SFORZA, Paolo in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

SFORZA, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SFORZA, Paolo

Giampiero Brunelli

– Nacque intorno al 1535 da Bosio II e da Costanza Farnese, figlia naturale di papa Paolo III, in un luogo rimasto sconosciuto: forse a Roma, dove la madre risiedeva abitualmente.

La data di nascita si ricava da una bolla del 30 novembre 1544, con la quale veniva nominato scrittore apostolico e qualificato «in nono vel circa suae aetatis constitutus» (cit. in Ratti, 1794, p. 302 nota 1). Compì i suoi studi nel ginnasio perugino.

Non volle procedere oltre nella carriera in Curia. Inclinato alla vita militare, esordì fra i cavalleggeri del fratello Sforza, che combatteva con le truppe imperiali e medicee contro la Repubblica di Siena e i suoi alleati francesi. Nel 1554, in uno scontro nei pressi di Pescia, fu catturato. Liberato in data non precisata, combatté nella guerra di Paolo IV contro gli spagnoli (1556-57) fra le truppe di García Álvarez de Toledo. Fu il primo a entrare in Monticelli (oggi Guidonia-Montecelio), al comando di un corpo di fanteria castigliano.

Nel 1565 partecipò al soccorso a Malta assediata dai turchi, sotto il comando dello stesso García de Toledo. Nell’occasione, era accompagnato da un corpo di fanti, assoldati dagli spagnoli, e da più di trenta ‘venturieri’, cioè ufficiali che militavano a loro spese, fra i quali i nobili umbri Carlo Baglioni e Orazio Bourbon Del Monte. Non entrò in contatto con il nemico, che tolse l’assedio prima della metà di settembre, proprio mentre gli aiuti toccavano terra sull’isola.

Nel 1566 aveva sposato Lucrezia Pio di Carpi, sorella del cardinale Rodolfo, che gli aveva recato in dote 15.000 scudi.

Combatté successivamente in Francia, nel corpo di spedizione pontificio e mediceo inviato in appoggio al re Carlo IX, contro gli ugonotti. Si distinse in particolare nella difesa di Poitiers, nell’estate 1569, e nella battaglia vittoriosa di Moncontour, il 3 ottobre dello stesso anno. All’inizio di gennaio del 1570 era a Roma, per consegnare al cardinal nipote Michele Bonelli gli stendardi catturati agli ugonotti in occasione di quello scontro.

I suoi rapporti con papa Pio V ebbero modo di stringersi, momentaneamente: alla fine del 1570, Sforza fu incaricato di seguire la fortificazione di Castelfranco Emilia, località ai confini settentrionali dello Stato della Chiesa. Tornò quindi al servizio del re di Spagna Filippo II. Nel 1571, al comando di 2000 fanti, servì nella flotta inviata contro i turchi. Si trovava sulla galera di don Giovanni d’Austria durante la battaglia di Lepanto. L’anno seguente, si imbarcò di nuovo, distinguendosi in occasione di uno scontro con i turchi sotto Corone (nel Peloponneso), sul finire dell’estate. Nel 1573, infine, con il suo reggimento, contribuiva al presidio della Sicilia.

Intorno al 1575, iniziò a cercare sistemazioni più soddisfacenti. Tentò dapprima di ottenere l’incarico di mastro di campo generale delle truppe italiane arruolate per conto del re di Spagna, incarico vacato per morte del conte Francesco Landriani. Per dar forza alle sue pretese, tra il 1577 e il 1578 si recò in Spagna. Perse le migliori speranze, tentò di entrare al servizio dei veneziani. Nel giugno del 1581, tuttavia, sopraggiunse una grave malattia.

La sua posizione appariva compromessa. Il cardinale Ferdinando de’ Medici lo considerava malvisto in corte di Roma e continuamente preda «dell’inganno delle sue chimere» (al granduca Francesco I, Roma 31 marzo 1582, in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5090, n. 208). Dovette addirittura difendersi dall’accusa di proteggere i banditi nel suo feudo di Proceno, situato al confine fra Stato della Chiesa e Granducato di Toscana.

Ma recuperò presto il terreno perduto. Si attivò per avere un nuovo cardinale in casa, dopo la morte del fratello Alessandro, nel 1581. La creazione cardinalizia del nipote Francesco, il 12 dicembre 1583, coronò questi sforzi. Egli fallì invece nel guadagnarsi il prestigioso grado di luogotenente del capitano generale di S. Chiesa, che andò al fratello Mario.

Con l’elezione di Sisto V (24 aprile 1585), venne al pettine il nodo rappresentato dalla sua frequentazione di banditi, effettivamente innegabile. Nel novembre del 1585, corse il rischio di essere arrestato e lasciò Roma. Un viaggio programmato in Spagna l’anno seguente dovette essere rimandato, ancora una volta, per motivi di salute. Ma nel 1589 si recò a Napoli per rendere omaggio al nuovo viceré, il conte di Peñaranda Juan de Zúñiga, e soprattutto per sollecitare il pagamento delle pensioni concessegli dal re di Spagna.

Le sue condizioni finanziarie non erano delle migliori. Il Monte dei Baroni, strumento di debito pubblico istituito nel 1590, gli fornì l’apporto di 15.000 scudi freschi. Per gli interessi, però, Sforza doveva versare 975 scudi all’anno.

Finalmente, alla fine di gennaio del 1591, sotto papa Gregorio XIV, ricevette la nomina a luogotenente del capitano generale di S. Chiesa, con 4000 scudi di stipendio. Nella successiva primavera si pose al comando delle truppe scese in campagna contro i banditi che infestavano le province pontificie. Nel successivo ottobre, però, durante la Sede vacante seguita alla morte di papa Sfondrati, dovette rimettere l’incarico.

L’elezione di Clemente VIII (30 gennaio 1592) gli aprì, poco dopo, nuove prospettive. Tra il 1592 e il 1597 il suo nome compare nei Ruoli del palazzo apostolico, a testimonianza di una prossimità quotidiana con il pontefice. Così, quando papa Aldobrandini impresse un’accelerazione al suo impegno antiottomano, allestendo spedizioni militari in Ungheria, Sforza fu chiamato in servizio ai più alti livelli.

Nel 1595, infatti, fu nominato luogotenente del capitano generale Giovan Francesco Aldobrandini. Durante l’estate, guidò il grosso dell’esercito dall’Italia fino ad Ala in Tirolo, primo punto di concentramento stabilito, prima di raggiungere il teatro delle operazioni via fiume. Giunto sotto Strigonia (l’odierna Esztergom, nell’Ungheria settentrionale), si distinse per l’irruenza con la quale volle tentare l’assalto generale, che fu dato il 25 agosto 1595, senza successo. La guarnigione turca della città, comunque, pochi giorni dopo chiese di poter trattare la resa. Sforza partecipò alle trattative, insieme al duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, appena arrivato al campo e da lui stesso ricevuto, a Francesco Bourbon Del Monte, al nipote Ascanio e ad altri. Fu concordato che i turchi si sarebbero ritirati, lasciando però tutte le armi, e che avrebbero liberato gli schiavi cristiani.

Il rientro a Roma fu turbato dall’azione della congregazione cardinalizia dei Baroni, che gli contestava il non aver pagato gli interessi dei detentori dei titoli del suo debito pubblico. Sforza tentò di far intervenire la S. Consulta a suo vantaggio, ma nel gennaio del 1597 gli fu intimato comunque di procedere alla vendita di un suo feudo per guadagnare 2000 scudi di liquidità.

Fu anche un attivo investitore immobiliare: fra l’altro, acquistò sul Quirinale gli orti poi passati ai Barberini. Nell’area ove questi ultimi edificarono l’omonimo palazzo seicentesco insisteva il suo palazzo, che dava il nome alla piazza.

Morì nel 1597 nel suo feudo di Onano, nell’Alta Tuscia. Venne seppellito nella chiesa di S. Paolo dei Cappuccini, a Proceno. Lasciò erede il pronipote, Alessandro Sforza, duca di Segni (nipote in linea diretta di Mario, suo fratello).

Fonti e Bibl.: N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 300-307; A. Guglielmotti, Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto, Firenze 1862, pp. 179, 402; M. Jačov, I Balcani tra Impero ottomano e potenze europee, sec. XVI e XVII: il ruolo della diplomazia pontificia, Cosenza 1997, p. 125; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, Roma 2003, ad ind.; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio 1592-1605, Stuttgart 2004, ad ind.; M.B. Guerrieri Borsoi, Villa Rufina Falconieri. La rinascita di Frascati e la più antica dimora tuscolana, Roma 2008, pp. 43-44.

© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata

TAG

Don giovanni d’austria

Granducato di toscana

Ferdinando de’ medici

Battaglia di lepanto

Marcantonio colonna