“Di vita non si muore”, la vita di Carlo Giuliani "come modo diverso di concepire il mondo" - BergamoNews
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Cinema

La recensione

“Di vita non si muore”, la vita di Carlo Giuliani “come modo diverso di concepire il mondo”

Presentato in Auditorium di Piazza della Libertà il film documentario girato da Claudia Cipriani, dedicato al ragazzo ventitreenne morto durante i fatti del G8 di Genova nel 2001

Bergamo. “Simulo speranza, suscito sconforto, seppellisco saggezze sfrenate, scalcio sicurezze sapienze senza significato, sputtanate. Scetate!”. Così scriveva Carlo Giuliani nel 2000, un anno prima della sua morte, il 20 luglio 2001, ucciso dal carabiniere Mario Placanica durante i fatti del G8 di Genova. Speranze e sconforto, saggezze e sicurezze scalciate, sono alla base del film documentario “Di vita non si muore” di Claudia Cipriani (prodotto da Gir@Film), presentato martedì 16 aprile presso l’Auditorium di Piazza della Libertà.

Una figura diventata un simbolo e strumentalizzata da più parti, quella di Carlo Giuliani, che Claudia Cipriani mostra avendo bene in mente l’idea di raccontare, prima di tutto, il ragazzo che sta dietro al simbolo. Un lavoro iniziato attraverso il confronto con i familiari del ragazzo, tra cui la sorella Elena, presente da remoto, che ha ricordato come “nonostante non siamo riusciti ad arrivare alla verità, cerchiamo comunque di fare memoria, anche attraverso iniziative di solidarietà”. Iniziative come quelle della serata di ieri, organizzata da Associazione Caracol, Circolo Al Bafo, c.s.a. Pacì Paciana, Spazio Jurka e Lab 80 e il cui ricavato è stato donato a favore, appunto, del Comitato Piazza Carlo Giuliani.

Claudia Cipriani, al suo nono documentario, dopo aver raccontato la storia di Giuseppe Pinelli in “Pino. Vita accidentale di un anarchico”, torna a trattare una figura sulla quale ci si interroga ancora oggi, un simbolo di ribellione e libertà, a più di vent’anni dalla sua morte. Un ragazzo morto a 23 anni per un colpo di pistola, durante una delle diverse manifestazioni di opposizione al neoliberismo ed alla globalizzazione. Manifestazioni delle quali Carlo sposava appieno gli ideali, come la lotta per un mondo più giusto ed equo, le amicizie e gli amori vissuti appieno, l’incontro come scambio di idee e occasione di crescita.

Un ragazzo di Genova che vive tra i “caruggi” della propria città, tra movimenti studenteschi e di solidarietà, cultura underground ed idee di ribellione. L’iniziale panoramica di Genova dall’alto si abbassa nei vicoli della città, luogo d’elezione di Carlo. Un Carlo Giuliani che “vive” ancora (come ricordano le tante scritte sparse in giro per il mondo), attraverso una steadycam, tra le sue strade, fino a quando irrompono i servizi d’archivio dei telegiornali, a ricordarne la morte. Un’immagine indelebile, quella del corpo coperto di sangue, canottiera bianca e pantaloncini, inerme a terra in piazza Alimonda.

Scorrono poi le fotografie, come diapositive: prima il suo ricordo, poi la famiglia, gli scatti insieme alla sorella. Una famiglia che lotta ancora per ricordare, attraverso testimonianze e racconti (come quelli della madre Haidi), necessari per la stesura del film. Ricordi che riaffiorano attraverso sequenze di finzione e filmati d’archivio, ma anche sequenze e foto di repertorio, riprese con grana in stile anni Novanta ed in alta definizione, collage animati, il tutto accompagnato da brani d’epoca dei Tekno Mobil Squad. Una “centrifuga visiva e sonora” (come spiegato dalla stessa regista, presente in sala) che si avvale spesso di steadycam e riprese mosse, una scelta stilistica che sembra accennare a quella vita richiamata dalla figura di Carlo Giuliani.

Una vita raccontata in modo complessivo, soffermandosi in particolare sulla ricostruzione di quegli ultimi tragici giorni, che vanno ad intrecciarsi con il contesto politico e la storia del movimento No Global, che sembra ormai silenziato, ma dal quale stanno nascendo, negli ultimi anni, diversi altri movimenti di opposizione. Un ricordo del singolo che diventa ricordo della vitalità intrinseca a quelle idee contrapposte al neoliberismo imperante ad inizio millennio. Lotte apparentemente cambiate, ma che portano avanti ancora istanze profondamente attuali.

Carlo Giuliani, più che nella parte di fiction, si rende presente attraverso le sue parole e l’esigenza di scrittura che l’ha accompagnato da sempre. Poesie, riflessioni, appunti, che più di ogni altro elemento riescono a rendere memoria dell’animo sfaccettato del ragazzo. Un animo che si scagliava contro le barriere di ogni tipo (“le tessere dividono”) e capace di amicizia sincera e dell’amore a Forte Sperone, un animo che non voleva cedere al consumismo che aveva fatto da sfondo agli anni Ottanta, ma che aveva fatto suo l’esempio degli zapatisti del Chiapas.

Una voce di umanità, con i suoi ideali e le sue tante contraddizioni, alla cui poesia viene contrapposta la voce, registrata, di chi, dal comando dei carabinieri, esulta (“uno a zero per noi”). Quell’uno diventato simbolo di “una generazione rimasta sull’asfalto”.

Un’immagine impressa nella mente, capace di lasciare più rimpianti della rabbia originaria. Con la flebile speranza di un tuffo nel mare, una sliding door che avrebbe riportato Carlo alla sua amata acqua piuttosto che all’asfalto rovente di quel pomeriggio. E con la serena consapevolezza, nonostante tutto, che “di vita non si muore”.

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