Amèndola, Giovanni nell'Enciclopedia Treccani - Treccani - Treccani

Amèndola, Giovanni

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Uomo politico italiano (Napoli 1882 - Cannes 1926). Giornalista e docente di filosofia, volontario e decorato nella prima guerra mondiale, fu avverso allo squadrismo e all'illegalismo fascisti, e divenne fra i demo-liberali uno dei capi dell'opposizione in Parlamento. Costretto all'esilio, morì in Francia per le conseguenze di una delle tre aggressioni subite dai fascisti.

Vita e attività

Libero docente di filosofia nel 1913, collaboratore del Leonardo e poi della Voce di G. Papini e G. Prezzolini, fondatore e direttore con G. Papini de L'Anima (1911), la sua posizione filosofica può caratterizzarsi come una forma di volontarismo etico. Iniziato al giornalismo da E. Arbib, fu al Resto del Carlino e dal 1914 al Corriere della sera. Nel 1914-15 partecipò attivamente, anche attraverso i Gruppi nazionali-liberali, da lui fondati, alla campagna interventista; fu poi volontario e decorato della prima guerra mondiale. Fu uno degli organizzatori del convegno, poi sfociato nel Patto di Roma (1918), dei rappresentanti dei popoli oppressi dalla monarchia austroungarica; si oppose apertamente alla politica di Sonnino e fu fautore di un'intesa con gli Iugoslavi. Nel dopoguerra abbandonò il suo precedente liberalconservatorismo per accostarsi alle posizioni di Nitti, e svolse attiva opera per rinnovare dall'interno le vecchie forze liberali e democratiche. Deputato dal 1919, sottosegretario alle Finanze con Nitti (1920), ministro per le Colonie nei due gabinetti Facta (1922), ostile allo squadrismo e all'illegalismo fascisti cercò di legare, direttamente o indirettamente, i deputati fascisti al governo al fine di incanalare il movimento fascista nel quadro dello stato liberale. Nelle giornate dell'ott. 1922 fu strenuo avversario con P. Taddei della capitolazione di fronte al fascismo. Divenuto con L. Albertini e i gruppi demo-liberali uno dei capi dell'opposizione costituzionale in Parlamento e, fuori di esso, dalle colonne del Mondo, A. fu uno dei pilastri dell'Aventino. Nel 1924 fondò un movimento antifascista che ebbe diffusione soprattutto nel Mezzogiorno, l'Unione democratica nazionale. Aggredito da elementi fascisti a Roma nel 1923 e 1925, morì per le conseguenze di un'ultima aggressione subita vicino a Montecatini sempre ad opera di fascisti. Le sue ceneri sono state trasportate da Cannes a Napoli nel 1950.

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