Il film: Ghostbusters – Minaccia glaciale (Ghostbusters: Frozen Empire), 2024. Regia: Gil Kenan. Cast: Paul Rudd, Carrie Coon, Finn Wolfhard, McKenna Grace, Kumail Nanjiani, Patton Oswalt, Celeste O’Connor, Logan Kim, Bill Murray, Dan Aykroyd, Ernie Hudson, Annie Potts, William Atherton. Genere: commedia, azione, fantascienza. Durata: 115 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema, in lingua originale.
Trama: Una forza demoniaca si abbatte nuovamente su New York, costringendo due generazioni di Ghostbusters a unire le forze.
A chi è consigliato? Ai fan del franchise, in particolare della serie animata degli anni Ottanta e del legacyquel del 2021.
“For Harold”, recitava l’inizio dei titoli di coda di Ghostbusters: Legacy, il terzo film del filone principale del franchise e primo realizzato dopo la morte di Harold Ramis, co-creatore dei personaggi e interprete di Egon Spengler. “For Ivan”, recita l’inizio dei titoli di coda del sequel, di cui parliamo in questa recensione di Ghostbusters – Minaccia glaciale, il primo capitolo girato dopo la scomparsa di Ivan Reitman, regista dei primi due film (e qua accreditato simbolicamente come produttore, nonostante il progetto sia stato annunciato dopo la sua morte). Due messaggi altrettanto sinceri, ma legati a film che nascono da intenzioni ben diverse l’uno dall’altro, entrambi frutto della volontà di trasformare uno dei più grandi successi del 1984 in qualcosa di più, come se dietro ogni trionfo al botteghino ci fosse il potenziale per un universo narrativo espanso.
Un piano, quello della Sony-Columbia (che festeggia il proprio centenario, e il quarantennale del capostipite), che ha portato a un sequel nel 1989, poi a un remake tutto al femminile nel 2016, accolto in maniera divisiva. Da lì la scelta di fare un cosiddetto legacyquel con il passaggio del testimone, con atmosfere meno apertamente comiche. Ed è un po’ strano, in effetti, che lo zoccolo duro dei fan, solo per la gioia di vedere Peter Venkman e soci in versione imbolsita, abbia accettato senza riserve un tono più malinconico per un franchise il cui inauguratore conteneva Dan Aykroyd che riceveva piacere orale da un fantasma e l’immortale battuta (solo leggermente meno greve in inglese) “Venimmo, vedemmo, e lo inculammo!”.
Una gelida estate
Sono passati due anni da quando la famiglia Spengler si è trasferita a New York per continuare l’operato di Egon, mantenendo vivo il nome dei Ghostbusters con occasionali aiuti da parte di Ray Stantz, Winston Zeddemore e Peter Venkman. Un giorno, Ray entra in possesso di un misterioso oggetto sferico, la cui energia spettrale fa impazzire gli strumenti di misurazione. Al suo interno si cela un male antico, antichissimo, che se liberato provocherà una nuova era glaciale e conquisterà il mondo con un esercito di fantasmi, uccidendo gli umani con il semplice potere della paura allo stato puro. E non ci vuole molto perché riesca a reclutare gli spettri, perché ancora una volta Walter Peck, improbabilmente eletto sindaco, vuole far sì che i Ghostbusters chiudano la baracca. E l’ultima volta che l’ha fatto, le presenze dall’aldilà hanno quasi raso al suolo la Grande Mela…
Famiglia allargata
Ritorna il nuovo gruppo introdotto nel film precedente, con Paul Rudd come primo nome nei credits anche se l’arco narrativo principale è legato alla Phoebe Spengler di McKenna Grace, adolescente che si interroga sul proprio ruolo all’interno della famiglia e sull’eredità professionale del defunto nonno Egon. Ovviamente ritornano anche i Ghostbusters originali, con Dan Aykroyd quasi promosso a comprimario importante al fianco del nuovo team, mentre per Ernie Hudson, Bill Murray, Annie Potts e William Atherton (che fa capolino nei panni di Walter Peck) si tratta essenzialmente di camei estesi. Manca all’appello Sigourney Weaver, mentre sul fronte delle nuove leve si fanno notare Kumail Nanjiani e il comico inglese James Acaster, al suo primo ruolo significativo in una produzione hollywoodiana. Con loro due Patton Oswalt, convocato per la parte di un esperto di spiriti antichi, completa un ideale trio di umoristi presumibilmente ingaggiati perché fan sfegatati del primo lungometraggio.
Non ci sono più i fantasmi di una volta
È sempre stato un universo mutevole, quello degli acchiappafantasmi: dopo il primo film, irriverente come molte commedie di quel periodo, già il secondo era più edulcorato (e questo nuovo capitolo allude a una delle modifiche, ossia l’eliminazione del tabagismo dei Ghostbusters), frutto del successo della serie animata del 1986 che aveva aumentato la popolarità dei personaggi presso un pubblico più giovane. Dopo vari tentativi andati a vuoto per un terzo capitolo (perché era necessaria l’approvazione unanime di Reitman padre, Ramis, Aykroyd e Murray, e quest’ultimo era contrario all’idea), c’è stato il remake al femminile del 2016, squilibrato ma ad oggi il film che si avvicinava maggiormente allo spirito del prototipo. E poi Legacy, con il passaggio del testimone sullo schermo e nella vita, con regia e sceneggiatura firmate da Jason Reitman, figlio d’arte che si è servito della struttura del legacyquel per meditare sul proprio rapporto con il franchise e con la figura paterna, dalla quale si era volutamente distanziato girando commedie più sofisticate e amare.
Viale del tramonto?
Minaccia glaciale vuole essere al contempo un sequel di Legacy, quindi con un tono più serio(so), e la versione live-action di un episodio della serie animata, con trovate mitologiche – la parte più interessante del progetto – miste a punte di demenzialità come il ritorno in scena di Slimer, la figura più efficace sul piano puramente comico, forse perché, essendo un effetto speciale, non esibisce l’aria annoiata che caratterizza quasi l’intero cast umano. Perché laddove Legacy, per quanto non privo di elementi discutibili (la necrofilia digitale del cameo postumo di Ramis), nasceva comunque da un desiderio sincero di raccontare quella storia specifica, il seguito ha tutta l’aria di un’operazione cinicamente studiata a tavolino per sfruttare un brand che, nonostante l’implicazione del numero di film realizzati, non è mai stato un fenomeno commerciale eclatante al livello di altri franchise di successo.
Un brodo talmente allungato che è bulimico (115 minuti per una sedicente commedia, salvo rare eccezioni, sono troppi) e allo stesso tempo troppo stringato, lasciando l’impressione che il terzo atto – quello da cui sono tratte quasi tutte le scene dei vari trailer, molte delle quali assenti nel montaggio finale – sia stato rimaneggiato fino a diventare solo una pallida ombra di tutto ciò che prometteva. E se nell’universo diegetico l’esito è un altro, fuori dallo schermo viene voglia di dare ragione a Walter Peck: forse è ora che si chiuda la baracca.
La recensione in breve
Un'operazione nostalgica che allude alle vecchie glorie di un franchise ormai privo di energia, incapace di gestire in modo efficace le sue due generazioni di acchiappafantasmi.
Pro
- James Acaster e Kumail Nanjiani fanno ridere il giusto
- Gli effetti speciali sono sempre più impressionanti
Contro
- Il cast storico ha l'aria piuttosto annoiata
- Paul Rudd e soci non hanno la stessa energia che avevano nel 2021
- Le risate sono molto intermittenti
- Il finale è troppo frettoloso
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Voto CinemaSerieTV