità) e nel quinto con “die himmlische Freud' die kein Ende mehr hat” (la gioia celestiale, che non ha fine). Vedremo come queste affermazioni di eternità spesso ricorrano su ripetizioni di intervalli di terza (per lo più maggiore), a dare compimento alla ripetizione (sì eterna ma “vuota”) delle quinte giuste originarie. Sono terze i bimm/bamm dei bambini, sono terze i timpani solenni che scandiscono l’illuminazione finale (e saranno sempre delle terze anche negli analoghi timpani del climax del Ruhevoll della Quarta sinfonia). Alla terza maggiore ci si deve arrivare, non è scontata, non è l’origine, è il risultato teleologico del percorso. L’eternità è già in nuce nel Naturlaut iniziale e nel suo ripetersi cieco e sordo, ma deve ancora essere “guadagnata”, accettata e redenta nel dolore, nell’ambiguità delle terze.
La Natura, la Fisica, ha principio e fine, come nel ciclo continuo di stagioni, morti e rinascite (il primo movimento simboleggia nelle parole di Mahler anche la lotta continua dell’estate contro l’inverno), ma anche come nell’Eterno Ritorno nietzschiano esplicitamente citato dal quarto movimento. La Metafisica invece non ha inizio né fine, principia nella stessa misura in cui “inizia” l’ultimo movimento della Terza, con una frase degli archi che sembra essere stata lì da sempre e pare semplicemente rivelarsi in quel momento all’ascoltatore. Una presa di coscienza, come solo l’Uomo può averne in quanto partecipe anche della Natura naturante e non solo di quella naturata. Una presa di coscienza come l’accettazione attiva dell’etero ritorno del Superuomo di Nietzsche.
Dopo questa introduzione su una possibile lettura complessiva della sinfonia, l’analisi continua movimento per movimento.
Primo movimento:
La struttura del primo movimento è tutto sommato semplice in quanto ricorsiva, se non ci lasciamo distrarre dalla sovrabbondanza di particelle melodiche – rese quasi indistinguibili per l’omogeneità di fondo del materiale musicale – e dalla voluta caoticità di alcuni passaggi. Da subito è evidente un contrasto fra una prima esposizione distesa da parte dei corni all’unisono e una successiva negazione e distorsione dello stesso materiale tematico da parte di archi gravi, tromboni e soprattutto trombe. Più nel dettaglio partiamo dall’importantissima prima frase dei corni:
Notiamo questo carattere di omogeneità dovuto al “marcato” su tutte le note e all’enfasi (nelle durate) sui pilastri armonici di re e la (l’intervallo è una quinta). Identifichiamo inoltre alcuni elementi che ricorreranno di frequente nel movimento:
Già dopo poche battute questo tema dei corni s’infrange: per quattro volte tenta la salita identificata dalle ultime tre note della cellula “blu” e altrettante volte è tagliato fuori, prima da tre intervalli secchi in ff degli archi gravi, per lo più con quarte giuste, poi da uno scoppio dei piatti. La frase dei corni precipita in un la grave, per lasciar posto a un cupo ondeggiamento armonico dei legni che ritroveremo poi nel quarto movimento. Nel silenzio, increspato dal sordo rullo del timpano, emerge il materiale che abbiamo definito “contrastante” e che include due parodie degli elementi precedentemente marcati in giallo e blu (Ascolta):
Una sorta di gruppetto con trillo beffardo al centro, inaugurato da fagotti e controfagotti
Una salita, questa volta con intervalli doppi e quindi con una punta dissonante
I corni riprendono il richiamo del risveglio (sempre le tre note finali dell’esempio “blu”) e sempre senza esito, arrivando a ripetere anche il gruppetto, questa volta in inversione discendente, con evidente sapore di sconfitta.
Questo primo contrasto oppone elementi che mostrano insomma di avere molto in comune, sia nei timbri (preponderanza ottoni) che nel materiale melodico e ritmico, per non parlare della tonalità. Ecco perché sentiamo forse come vero contrasto strutturale della sinfonia, come equivalente di un “secondo tema”, il successivo introdursi di atmosfere sensibilmente differenti, molto più leggere e volatili (Ascolta), con preponderanza di legni e archi acuti e un andamento cullante accompagnato dalle arpe. Eppure, l’analisi più approfondita ci porta ancora a dubitare di questa opposizione, poiché il materiale tematico si dimostra ancora una volta figlio della stessa madre (Natura). Le quinte vuote dell’armonia sospesa sono una declinazione dello stesso Naturlaut originario e la melodia introdotta in questo passaggio (prima dall’oboe, poi agli archi) altro non è che una combinazione e variazione delle due cellule viste sopra, gruppetto e salita:
Ciò che Mahler desidera comunicare pare immediato: nulla si oppone alla Natura se non la Natura stessa, come l’inverno si oppone all’estate. La Natura sa essere madre e matrigna allo stesso tempo, per usare una metafora leopardiana, senza perciò contraddirsi. Tutto è interno ad essa, anche il suo tumulto e il suo divenire.
Uno sguardo d’assieme alla macrostruttura del primo movimento rivela infine che l’alternanza è proprio fra il blocco tematico del “contrasto” e quello del “risveglio”, che accomuna in sé sia la frase dei corni iniziale che questa versione “fiorita” appena esemplificata, e che sarà poi specialmente incarnata dal violino solo. Non è un caso che, alla terza ripetizione di questa melodia, troveremo un duetto fra corno solista e violino primo (Ascolta). Protagonista nel registro del “contrasto” – ad ogni suo successivo ritorno - è invece il trombone, che con tre interventi solistici sembra farsi portavoce alla malinconia della stagione morente (Ascolti: 1° asscolo - 2° assolo - 3° assolo).
Complessivamente, se A è il risveglio e B il contrasto abbiamo una struttura circa sintetizzabile come A-B-A-B-A-B-A-B-A-B-A con cinque alternanze, di cui la quarta è già molto ibridata e la quinta sfocia in una ripresa climatica del risveglio. Volendo pensare alla forma-sonata, potremmo rileggerla come una introduzione, esposizione doppia, sviluppo e ripresa ciascuna con un’alternanza di “temi” A-B, seguita da una coda. Una straordinaria sintesi fra sempliciità e complessità.
Il trombone ha un ruolo quasi da mediatore nell’opposizione timbrica fra corni e trombe che sta alla base della sinfonia, inizialmente partecipando alla tronfia parodia ma poi sempre più avvicinandosi alla versione distesa e ascendente del richiamo. Nel climax conclusivo della coda, dopo che i violini hanno portato la figura ascendente alle ottave superiori al pentagramma, saranno proprio i tromboni a recitare il tema del richiamo (Ascolta), quasi divenuto un corale, con la massima enfasi. E questo sfogo nella coda è anticipato e reso possibile da un momento cruciale: il terzo e ultimo assolo del trombone, che assurge così a congiunzione fra i due mondi e chiave di volta dell’intero brano. Appena prima della coda sentiamo infatti questa perorazione del trombone solo, in uno dei punti di maggior pathos del movimento, proprio con un famigliare gruppetto (discendente):
L’ultima sua nota, esausta, si scioglie e viene accolta in un letto di violoncelli, che gli fanno eco in ritenuto e marcato con il gruppetto discendente, questa volta completandone “morendo” la risoluzione armonica con un sentore che anticipa in maniera sublime le sonorità dell’Adagio finale. Mahler ci offre qui un geniale flash-forward, un jump-cut che mette in collegamento ideale, mistico e poetico i due estremi della sinfonia. La Natura naturata, nell’estrema malinconia della sua caducità, arriva a presentire e forse a sfiorare - come l’Adamo di Michelangelo - la Natura naturante divina.
Secondo movimento:
La continuità “naturale” che Mahler ha cercato di conferire a tutto il primo movimento estende le sue ultime radici fino al secondo movimento. La frase di apertura di questo “Grazioso” Minuetto ha infatti l’incipit - con intervallo di quarta ascendente sul levare - in comune con la melodia del risveglio dei corni e nel prosieguo troviamo il nostro ormai noto gruppetto:
La scelta timbrica, con l’oboe che inizia per poi passare il testimone ai violini, richiama dal canto suo l’identica scelta strumentale operata da Mahler nel passaggio alle atmosfere più leggere e sospese del primo movimento. Se è vero che in quelle sonorità egli aveva in mente l’estate che subentra all’inverno, non è strano che vi sia assonanza con questo passaggio, di ispirazione floreale e quindi per associazione primaverile.
La figura del gruppetto ricopre un ruolo rilevante anche in tutto il secondo movimento, essendo persistentemente il punto in cui i ritenuti e i marcati accentrano il pathos, così come un ruolo primario lo ha ancora una volta il violino solista, che inizia a rivelarsi una presenza significativa (sorta di fil rouge) di tutte le parti di questa sinfonia. A volte troveremo il gruppetto ridotto anche solo a semplice terzina acuta, significativamente preparata dall’indicazione “morendo”:
Il gruppetto in generale è quasi un sinonimo di fioritura nel linguaggio musicale, e questi echi sempre più pungenti e frammentari sono l’immediata declinazione in note dell’acre profumo dello sfiorire, in un clima di generale – ma dolcissima – decadenza.
La struttura del movimento alterna il minuetto di cui abbiamo accennato con una contro-danza (Ascolta) più rapida (la scelta è evidentemente di sapore antico, richiamando il Settecento pre-beethoveniano) che accentua il carattere di fuggevolezza del brano. Se nel grande arco evolutivo di questa sinfonia vogliamo vedere anche una metafora delle età dell’uomo, il primo movimento si adatterebbe al caos schizoide, ma in fondo unitario, dell’infanzia così come questo secondo movimento potrebbe ben esprimere il carattere della giovinezza, che sì fugge tuttavia.
È il violino solo a portare a termine l’ultima ripetizione – oramai a brandelli – del minuetto con una struggente progressione al registro più acuto dello strumento (Ascolta), mentre le terzine negli altri strumenti si sono fatte tutte discendenti.
Terzo movimento:
Per la genesi del terzo movimento – dedicato alla voce degli animali della foresta – è necessario fare un piccolo excursus sugli autoprestiti liederistici cui Mahler ha sempre attinto per le sue sinfonie. Nello specifico qui ascoltiamo molto del materiale del Lied “Ablösung im Sommer” da Des Knaben Wunderhorn, una scherzosa scenetta fra animali in cui la morte del cuculo viene rapidamente dimenticata grazie al canto in surroga dell’usignolo. Le stesse due voci si presentano da subito anche nel movimento sinfonico:
Il canto di apertura del cuculo, caratterizzato da un salto di quinta, si carica subito un senso di inquietudine grottesca: è sempre la Natura che parla, ma sta evolvendo verso qualcosa di più problematico. Le cellule melodiche ora non sembrano più imparentarsi così strettamente a una stessa famiglia, ciascuna segue il suo verso, in una selva babelica di linguaggi in cui cresce la preponderanza di staccati e pizzicati. Sembra che tutti siano molto indaffarati e poco propensi a dialogare: l’usignolo canta e sovrasta il cuculo che si fa sentire, petulante, solo fra un girdo e l’altro, sempre più acuto. Non a caso comincia in questo movimento a prendere piede l’alternanza maggiore-minore a cui siamo normalmente abituati ma che era particolarmente sfocata nel primo movimento.
Volendo estendere ancora una volta la nostra stratificazione metaforica alla sequela delle età dell’uomo, saremmo qui nel pieno del periodo “attivo” della vita, il momento degli affari e del tran-tran. Se confrontiamo le simbologie animali con un altro Lied di Mahler, “Lob des hohen Verstandes”, in cui il cuculo sempliciotto vince a gara il raffinato usignolo grazie al giudizio “critico” di un asino, potremmo forse spingerci anche a trovare un’immedesimazione di Mahler stesso come usignolo, che tanto spesso ha patito le soverchie mondane e la liquidazione frettolosa e approssimativa della sua musica da parte del frenetico ambiente viennese.
Abbiamo tenuto per ultima una delle caratteristiche più peculiari di questo “scherzo” mahleriano: gli intermezzi dominati dal corno da postiglione (Ascolta), analoghi nella struttura alla forma del trio nel classicismo. L’opposizione fra l’agitazione – viene da dire “metropolitana” – della prima parte e la calma bucolica di questi stacchi non potrebbe essere maggiore, e rinforza le interpretazioni autobiografiche. Sappiamo infatti quanto Mahler sentisse il bisogno di allontanarsi da Vienna in estate, quando componeva in piccole casupole in mezzo alle montagne, una dicotomia che ritornerà con prepotenza in particolare nella sua Sesta sinfonia. Le sonorità scelte per questi assoli del Posthorn sono ancora una volta un ponte diretto con quelle dell’ultimo movimento, una forma di anticipazione del paradisiaco finale. Il suo dialogo è – non a caso – soprattutto con i corni (il suono dell’origine) e gli archi (che saranno il suono della conclusione), con qualche ostilità invece delle trombe. Con il postiglione ritornano quei gruppetti così identificativi dello sforzo verso l’ascensione a Dio che abbiamo visto essere pennellati, qui e là, in tutti i movimenti. Nell’ultimo passaggio solistico, la citazione del finale è molto esplicita nell’accompagnamento (Ascolta), in tempo lentissimo e ritenuto con i violini divisi in otto sezioni.
La risposta del resto dell’orchestra accentua invece ulteriormente la grossolana smania di horror vacui, con sempre maggior rapidità e indicazioni come “Grob!” (grezzo). Dopo l’ultimo intervento del Posthorn avviene qualcosa: un crescendo improvviso porta a un accordo fortissimo e dissonante (Ascolta), che ha forse un precedente nel “grido di disperazione” che si sente nella Seconda sinfonia (al termine del terzo movimento e al centro del quinto, ascolta). Forse è la comparsa distruttiva dell’uomo nel regno animale? O forse l’emergere della coscienza della limitatezza, del dolore e della morte a spezzare la vita “inautentica” e concentrata sulle minuzie dell’uomo stesso? O forse entrambe le cose, secondo i vari piani di lettura che possiamo applicare a questa sinfonia. In ogni caso, la vita degli indaffarati animali sembra rimanere sarcasticamente sorda all’accaduto mentre riprende sempre più parossisticamente il suo andirivieni.
Quarto movimento:
Non possiamo invece rimanere indifferenti noi, che dobbiamo proseguire nel percorso ascensionale voluto da Mahler. Il clima si fa cupo, pensoso… “Misterioso” nelle parole di Mahler stesso. Violoncelli e contrabbassi disegnano all’unisono un letto ondeggiante di seconde, armonicamente ambiguo, a cui l’instabilità ritmica (continuo passaggio da 2/2 a 3/2) fa da perfetto contraltare. Quest’onda evolverà in un’alternanza di intervalli restringenti, riprendendo quasi alla lettera l’abisso profondo in cui piombava nel primo movimento la frase dei corni, appena dopo la sua prima battuta di arresto:
Passaggio nel primo e nel quarto movimento a confronto (Ascolta)
Volendo fare un’analisi minuziosa, la progressione degli intervalli rispetto alla nota fissa di riferimento è quinta, quarta, seconda. Una sorta di passaggio dalla semplicità e purezza del mondo naturale alle ambiguità del mondo psichico umano, che l’intervallo di seconda continuerà a ben rappresentare anche sulle parole “Gib acht!”, fa’ attenzione. Significativamente, manca ancora tra gli elementi melodici (armonicamente compare già nei corni di accompagnamento) l’’intervallo di terza. Farà la sua comparsa vistosa qualche battuta dopo, con l’intromissione dell’oboe – con la significativa dicitura “Wie ein Naturlaut” – che nel registro acuto inanella una serie di terze minori, imitato poi dal corno inglese (Ascolta). A squarciare questa trama di terze minori ci penseranno finalmente i violini, con una scala in maggiore praticamente completa, ascendente, “breit” cioè chiara, ampia, aperta:
Da una parte il lamento del dolore quindi, dall’altra la distensione della gioia (Ascolta)
Sarà proprio il violino solo – di cui già abbiamo anticipato il ruolo di fil rouge dell’intera sinfonia – a incaricarsi di accompagnare le parole cruciali del testo, prima con alcune alterazioni a screziare la perfezione della scala maggiore mentre si parla di dolore, e finalmente in tutto il suo slancio perfetto quando si parla della gioia:
Tief ist ihr Weh! |
Profondo è il tuo male! |
Sulla frase “Tief ist ihr Weh!”, profondo è il tuo male, risentiamo la stesa ascesa con due note brevi e una di durata doppia che abbiamo identificato fin dal primissimo esempio tematico e che sarà significativo fino all’ultimo movimento:
L’alternarsi maggiore-minore diventa in questo movimento uno stilema frequentissimo e fondativo, proseguendo un percorso che abbiamo già evidenziato come cruciale in tutta la sinfonia. Anche l’oboe riprenderà il suo salto di terza nella seconda parte del Lied, ma anch’esso ora sarà “virato” in maggiore, per quanto destinato poi a un rapido, cromatico e misterioso precipizio che conclude il movimento:
Quinto movimento:
Il quinto movimento è di gran lunga il più breve dell’intera sinfonia, nonché formalmente e contenutisticamente il più semplice. La derivazione liederistica è evidente sia nel testo “Es sungen drei Engel” (Cantano tre angeli) – proveniente da Des Knaben Wunderhorn – sia dagli autoprestiti musicali che rimandano a Das irdische Leben e Das himmlische Leben (quest’ultimo, a lungo ipotizzato da Mahler come settimo movimento della Terza, diventerà poi il finale della Quarta).
Il contesto ritmico e armonico da subito molto marcato, complici i periodici bimm e bamm delle voci bianche, afferma forse per la prima volta nell’intera sinfonia un impianto tonale in maggiore così evidente e indubitabile. Tantoché sono immediatamente percepibili le poche deviazioni in allargamento e in minore, sostanzialmente coincidenti con gli interventi del contralto, alter ego nel testo di Pietro penitente ai piedi del Signore.
Alcune ricorrenze ci ricollegano – pur in questo clima di voluta naïveté – agli elementi portanti della sinfonia:
Il tema esposto dai flauti in apertura richiama ad esempio le terzine ascendenti dei corni iniziali e del violino nel quarto movimento (Ascolta)
La fioritura corrispondente alle parole “Liebe nur Gott in alle Zeit!” (ama solo Dio in ogni tempo) rimanda al gruppetto (Ascolta)
Col procedere del brano e dopo gli interventi del contralto, pur mantenendosi nella rigidezza della struttura, sentiamo crescere un senso di inquietudine che trascina l’innocenza infantile e angelica iniziale in un’atmosfera quasi infernale, dominata dall’ossessione per il peccato, il pentimento e la redenzione. Il testo predica remissione, perdono divino e riconciliazione, eppure parrebbe che l’uomo non possa accontentarsi di questa visione immacolata dell’aldilà. E così attacca, senza interruzioni, il Finale.
Sesto movimento:
Del sesto e ultimo movimento, Adagio, è difficile parlare. In quanto Meta-fisica, trascende nel suo valore musicale, mistico e poetico il limite del discorso. À la Wittgestein. Ciononostante, è possibile dare alcuni riferimenti per l’esperienza d’ascolto.
Il tema principale, che apre da subito il movimento con l’unisono di violini primi e secondi e un contrappunto per inversione dei violoncelli, presenta un elemento di grande affinità con tutto il materiale principale ascoltato finora: l’incipit con salto di quarta in levare. Ha inoltre altre somiglianze strette specialmente con la melodia del “richiamo” dei corni iniziale, discostandosene tuttavia per il prevalere del legato (rispetto al marcato) e per un andamento ancor più regolarizzato e morbido a gradi congiunti. Riconosciamo tracce del gruppetto “giallo”, seppur molto più disteso e appoggiato sulla caratteristica e della cellula ascendente “blu” con la tipica terza nota di durata doppia:
A differenza di qualsiasi esposizione di quel tema nel primo movimento, qui l’arco melodico non è interrotto e può fluire in altre variazioni contrappuntate dello stesso materiale agli archi. Si disegnano così alcune figure che diventeranno indimenticabili nel corso del movimento, come la ribattuta della stessa nota per trattenere con enfasi una frase discendente (originata direttamente dalla figura evidenziata con le frecce rosse nell’esempio sopra) e una discesa di cinque note congiunte che richiama due momenti ascoltati – con funzione di flash forward – nei due climax del primo movimento, fra un glissando e l’altro delle arpe:
Esempio della scala discendente: agli archi nel sesto movimento (Ascolta) e agli ottoni nel finale del primo movimento (Ascolta)
Queste sono solo alcune delle cellule più identificative e suggestive di questa preghiera in musica di oltre trenta struggenti minuti. Il clima sereno dell’incipit muta, senza una vera cesura, dalla sezione “Nicht mehr so breit” (non più così largo/chiaro, ascolta), quando si introducono in tono minore l’oboe e i corni, mentre i violini riprendono le cinque note discendenti viste poc’anzi. Qualche battuta più avanti, per la prima volta la melodia sembra trovare un ostacolo al suo fluire. Proprio dopo aver ripetuto la cellula gialla dell’esempio e aver iniziato (e ripetuto una seconda volta) l’ascesa della cellula blu, ecco intervenire un accordo sforzato, dissonante, che provoca frasi ascendenti sempre più forti (sono i primi ff del movimento) a cui rispondono perentori i corni con una sequela discendente di quattro note molto distinguibile, presa in prestito dalla tempesta dell’Otello verdiano:
È evidente la filiazione come opposizione alla discesa – sempre martellata ma lirica, morbida – dell’esempio precedente agli archi. Qui il quarto grado, anziché essere congiunto, precipita di un tritono, dissonanza per eccellenza. Questo tema nei corni può ben rappresentare tutto ciò che limita l’anima umana nella sua ascensione verso l’amore divino per tutte le cose, l’amor dei intellectualis spinoziano. Si può leggere come metafora della mortalità, della limitatezza o della perdita imposta dal destino, secondo un tema molto caro a tutta la poetica mahleriana, specialmente da questa sinfonia in avanti. Eppure, nel regime dell’amore divino ogni opposizione, ogni limite è solo una dialettica interna, come per la Natura del primo movimento. Ogni limite (“fisico”) può essere trasceso ed è fatto per essere trasceso in un aldilà (“meta-fisico”), dando origine a nuovo slancio melodico verso l’alto:
Nell’andamento melodico di qui sopra, che si ripete a ondate tentando l’ascesa, riconosciamo ancor più esplicitamente il gruppetto che tanto ha caratterizzato tutti i momenti di faticosa ascensione della sinfonia, ma anche quel ribattere sulla stessa nota durante una discesa (frecce rosse) che abbiamo visto essere una specificità del carattere intimo e ritenuto di questo movimento. Si arriva così, ripetendo lo schema, ad un secondo (Ascolta) e un terzo (Ascolta) climax in cui i corni contendono e ritardano l’apoteosi degli archi. Nella seconda occasione, ai corni si riaffaccia significativamente il richiamo “blu” di tre note (con la terza di durata doppia) del tema iniziale, su cui Mahler aveva modulato anche la frase “Tief ist ihr Weh” (profondo è il tuo dolore) del quarto movimento, nel terzo ritorna il tema con il tritono. In questo secondo e terzo scontro, archi e corni non si limitano più a “rispondersi” ma si sovrappongono completamente, dando origine a un cluster di straordinaria potenza sonora ed emotiva, che giunge all’estremo con il colpo di piatti in ff, segnato “Mit höchster Kraft”, con la massima forza.
Se questo è “ciò che racconta l’amore”, citando il titolo mahleriano, si tratta sicuramente dell’amore che ha la sua parentela più stretta nella morte, ne è anzi indissolubilmente legato perché è l’unica forza che può accettare e trascendere la morte e il limite, e perciò anche l’unica che possa accoglierne l’idea senza annientarsi. Ricorda la straordinaria intuizione wagneriana di Sigfrido che scopre Brunnhilde sul monte, perdendo di colpo innocenza e invulnerabilità, poiché amare porta con sé anche la coscienza della paura di perdere il bene amato. Ricorda anche quel passaggio conclusivo del Narciso e Boccadoro di Hesse, che preconizza la metafora della madre: “Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre? Senza madre non si può amare. Senza madre non si può morire”. E seguendo l’analogia amore-Dio che Mahler stesso ci indica, questo incontro/scontro ricorda infine l’amore del Dio cristiano, che giunge a sacrificare il suo stesso figlio.
E così è solo lo slancio dell’amore a poter affrontare le negazioni mortifere degli ottoni, scontrandosi contro i limiti della fisica che ci portiamo dietro fin dalle prime note del primo movimento. Allo spegnersi del fortissimo, nulla sembra essere reduce dall’esplosione. Tutto ciò che è Natura si è infranto contro il suo limite. La povera psiche umana – giunta allo stremo della sua sopportabilità – è in pezzi, lacerata tra l’altissimo desiderio d’eternità e la profondità del dolore del suo cuore.
Eppure, udiamo emergere dal silenzio una voce appena udibile, è un flauto solo in pp. Intona ancora una volta il nostro amato gruppetto e la versione più estesa dell’ascesa per gradi congiunti:
Gli fa eco addirittura l’ottavino, sempre più acuto ma sempre più flebile: ci ricorda nuovamente il dito dell’Adamo di Michelangelo, teso in tutta la sua fragilità e speranza, con le sue ultime forze, verso Dio.
E Dio risponde.
Lo fa con trombe e tromboni, in un corale solenne, altissimo, degno del Maestro Bruckner, che richiama il tema originario degli archi all’inizio del movimento (Ascolta). La voce di Dio intona lo stesso canto dell’anima umana in preghiera: l’amore universale li unisce e accomuna, si appartengono e si richiamano. Ecco che rispondono gli archi, nello specifico i violoncelli - che già avevano accolto Pan, il trombone solo, nel primo movimento - e ora intonano “Immer breiter”, sempre più largo e chiaro, il tema dell’ultimo esempio. Nel punto più alto, quando torna ancora una volta il tanto celebrato gruppetto a fare da strappo finale climatico, ai celli si uniscono le trombe, gli strumenti che più di qualsiasi altro hanno finora opposto resistenza all’evoluzione teleologica di questa sinfonia, e infine i corni, l’ultimo nemico ad essere sconfitto secondo la definizione che San Paolo diede della morte nella Lettera ai Corinzi. Tutto è bene, tutto è santo, nulla può più opporsi all’ascesa al re maggiore finale: luce pura, splendente, infinita, distesa sulla cadenza delle terze dei timpani, vera e propria firma mahleriana dell’Ewigkeit pienamente raggiunta.
Alberto Luchetti