Gli spiriti dell'isola Recensione: una black comedy da Oscar

Gli spiriti dell'isola Recensione: una black comedy da Oscar

Dopo il successo di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri torna Martin McDonagh con Gli Spriti dell'Isola. E fa ancora centro.

Gli spiriti dell'isola Recensione: una black comedy da Oscar
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"Avete litigato?". È una domanda apparentemente semplice, questa, figlia di attenzioni e preoccupazioni di un'intera piccola comunità verso un'unità adesso scissa in due; erano amici inseparabili Pádraic e Colm, eppure adesso i due si ritrovano distanti, tanto fisicamente quanto emotivamente. In questa piccola isola d'Irlanda del 1923 la decisione di venire meno a quel patto di amicizia e di chiudere la porta al proprio migliore amico Pádraic, in Colm Sonny Larry (stufo delle chiacchiere inutili dell'amico, e ora orientato allo sviluppo delle proprie velleità musicali) si apre una voragine, che porta a una mutilazione fisica per promesse venute meno, accordi non mantenuti.

È una coppia disunita sullo schermo, ma riunita sul set quella tra Brendan Gleeson e Colin Farrell. Un ritrovarsi tra un duo di attori sotto l'occhio vigile di un autore come Martin McDonagh che riprende e moltiplica all'ennesima potenza quello sguardo sarcastico e malinconico che già si intravedeva nel film d'esordio del regista, In Bruges. Due anime contrastanti, ossimoriche e allo stesso tempo così simili, quelle di Pádraic e Colm; due esistenze poste all'inizio di uno slancio evolutivo in cui nulla sembra essere chiarito, ma tutto viene spiegato. Già, perché nell'universo de Gli spiriti dell'isola (film che guidato le candidature ai Critic's Circle e che troviamo tra le uscite in sala di febbraio 2023) le parole girano in circolo, ma sono le emozioni a essere accese, destate dal loro stato di veglia, per carpire ciò che i due protagonisti non riescono a dirsi a voce, ma traducono in mille sfumature di espressioni diverse e azioni istintive, irrazionali, che solo un profondo affetto, e un sincero sentimento può azionare.

Parole in circolo

È un cinema di parole quello di Martin McDonagh.Parole urlate (come quelle di Siobhán, interpretata perfettamente da Kerry Condon), sussurrate, balbettate (come quelle di Dominic Kearney, alias Barry Keoghan), tenute in silenzio.

Le battute di McDonagh sono lasciate scorrere con calma, trascinandosi stanche, colme di sarcasmo e sputate fuori da teatranti inconsapevoli su palcoscenici naturali.Belfast è lontana, e con lei la guerra civile che la distrugge, la lacera, la rasa al suolo riducendola in cenere. Tra le colline erbose dell'isola immaginaria di Inisherin si combatte un'altra lotta, più silente, privata, tra un'anima pura, umile e quella del suo migliore amico che quella parola così confortante e di vicinanza, ha voluto negargliela. Un'esplosione senza ordigno, che scoppia in silenzio, e proprio per combattere quel silenzio che Pádraic chiama a sé parroco e sorella, gestori dell'unico pub del paese e il giovane del villaggio, facendo di ogni conoscente soldato di un esercito senza uniformi - ma tante domande - comandati dall'adorata asinella nel ruolo di generale, per cercare la verità e convincere Colm di svestirsi della funzione di nemico, e ritornare in quello di complice. In un abbraccio intimo, continuo, dove la commedia si unisce al dramma generando un ibrido commovente e terribilmente umano, Gli spiriti dell'Isola si sveste dei fasti dell'ironia superficiale, per abbigliarsi di brillante malinconica, svelando così la reale natura dei sentimenti di chi prova difficoltà ad aprirsi al mondo.

Scrutatore delle dinamiche umane, tra amicizie, affetti famigliari, e rapporti interpersonali interrotti, sospirati, o soltanto toccati, Martin McDonagh ritrova quell'asciuttezza di spazi per espandere con maggior eco e forza impattante le proprie battute. Ma quello che colpisce maggiormente ne Gli Spiriti dell'Isola sono soprattutto i momenti in cui le voci tacciano e gli sguardi parlano. È nello spazio di questi silenzi che l'essenza più pura dell'opera autoriale di McDonagh esplode in tutta la sua potenza, forte di continue performance capaci di incarnare psicologie tracciate su carta, e anime perdute tra lo scorrere di fogli di sceneggiatura.

Quadri bucolici per esseri malinconici

Nella cornice bucolica di un paesaggio non ancora intaccato dal passaggio umano, (ma dominato da una statua della Madonna e controllato da una vecchia con la pipa) quello di McDonagh è un dipinto tracciato da una mano figlia di quella di William Turner o Antonio Smith, e colorato da lingue fotografiche simili a quelle di Rembrandt, o Caravaggio.

Quadri paesaggistici che prendono e circondano l'essenza umana, sottolinendone la piccolezza di fronte all'immensità della natura, i campi lunghi di Martin McDonagh non sono mai casuali, ma atti a enfatizzare quanto un essere così razionale come l'uomo possa regredire allo stato brado e animale perché incapace di gestire la portata delle proprie emozioni. Un ritorno allo stato selvaggio che imprigiona i più audaci, e culla i più ingenui, rendendo ogni loro passaggio un segno inequivocabile della loro presenza nelle vesti di spiriti umani. Ogni spazio è così costruito come un palcoscenico dove i campi si fanno platea, e le finestre, i pertugi, e ogni apertura, dei sipari. E al centro ci sono loro, i protagonisti di un dramma interiore intinto nell'inchiostro del caustico umorismo: quello messo a segno tra Colin Farrell e Brendan Gleeson è un duello di bravura. Quelli a cui sono chiamati a dar vita i due attori sono due uomini soli, incapaci di accettare lo scorrere del tempo e di una solitudine più o meno auto-impostasi. Una separazione non consensuale la loro, sottolineata anche da inquadrature riunite da un gioco continuo e costante di campi e controcampi che isolano volti e corpi ormai incapaci di condividere lo stesso spazio di azione e pensiero.

Anime ingenue e pensieri inafferrabili

La fotografia nebulosa circonda e ammanta questi Spiriti dell'isola, e questa Isola degli spiriti, con un vapore acqueo pronto a innalzarsi e bagnare ogni singolo viso, rendendo ancora più inafferrabili, indecifrabili e sfuggenti i meccanismi mentali e i processi interiori di questi personaggi così genuini, primitivi, tanto irrazionali quanto ingenuamente umani.

E così le ombre che avvolgono Pádrac fanno del personaggio di Colin Farrell un'anima ancora più saturnina, vulnerabile, insicura, caratterizzata da un'incapacità di esprimersi apertamente, limitandosi a prendere e far suo il pensiero altrui, ripetendo quanto detto e affermato dai propri interlocutori.

Seguendo una struttura complementare, dove l'inizio è la fine, e la fine è l'inizio in un gioco di ribaltamenti speculari, quelli che fuoriescono dallo scrigno magico dell'Isola di Inisherin sono spettri tanto intangibili quanto toccanti: solitudine, morte e disperazione sono le tre Cariatidi dello spleen umano, tre colonne che vivono e intaccano il microcosmo creato da McDonagh, per volare e abbracciare ogni spazio intimo, ogni villaggio o grande città, così da diventare non solo Spiriti dell'Isola, ma Spiriti dell'uomo.

Gli spiriti dell'isola Concludiamo questa recensione de Gli Spiriti dell'Isola sottolineando come ancora una volta il regista Martin McDonagh si conferma mago delle parole, anche quelle tenute taciute e rinchiuse nello spazio di continui non detti. Una galleria di personaggi tracciati perfettamente e restituiti da performance attoriali di profonda intensità. Un dipinto bucolico dove il paesaggio si eleva a protagonista a sé stante e in cui nulla, nemmeno la più dolente sfumatura di malinconia o dolore, è lasciato al caso.

9

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