Greta Gerwig è già nella storia: Barbie è il film diretto da una regista ad aver incassato di più nel primo giorno di programmazione (155 milioni di dollari, 2 in più di Captain Marvel diretto da Anna Boden e Ryan Fleck) e ad aver realizzato il miglior weekend di apertura (337 milioni in tutto il mondo). In marcia verso il miliardo, è diventato il film diretto da una donna ad aver incassato di più nella storia, battendo il record detenuto da Hi Mom di Ji Ling (850 milioni di dollari, che a sua volta aveva superato gli 822,3 di Wonder Woman di Patty Jenkins) e punta a superare Frozen II, che con quasi un miliardo e mezzo è il film di una regista (Jennifer Lee che lo ha diretto con Chris Buck) ad aver incassato di più. In ogni caso, Barbie sarà tra i titoli più redditizi di sempre.

È una vittoria per Gerwig, voce tra le più rilevanti della sua generazione, autrice e attrice giunta alla quarta regia: dopo l’opera prima, Nights and Weekends, co-diretta con Joe Swanberg (2008), con Lady Bird (2017) è diventata la quinta donna (in novant’anni) candidata all’Oscar per la miglior regia (era in gara anche per la sceneggiatura) e con Piccole donne (2019) ha superato i 200 milioni al botteghino. E già si parla di nomination per Barbie, un film – al di là di meriti o limiti – più importante di quanto certi opinionisti si ostinino a raccontarsi.

Emma Watson e Greta Gerwig sul set di Piccole donne © SONY PICTURES
Emma Watson e Greta Gerwig sul set di Piccole donne © SONY PICTURES

Emma Watson e Greta Gerwig sul set di Piccole donne © SONY PICTURES

È il suo momento, certo, così come lo è per altre registe che negli ultimi tempi sono arrivate in sala e in streaming, alcune trovando anche qualche riscontro commerciale: Laura Poitras (Tutta la bellezza e il dolore, Leone d’Oro a Venezia 2022, festival che per il terzo anno consecutivo ha premiato una regista: le precedenti sono Chloé Zhao nel 2020 con Nomadland e Audrey Diwan nel 2021 per La scelta di Anne), Sarah Polley (Women Talking), Maria Schrader (Anche io), Elizabeth Banks (Cocainorso), Mia Hansen-Løve (Un bel mattino), Charlotte Wells (Aftersun), Marie Kreutzer (Il corsetto dell’imperatrice), Frances O'Connor (Emily), Mary Harron (Daliland), Chinonye Chukwu (Till), Carolina Cavalli (Amanda), Susanna Nicchiarelli (Chiara), Charlotte Le Bon (Falcon Lake), A.V. Rockwell (A Thousand and One), Nida Manzoor (Polite Society).

E nei prossimi mesi, altre ne vedremo: la sudcoreana-canadese Celine Song ha stregato Sundance e Berlino con Past Lives, in rampa di lancio per la notte delle stelle; Justine Triet ha vinto la Palma d’Oro con Anatomy of a Fall, prossimo al lancio internazionale; Alice Rohrwacher, fresca di candidatura all’Oscar per il corto Le pupille, porterà nelle sale La chimera, visto alla Croisette; Maïwenn, che con Jeanne du Barry ha recuperato il reietto Johnny Depp; Emerald Fennell, dopo l’Oscar per la sceneggiatura di Una donna promettente, cerca conferme con Saltburn, previsto a Telluride; Nia DaCosta, regista del blockbuster The Marvels.

Justine Triet (foto di Karen Di Paola)

Alla Mostra di Venezia vedremo Sofia Coppola (Priscilla, biopic sulla moglie di Elvis), Ava DuVernay (Origin), Agnieszka Holland (The Green Border), Małgorzata Szumowska (Kobieta z..., diretto con Michał Englert), Fien Troch (Holly) e, premiata con il Leone d’Oro alla carriera (seconda regista nella storia dopo la cinese Ann Hui), Liliana Cavani (L’ordine del tempo). I commentatori più pigri diranno che è il sintomo di una moda, gli altri si limiteranno a osservare che, a poco a poco, le cose stanno cambiando. Lentamente, certo: nel 2022, in Italia rappresentano il 15% (dati: Women in Film, Television & Media Italia, che si batte per la parità di genere nell’industria audiovisiva). Ma anche negli Stati Uniti: solo il 7% dei 250 film di maggior incasso del 2022 sono diretti da donne (+3% rispetto al 1998: lo dice il rapporto Celluloid Ceiling), nell’anno in cui a trionfare come miglior regista agli Oscar è stata Jane Campion (Il potere del cane, terza donna dopo Kathryn Bigelow per The Hurt Locker e Chloé Zhao per Nomadland).

Tuttavia, è indubbio che vi sia una nuova visibilità del lavoro femminile dietro la macchina da presa, sia per una maggiore attenzione mediatica (le registe vincono ai festival, sono riconosciute e premiate, parlano dei propri lavori e del proprio ruolo all’interno o meno del sistema) sia per una più forte sensibilità dell’audience più giovane. Eppure – incredibile! – le registe (e, per favore, evitiamo di usare l’espressione “registe donne”: se sono registe non sono registi, no?) ci sono sempre state, sin dai tempi del muto. Poche, pochissime rispetto ai maschi, d’accordo. Il problema è che, a parte qualche benemerita eccezione, sono state raccontate meno rispetto ai colleghi, a volte considerando solo l’eccezionalità del genere più che l’effettivo valore dell’opera. Non a caso, si sente ancora l’eco dello sconcerto dopo che Jeanne Dielman di Chantal Akerman è stato eletto miglior film della storia secondo il tradizionale sondaggio di Sight & Sound. Così nasce questa piccola guida essenziale ai 30 film più belli e importanti diretti da registe (secondo chi scrive, ça va sans dire), per tracciare una “storia del cinema parallela e trasversale” della quale, forse, conosciamo meno di quanto crediamo.

Qualche indicazione metodologica.
1) Sappiamo che una guida del genere rischia di conservare un superficiale “approccio di genere”, come se i film diretti da donne non fossero da considerare alla pari di quelli degli uomini. Ma l’obiettivo è, semplicemente, mettere in evidenza personalità poco note se non sommerse e, al contempo, celebrare le venerate maestre che hanno aperto porte prima chiuse. 2) Consideriamo un film per ogni regista. 3) Teniamo fuori le “grandi madri”:

  • la leggendaria Alice Guy-Blaché, prima donna della storia a dirigere un film, a fondare uno studio cinematografico, a realizzare un film di fiction, regista di più di 1000 tra cortometraggi e lungometraggi prevalentemente persi;
  • Lois Weber, prima americana a girare un lungometraggio, a girare film sonori e a essere ammessa alla Motion Picture Directors Association;
  • Elvira Notari, prima regista italiana, autrice e produttrice prolifica (oltre 60 titoli tra il 1906 e il 1929) che ha aperto la strada al neorealismo;
  • Germaine Dulac, pioniera del cinema sperimentale, autrice dei rivoluzionari La sorridente signora Beudet (1923, primo film femminista della storia) e La Coquille et le Clergyman (1928);
  • Mabel Normand, regina della commedia all’epoca del muto, attrice e produttrice oltre che autrice;
  • Lotte Reiniger, antesignana del cinema d’animazione, maestra nel dar vita a silhouette di carta, autrice dell’innovativo Achmed, il principe fantastico (1926);
  • Leni Riefenstahl, la più controversa di tutte, celebre per i mitologici documentari in gloria del nazismo, da Il trionfo della volontà (1932) a Olympia (1938);
  • Maya Deren, artista d’avanguardia che con il corto Meshes of the Afternoon (1943) ha realizzato uno dei film sperimentali più influenti della storia;
  • Tazuko Sakane, pioniera della regia femminile in Giappone, che ha diretto Hatsu Sugata (1936), primo lungometraggio giapponese diretto da una donna.

Balla, ragazza, balla – Dorothy Azner (1940)
Due ballerine lottano per farsi avanti nel mondo dello spettacolo, conquistare il cuore dell’uomo che amano entrambe. E per preservare la propria integrità. Sovvertire il sistema con sguardo femminista e idealista, in nome dell’amore: dalla parte dell’arte contro la mercificazione.

Balla, ragazza, balla
Balla, ragazza, balla

Balla, ragazza, balla

La grande nebbia – Ida Lupino (1953)
Maestra del noir, anche in questa ambigua, asciutta e inquietante vicenda su un commesso viaggiatore con una moglie a San Francisco e un’altra a Los Angeles sa essere empatica e fiera: dalla parte dei cuori spezzati, ma con la consapevolezza che il mondo è un posto crudele.

La grande nebbia
La grande nebbia

La grande nebbia

Koibumi (Lettera d’amore) – Kinuyo Tanaka (1953)
Quando passò alla regia all’apice della carriera, l’attrice di Vita di O-Haru, donna galante litigò con il suo maestro Kenji Mizoguchi. Al centro dell’esordio, un uomo che aiuta le prostitute a scrivere lettere romantiche ai soldati americani. Tra le righe, una rappresentazione delle donne che non si era mai vista in Giappone.

Koibumi
Koibumi

Koibumi

Storia degli anni di fuoco – Julja Solnceva (1960)
La prima donna a vincere il premio per la regia a Cannes era la vedova di Aleksandr Dovženko (morto nel 1956), che mise in scena una sceneggiatura da lui scritta nel ’45. Le immagini della guerra si alternano a un’ode alla bellezza dell’Ucraina, tra grandi scene di massa e struggente romanticismo.

Storia degli anni di fuoco
Storia degli anni di fuoco

Storia degli anni di fuoco

Cléo dalla 5 alle 7 – Agnès Varda (1962)
Un compendio di tutto il cinema che verrà della più grande delle registe europee: magmatico e ramingo, frammentario e compatto, costellato di epifanie e pieno di nostalgia, affascinato tanto dai personaggi quanto dagli spazi, la convinzione che senza passato non si può credere nel futuro.

Cléo dalle 5 alle 7 (credits: Cineteca di Bologna)
Cléo dalle 5 alle 7 (credits: Cineteca di Bologna)

Cléo dalle 5 alle 7 (credits: Cineteca di Bologna)

Le margheritine – Věra Chytilová (1966)
In una Cecoslovacchia inquieta all’alba della Primavera di Praga, un canto dadaista che suggella la Nová vlna: due donne, lo stesso nome, il rifiuto del conformismo e una tragica sete di libertà. Più forte della censura, spudorato per vocazione, l’assenza delle regole come unica regola.

Le margheritine
Le margheritine

Le margheritine

Wanda – Barbara Loden (1970)
Scritto, diretto e interpretato da un’esordiente (moglie di Elia Kazan fino alla morte di lei), il ritratto di un’alienata casalinga di provincia che, suo malgrado, diventa complice di un rapinatore in fuga. Super low budget, stile scarno, Godard in testa: un cult del cinema indie e femminista.

Wanda
Wanda

Wanda

Sambizanga – Sarah Maldoror (1972)
Prima regista d’Africa, autrice di un cinema poetico e politico, all’opera seconda affrontò la guerra d’indipendenza dell’Angola: il ritratto di un rivoluzionario, arrestato e torturato dalla polizia, attraverso lo sguardo della moglie, che lo cerca invano ignorandone il destino.

Sambizanga
Sambizanga

Sambizanga

Il portiere di notte – Liliana Cavani (1974)
Curioso che i due epicentri di questa cattolica del dissenso (Premio Robert Bresson 2018) siano la biografia di un santo (Francesco d’Assisi, 1966) e un nazi-melodramma sadomaso tuttora destabilizzante: l’amore perverso tra vittima e carnefice, l’impossibilità della rimozione, il disumano nell’umano.

Charlotte Rampling e Dirk Bogarde in Il portiere di notte (Webphoto)
Charlotte Rampling e Dirk Bogarde in Il portiere di notte (Webphoto)

Charlotte Rampling e Dirk Bogarde in Il portiere di notte (Webphoto)

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto – Lina Wertmüller (1974)
Tra i film della prima donna candidata all’Oscar per la regia (nel 1976 con Pasqualino Settebellezze, discutibile zenit del suo cinema anatomico, sconquassato, roboante), è forse quello che ha retto meglio la prova del tempo, con la sua esplosione di lotta di classe ed erotismo selvaggio. Oggi impensabile.

Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto © MEDUSA
Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto © MEDUSA

Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto © MEDUSA

Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles – Chantal Akerman (1975)
La vita monotona di una casalinga, vedova con figlio adolescente, che si prostituisce part-time per esigenze economiche. In 201 minuti. Pietra miliare del cinema (femminista, ma anche tout court): uno sguardo che mostra senza commentare la banalità del quotidiano infranta dalla scoperta del piacere. Girato a 25 anni.

Deplhyn Seyrig in Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles
Deplhyn Seyrig in Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Deplhyn Seyrig in Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

L’ascesa – Larisa Shepitko (1977)
Orso d’Oro a Berlino, odissea antimilitarista di due partigiani con i nazisti alle calcagna è uno dei quattro film di una regista sovietica prematuramente scomparsa. Raffinato senza essere formalista, mistico ed immersivo, commovente ed implacabile capolavoro ossessionato dalla morte.

L'ascesa (Webphoto)
L'ascesa (Webphoto)

L'ascesa (Webphoto)

Girlfriends – Claudia Weill (1978)
Una fotografa ebrea vorrebbe diventare professionista, ma perde l’equilibrio quando la coinquilina decide di sposarsi. Commedia avventurosamente prodotta, amata da Stanley Kubrick: sceneggiatura spiritosa, ironia schietta, interpretazioni appassionate, tenerezza nel tocco.

Girlfriends
Girlfriends

Girlfriends

Anni di piombo – Margarethe von Trotta (1981)
Una terrorista “viene suicidata” in carcere, sua sorella giornalista indaga. L’Antigone al crocevia della cronaca (la storia delle sorelle Ensslin), con un titolo (italiano) diventato manifesto e un incredibile equilibrio tra temperatura emotiva e impegno civile, rigore formale e impatto popolare. Leone d’oro a Venezia.

Anni di piombo (Webphoto)
Anni di piombo (Webphoto)

Anni di piombo (Webphoto)

Born in Flames – Lizzie Borden (1983)
Opera prima, budget minimo, cinque anni di lavoro. Con stile frammentario e documentaristico, la lotta di donne dissidenti e marginalizzate in una New York distopica a trazione socialista e maschilista: un manifesto radicale e incendiario del cinema indie e femminista.

Born in Flames
Born in Flames

Born in Flames

Via delle capanne negre – Euzhan Palcy (1983)
Nella Martinica schiavista degli anni ’30, un bambino viene spinto da nonna e maestro a lasciare la piantagione e iscriversi in una scuola della città. Leone d’Argento, uno dei tre lunghi diretti dalla regista (prima nera prodotta da una major con Un’arida stagione bianca, 1989), Oscar alla carriera nel 2022.

Diario per i miei figli – Marta Mészáros (1984)
Prima parte di una trilogia che è racconto di formazione e atlante storico, in cui la più autorevole regista ungherese mette insieme ricordi autobiografici e storia nazionale, la vitalità dell’amore e le voragini nel cuore, crescere dopo lo stalinismo e l’utopia, la vocazione al cinema e il desiderio di completarsi.

Diario per i miei figli
Diario per i miei figli

Diario per i miei figli

Daughters of the Dust – Julie Dash (1991)
Non bastasse il fatto che è il primo film diretto da un’afroamericana distribuito nelle sale americane, si consideri l’originalità: all’inizio del Novecento, tre generazioni di donne Gullah si preparano a migrare. La riscoperta di un mondo perduto, un incanto misterioso, una favola cechoviana: tuttora sorprendente.

Daughters of the Dust
Daughters of the Dust

Daughters of the Dust

Point Break – Punto di rottura – Kathryn Bigelow (1991)
La prima donna Oscar per la regia arrivò allo storico premio dopo una carriera che nessuno si aspettava da una donna. Che sia sulle onde cavalcate dai surfisti o in aria a sfidare la morte per abbracciare la vita (“lo schermo velato” anzi velatissimo), lo spettacolo muscolare rivela la qualità umana di un cinema che è ormai classico.

Point Break - Punto di rottura © PENTA FILM
Point Break - Punto di rottura © PENTA FILM

Point Break - Punto di rottura © PENTA FILM

Orlando – Sally Potter (1992)
Consacrazione della regista e della sua protagonista (Tilda Swinton), si parte dall’astrazione di Virginia Woolf per interrogare le domande della contemporaneità: la naturalezza di una trasformazione che si configura come l’unico modo per restare fedele a se stessi/e.

Orlando
Orlando

Orlando

Insonnia d’amore – Nora Ephron (1993)
La migliore tra le commedie dirette da una delle più argute autrici di Hollywood (Harry, ti presento Sally è opera sua): ottima chimica tra Tom Hanks e Meg Ryan, grosso successo al botteghino, un classico contemporaneo che sa essere allegro, ironico, romantico, ruffiano, cinefilo.

Insonnia d'amore
Insonnia d'amore

Insonnia d'amore

Lezioni di piano – Jane Campion (1993)
Apice della carriera della più influente regista degli ultimi decenni, la prima a vincere la Palma d’Oro: sensuale e misterioso, romantico e panico, un melodramma che può sembrare freddo e formalista ed è invece violento ed incandescente, come l’amore disperato tra i protagonisti.

Lezioni di piano
Lezioni di piano

Lezioni di piano

Il gusto degli altri – Agnès Jaoui (1998)
Una moderna ronda amorosa che ha fatto scuola: regia intima e calibrata, interpretazioni brillanti e tridimensionali, indagine sentimentale con la lente della commedia. All’epoca un trionfo di pubblico e di critica, nonché candidato all’Oscar, oggi un classico che molti continuano a copiare (invano).

Il gusto degli altri
Il gusto degli altri

Il gusto degli altri

Beau Travail – Claire Denis (1999)
Il più acclamato tra i lavori della regista amatissima dalla cinéphile, nella top ten dei migliori di sempre secondo Sight & Sound: i ricordi di un ex sergente della Legione straniera nel corno d’Africa abitano una torrida e sovversiva ricognizione su erotismo e malessere, con un finale da antologia.

Beau Travail (Webphoto)
Beau Travail (Webphoto)

Beau Travail (Webphoto)

La ciénaga – Lucrecia Martel (2001)
All’epoca, la storia di una famiglia borghese disfunzionale nell’entroterra argentino nordoccidentale, fu una rivelazione: sensualità e accidia, tensione e disperazione, l’atmosfera piuttosto che la narrazione, la penetrazione all’altezza dei corpi e non l’osservazione dall’alto.

La ciénaga
La ciénaga

La ciénaga

Lost in Translation – Sofia Coppola (2003)
Al centro dell’opera seconda della figlia d’arte, l’incontro casuale e fugace tra due solitudini che si riconoscono in una Tokyo alienante. In un clima di sospensione da inizio millennio, una dolce e malinconica commedia sentimentale che ha impostato un modello, un tono, uno sguardo.

Lost in Translation
Lost in Translation

Lost in Translation 

A Simple Life – Ann Hui (2011)
Una delle cineaste più eclettiche ed acclamate della New Wave di Hong Kong pensava di ritirarsi dopo questo film. Ma il successo la fece conoscere al pubblico occidentale: una storia piccola e semplice, delicata e struggente, che va dritta al cuore senza sensazionalismi né colpi bassi.

A Simple Life © TUCKER FILM
A Simple Life © TUCKER FILM

A Simple Life © TUCKER FILM

Tomboy – Céline Sciamma (2011)
Infallibile quando ha a che fare con l’età acerba (Petite Maman, 2021), la regista entra con delicatezza e intelligenza nel microcosmo dei bambini: nell’estate in cui tutto può accadere, lo sguardo su piccole persone in fieri, che sfuggono alle imposizioni della società. La libertà più della trasgressione.

Tomboy
Tomboy

Tomboy

Ghesse-ah (Tales) – Rakhshan Banietemad (2014)
C’è una necessità, all’origine di questa antologia di storie quotidiane in una Teheran dimenticata dalla narrazione ufficiale: la censura del governo autoritario non sindacava sui corti. Intrecciandoli in un collage realista, la regista ci ricorda che il cinema sotto il regime o è resistente o non è.

Ghesse-ah (Tales)
Ghesse-ah (Tales)

Ghesse-ah (Tales)

American Honey – Andrea Arnold (2016)
Sopravvivere all’illusione dell’american dream: i riscatti impossibili, le ipoteche su amori a fondo perduto, la crisi lungo le strade di un mito che appartiene al passato. La camera a mano dell’autrice britannica sta addosso ai corpi dimenticati dalla narrazione ufficiale e dà voce alla loro disperata urgenza eruttiva.

American Honey © A24
American Honey © A24

American Honey © A24