Sei Fratelli: recensione del film di Simone Godano - Cinematographe.it

Sei Fratelli: recensione del film di Simone Godano

Il padre muore e i fratelli devono da farsi da fare per ricostruire la famiglia. Con Adriano Giannini, Riccardo Scamarcio e la regia di Simone Godano, Sei Fratelli arriva nelle sale italiane il primo maggio 2024.

Bisogna riconoscere il coraggio, la tenacia forse masochista, certamente eroica, di Simone Godano. È il regista – anche sceneggiatore, in combutta con Luca Infascelli – di Sei Fratelli, dramedy familiare nelle sale italiane l’1 maggio 2024 per 01 Distribution. Ce ne vuole, di coraggio, a scegliere una storia così maledettamente corale. Tanti personaggi vuol dire tanti attori, quindi un mucchio di stili, caratteri e idiosincrasie da tenere a bada, sul set e fuori; il caos che ne deriverà, lucidamente organizzato, dovrà evocare, nella coscienza dello spettatore, il battito e il sentimento della vita reale. Ogni famiglia somiglia a un film corale ingarbugliato ed emotivamente esplosivo; la famiglia del film, nelle sue estremizzazioni e asprezze – allargata e con sei fratelli, non proprio lo standard – dovrà trovare il modo di rifletterle e raccontarle tutte. Gran bel cast, con Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Valentina Bellè, Gabriel Montesi, Claire Romain, Mati Galey, Linda Caridi e Gioele Dix. Proprio a quest’ultimo l’onore e l’onere di aprire le danze. Un personaggio importante, anche se in scena si vede poco (si sente molto, per la verità). Sei Fratelli è la storia di come una famiglia reagisce (e si ricostruisce) dopo che il patriarca esce di scena.

Sei Fratelli: la vita dopo la morte (del padre)

Sei Fratelli cinematographe.it recensione
Foto Lorenzo Pesce.

L’incipit è asciutto, grave e abbastanza libero nella forma, perché le cose che veniamo a sapere sulla famiglia Alicante, all’inizio di Sei Fratelli, ce le racconta la voce fuori campo del temuto-amato-mitizzato padre, Manfredi (Gioele Dix). Parla con lo spettatore ma non dovrebbe perché è morto. Si è buttato dal tetto dell’ospedale in cui era ricoverato, con un male incurabile e poco tempo a disposizione non era più il caso di andare avanti. Gioele Dix “possiede” e indirizza il film con la sola forza della sua voce. Commenta, aggiusta, precisa tutto quello che merita di essere aggiustato, commentato, precisato; è un corpo ma solo all’inizio, poi è un ricordo, un’ombra, un fantasma da esorcizzare o da accogliere, a seconda dei punti di vista. Manfredi ha avuto cinque figli da tre donne diverse. Guido (Adriano Giannini) ha divorziato ma non si lascia il passato alle spalle, Marco (Riccardo Scamarcio) è un presentatore televisivo insoddisfatto e in crisi con la moglie Giorgia (Linda Caridi). Leo (Gabriel Montesi) da anni non parla più con Giorgia e Marco. Ci sono anche i due fratelli francesi, perché Sei Fratelli è ambientato a Bordeaux, dove il padre giramondo e irresponsabile ha trascorso gli ultimi anni: Gaelle (Claire Romain) che prova a sposarsi ma non le riesce mai. E il timido e nervoso Mattia (Mati Galey), il più giovane. Poi arriva Luisa (Valentina Bellè).

La sesta figlia, figlia dell’amante di cui nessuno sapeva niente. Manfredi ha vissuto due volte, in pubblico e “lateralmente”, sempre alle sue condizioni. Quello che resta, dopo la morte, sono le incomprensioni e i rimpianti dei figli, che sparito (con il padre) il comodo alibi, l’ombrello sotto cui raccogliere recriminazioni e fallimenti, sono costretti a fare i conti con se stessi. Devono capire il posto che occupano in famiglia, accettare l’idea (è più di un’idea) che l’amore sia un sentimento più complesso della visione preconcetta che avevano fino alla morte del genitore. Devono riconoscere – hanno passato una vita intera a negare l’evidenza – che la famiglia biologica, la famiglia che non ti scegli, con i suoi limiti e la sua confusione serve, serve tantissimo. La scusa per passare un po’ di tempo insieme a Bordeaux è di natura economica. Manfredi aveva messo in piedi un allevamento di ostriche, improduttivo e sommerso dai debiti: bisogna decidere cosa farne. Ed è difficile, perché ognuno ha le sue idee, i suoi bisogni. E c’è una sorella in più con cui fare i conti e non è che le cose vadano bene all’inizio, tutt’altro. Sei Fratelli è una commedia malinconica su una famiglia disfunzionale e molto allargata. Luisa è il chiavistello che serve alla storia per costringere i protagonisti a riaprire l’album di famiglia e cambiare l’idea che hanno di sé e degli altri. Il percorso è accidentato e il film lo riconosce, adeguandosi: commedia sì ma malinconica. In cerca di un lieto fine, ma ragionato e che non faccia a pugni con la realtà.

Le cose che al film riescono bene e un po’ meno bene

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Foto Lorenzo Pesce.

La cosa che riesce bene, a Simone Godano e Luca Infascelli, è di non lasciare indietro nessuno. I fratelli Alicante sono sei alla fine, cinque all’inizio; serve mano ferma e un forte senso della storia per non lasciarsi travolgere dalla natura corale, dunque intrinsecamente dispersiva, di un film che reclama dai suoi autori lacrime e sudore. Il lavoro scrupoloso è sui caratteri e sui tempi del racconto; si tratta di orchestrare il caos organizzato della famiglia in modo che a ciascun membro, ciascun atomo di questo grande tutto, siano riservate le giuste ragioni e spazio a sufficienza per respirare. Sei Fratelli ce la fa, a gettare in pasto allo spettatore sei personalità (sei caratteri, sei vite) definite. La cosa che riesce meno, a Simone Godano e Luca Infascelli, è il confronto con la profondità della storia. Gli eccessi didascalici, la mancanza di sottigliezza che molte volte, troppe, appiattisce i rapporti tra i personaggi, allontana Sei Fratelli dal perimetro della verità (dei sentimenti) per avvicinarla al cinema coraggioso nelle intenzioni ma un po’ frustrante nella resa. Forse così è più chiaro: ci sono momenti in cui questi fratelli si muovono, agiscono, pensano, come veri fratelli e la famiglia sembra una vera famiglia. E ci sono momenti in cui la natura artificiale del racconto prevale. E lo scarto tra le premesse e il film com’è, si sente tutto.

Per una volta, l’etichetta dramedy – commedia imbevuta di elementi di dramma, o magari è il contrario – ha un senso. Sei Fratelli è un ragionato, malinconico ma non desolato equilibrio fra gli estremi del dolore e della gioia. Riscopre il senso, la centralità, la necessità della famiglia biologica, quella che non ti scegli. Ne misura, con i cortocircuiti, le asprezze e i difetti, anche i pregi: il calore, l’abbraccio che spezza la solitudine, l’amore che arriva a prescindere da chi sei e da quello che fai. Nell’alchimia dolceamara dei toni, il film deve molto alla tradizione della grande commedia italiana. La sobria eleganza formale – fotografia del francese Guillaume Deffontaines – quell’aria di leggerezza che non tende mai alla superficialità, omaggia il cinema francese di ispirazione borghese – l’ambientazione di Bordeaux, qui, vale come una dichiarazione d’intenti – mentre il ritmo manca talvolta di quella fluidità che le circostanze richiederebbero, ma non è un limite irrecuperabile. Nel complesso il film tiene ed è un pregio importante, perché ci sono tante ramificazioni, tante personalità da cesellare e il rischio di perdersi, di perdere qualcuno per strada, è alto. Non succede.

Non urla, il film. Non costringe i personaggi a esprimere verità ed emozione esasperando i toni. Cinema sulla famiglia, non così sopra le righe e senza il culto della scena madre; Simone Godano, pur apprezzandola da cinefilo e spettatore, smentisce l’influenza mucciniana sulla storia. Sei Fratelli è un film di piccole cose, di segreti rivelati a bassa voce. C’è Riccardo Scamarcio che mette in scena un’esuberanza spaccona e fragile che ricorda il cinema italiano di ieri, la bravissima Linda Caridi nella parte difficile di una giovane donna esistenzialmente “vecchia”, stanca e in attesa di ripartire. C’è Gabriel Montesi, nervoso e sarcastico, arrogante per camuffare una sterminata sensibilità. C’è il “buono” Adriano Giannini, la dramedy fatta attore, il personaggio (e l’interprete) su cui scorre il senso della storia, la sua maturità e intelligenza. Sei Fratelli è un caos organizzato, un concerto di voci (attoriali) di pregio ma anche un film che non tiene sempre testa alla sua complessità.

Sei Fratelli: valutazione e conclusione

Sei Fratelli è un film corale, in bilico tra commedia e dramma, che sa dare sufficienti tempo e spazio a ciascun personaggio, mettendone in scena ragioni e debolezze con onestà. Restituisce, della vita in famiglia, il caos controllato, la frenesia e la fragilità degli equilibri; la sua rilevanza a dispetto di tutto. Mette i protagonisti di fronte alla necessità di riscoprire il rapporto con il padre assente, per capire limiti e possibilità di una parola che tutti pronunciamo senza capirla fino in fondo – amore – ma lo fa inciampando un po’ sui ritmi (ora viaggia come un treno, ora zoppica) e non sempre riuscendo a incorporare i temi nella storia con la dovuta sottigliezza. L’ambizione è ricompensata in modo discontinuo, ma il cast di livello e la natura sinuosa del racconto, parte dramma e parte commedia, pagano.

Regia: 2,5

Sceneggiatura: 2,5

: 3

Recitazione: 3

Sonoro: 2,5

Emozione: 2,5 Voto: 2,7