Ted Lasso, intervista a David Rom e Vanessa Whyte, direttori della fotografia

Ted Lasso serie tv 2020

Se Ted Lasso è uno show entrato di diritto nel cuore degli spettatori di Apple TV+ il merito va attribuito anche alla sua estetica precisa, capace di far respirare atmosfere quotidiane e confortevoli. Sotto questo punto di vista il lavoro della fotografia ha rappresentato una parte fondamentale per il conseguimento di tale obiettivo. Noi di Cinefilos abbiamo intervistato i direttori della fotografia David Rom e Vanessa Whyte, che hanno creato l’estetica di questa serie partendo rispettivamente dalla prima e seconda stagione. Ecco cosa ci hanno svelato dello show:

 

A livello estetico Ted Lasso ha creato un microcosmo preciso e riconoscibile, con ambientazioni familiari che gli hanno regalato coerenza visiva. Come avete lavorato con scenografi e costumisti per raggiungere questo risultato?

David Rom – Quando abbiamo pensato alla serie ci siamo ispirati al Crystal Palace, i cui colori principali sono blu e rosso. Questo ha in qualche modo definito il lavoro di tutti, abbiamo scelto di attenuare leggermente la brillantezza dei colori perché l’ambientazione risultasse più piacevole, rilassante. Il resto è venuto di conseguenza, è stato un processo creativo molto organico.

Vanessa Whyte – Allo stesso tempo è stato molto interessante di tanto in tanto uscire dai soliti teatri di posa e trovare qualche soluzione nuova per esprimere visivamente lo stato dei personaggi. Nella terza stagione ad esempio una nuova ambientazione quale l’ufficio di Keeley ci ha regalato una ventata d’aria fresca, permettendoci di trovare soluzioni cromatiche diverse rispetto ad esempio allo spogliatoio del Richmond o ad altri set principali.

Come avete deciso di passare dai trenta minuti della prima stagione alla durata più estesa delle successive?

D.R. – Anche le puntate della prima stagione dovevano durare quarantacinque minuti, poi si sono accorti che il ritmo e il tono funzionavano meglio con trenta. Per un direttore della fotografia di solito non cambia nulla, a parte il tempo a disposizione per preparare le illuminazioni dei set. Per il resto il mio approccio estetico è rimasto identico.

V.W. – La peculiarità di questa serie sta nel fatto che all’inizio ti arriva una sceneggiatura di quaranta pagine, poi quando vai a girare sono diventate cinquanta. Quello che puoi fare è adattarti, essere spontaneo durante le riprese. I miei episodi nella seconda stagione, ovvero il settimo e l’ottavo, si sono gonfiati mentre li giravamo essendo in pratica degli standalone.

D.R. – Aggiungerei che la durata maggiore avvantaggia il direttore della fotografia in quanto consente riprese con inquadrature più lunghe, che non verranno tagliate in fase di montaggio. A livello visivo preferisco questo tipo di lavoro sul tempo dell’inquadratura.

Col passare delle stagioni Ted Lasso è diventato uno show sempre più corale, con le puntate che hanno alternato spesso toni se non addirittura protagonisti. Come ha cambiato il vostro modo di lavorare?

D.R. – Quando giriamo in studio cerchiamo sempre di ottenere quell’effetto estetico che lega gli episodi, che fa da collante. Quando andiamo in esterni invece, e penso alla puntata della terza stagione girata ad Amsterdam, cerchiamo di andare in direzioni differenti: possiamo esprimere i personaggi in maniera diversa, Ted Lasso lo permette in quanto molte scene sono girate in location vere.

V.W. –  Per me conta molto la composizione dell’inquadratura, fattore che cambia radicalmente se ci sono scene con uno o due personaggi oppure con l’intera squadra, come dentro lo spogliatoio. Alternando questo tipo di situazioni si crea spesso molto spazio per commedia o dramma, allora il modo di girare influisce maggiormente dell’effetto che si sta cercando.

Quale è il vostro episodio preferito nel corso delle tre stagioni?

D.R. – Senza dubbio l’episodio che ho citato, quello girato ad Amsterdam. Dopo settimane di spogliatoio e corridoi, girare all’aperto è stato liberatorio. La sceneggiatura di quella puntata poi è piena di gioia, connette i personaggi in maniera emozionante e positiva. Anche se le condizioni di riprese sono state complesse, ha piovuto tutto il tempo e abbiamo lavorato per una settimana fino alle cinque del mattino.

V.W. – Lo stesso posso dire dell’episodio che vede Coach Beard protagonista. Nonostante stessimo girando in piena estate faceva incredibilmente freddo. In piú abbiamo lavorato in piena Londra, dove ci sono restrizioni ferree sull’uso di macchinari o sul disturbo della quiete pubblica. Abbiamo avuto il permesso di girare soltanto la settimana prima delle riprese, quindi abbiamo dovuto lavorare con una troupe ristretta e mezzi leggeri.

Intervista a David Rom e Vanessa Whyte, direttori della fotografia di Ted Lasso

Dal momento che Fuori orario di Martin Scorsese è uno dei miei film preferiti degli anni ‘80, devo per forza chiedere a Vanessa dell’omaggio che ha fatto al film nella puntata della seconda stagione dedicata proprio a Coach Beard…

V.W. – Lo sceneggiatore di quell’episodio è un cinefilo accanito, sa tutto di Martin Scorsese e di quel lungometraggio. Nella sceneggiatura c’erano anche riferimenti ad Arancia meccanica o ad altri capolavori. Ho speso molto tempo con lui a parlare di come organizzare la puntata a livello visivo. Ci siamo divertiti molto a girarlo, é stata una vera soddisfazione riempirlo di così tante citazioni.

Il calcio è senza dubbio uno degli sport più difficili da tradurre in immagini, probabilmente a causa della compressione del tempo di gioco effettuata in fase di montaggio. Che tipo di sfida avete affrontato nel girare i match del Richmond?

D.R. – Fin dall’inizio, quando abbiamo visitato vari stadi per capire come organizzare le riprese, ci è stato chiaramente vietato di girare sui prati di gioco. Ovviare a questo rappresenta sempre un qualcosa che ti distanzia in qualche modo dal calcio vero, senza contare che spesso poi non puoi neppure citare le squadre o i calciatori reali. Ted Lasso riesce ad ovviare a molti di questi problemi perché in fondo parla molto poco di calcio.

V.W. – A livello tecnico il problema sta nel girare con i giocatori quasi sempre in area di rigore, mentre i tecnici stanno vicino alla panchina, praticamente due set differenti. Poi hai il pubblico, gli effetti speciali per riempire lo stadio. Insomma, ci sono talmente tanti tasselli del puzzle da riempire che diventa un vero e proprio tour de force. Per le partite di calcio solitamente si fa molto uso anche della seconda unità per girare le azioni di raccordo.

Entrambi avete lavorato a diversi show televisivi: in cosa Ted Lasso si differenzia rispetto agli altri?

V.W. – Per me si tratta di un’esperienza unica, qualcosa che non avevo mai provato in precedenza. Forse perché è il mio primo show americano, oppure per il fatto che è un processo organico in grado di lasciare molto spazio a quello che avviene sul set, ma si respira un’atmosfera diversa. La troupe è praticamente la stessa dal primo episodio, non succede mai in una produzione.

D.R. – Non posso che concordare. Non avevo mai girato commedie prima di questa, forse per questo mi hanno voluto coinvolgere fin dal principio. Girare scene con venti persone dentro una stanza rappresenta una bella sfida, il clima disteso che abbiamo respirato ogni singolo giorno ha creato il senso di cameratismo necessario per poterlo realizzare. Ammetto che all’inizio non avevo compreso la portata della serie, non riuscivo a capire verso che tipo di pubblico fosse diretta. Iniziando a lavorarci ho scoperto quanto fosse profonda e diversa dal resto. Si è trattato di un processo creativo appagante.

Ci sono stati altri show, film o magari anche soltanto direttori della fotografia a cui vi siete ispirati per alcuni episodi di Ted Lasso?

D.R. – Prima di iniziare a lavorare alla prima stagione ci siamo orientati guardando film come Moneyball o Io, Tonya, quest’ultimo in particolare per capire come girare le scene sul campo di calcio. Fin dal principio sapevamo che non volevamo farne una commedia simile a quelle delle TV via cavo, poi per ogni episodio abbiamo concordato con i veri registi che tipo di riferimenti intendevamo inserire, svariando da film a altre serie TV o anche addirittura opere letterarie.

V.W. – Essendo entrata nel cast nella seconda stagione, i miei riferimenti sono stati soprattutto gli episodi della prima. Il mio lavoro consisteva nel continuare quello stile invece di proporne altri. Poi nel nono episodio, quello di Beard e della sua notte di svago, ho avuto carta bianca per provare qualcosa di nuovo. Uno dei film a cui mi sono ispirata è stato l’argentino Il clan, diretto da Pablo Trapero. Essendo una grande fan di Stanley Kubrick, ho inserito nella puntata il mio omaggio personale ad Arancia meccanica e Shining, ho potuto tirar fuori il mio animo geek!

Ultima domanda: non c’è davvero nessuna speranza di avere una quarta stagione di Ted Lasso?

V.W. – Non ne ho idea. Muoio dal desiderio che Jason mi chiami un giorno per darmi qualche buona notizia…

D.R. – Fin dall’inizio è stato pianificato come uno show in tre stagioni. Non so nulla di una possibile espansione dell’universo di Ted Lasso. Credo che nessuno si aspettasse un successo così eclatante, magari un pensierino a continuare lo stanno facendo…

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