I Devo, la vera storia: "Ebbene sì, eravamo gli alieni del pop"

La vera storia dei Devo secondo i Devo: “Eravamo gli alieni del pop, i pionieri a cui fare lo scalpo”

Al Sundance è passato il documentario che racconta l'improbabile e straordinaria ascesa di uno dei più grandi gruppi di sempre, che festeggerà i 50 anni dalla formazione nientemeno che al Moma di New York. Parlano i fondatori Mark Mothersbaugh e Gerald Casale: "Abbiamo portato nella musica i movimenti artistici europei degli anni '20 e '30, anche i futuristi italiani". L'intervista di THR

Come i Devo ci sono solo i Devo, e probabilmente non ci sarà mai un altro gruppo simile. La band new wave meglio conosciuta per la megahit del 1980 Whip It è nata ad Akron, Ohio, nel 1973, quando due coppie di fratelli – Mark e Bob Mothersbaugh e Gerald e Bob Casale – si incontrarono alla Kent State University e decisero di creare un collettivo artistico.

Il nome derivava dal concetto di “de-evoluzione”, una sorta di darwinismo al contrario che sosteneva ironicamente che il genere umano si stesse muovendo all’indietro. Ma poi furono testimoni del famigerato Massacro della Kent State del 4 maggio 1970, in cui i militari della Guardia Nazionale dell’Ohio uccisero quattro studenti disarmati che protestavano contro la guerra, spingendo i Devo nel mondo delle performance e dell’arte di protesta. Lungo il percorso, i Devo crearono video surrealisti per accompagnare la loro musica, tra cui il cortometraggio The Truth About De-Evolution del 1976, che divenne un fenomeno underground, attirando l’attenzione di David Bowie e facendo ottenere loro un contratto discografico con la Warner.

La storia della band viene ora raccontata in un nuovo documentario di Chris Smith (Wham!, Fyre – La più grande festa mai avvenuta), proiettato domenica 21 gennaio al Sundance, alla presenza della band. A seguire, un evento al Museum of Modern Art di New York il 27 gennaio, per presentare i loro archivi cinematografici e video appena restaurati e rimasterizzati e celebrare il loro cinquantesimo anniversario.

Il regista Chris Smith, Mark Mothersbaugh e Gerald Casale hanno incontrato The Hollywood Reporter per ricordare l’improbabile ascesa dei Devo verso la celebrità pop.

Chris, perché ha voluto raccontare la storia dei Devo?

Smith: Sono cresciuto nel Midwest e avevamo l’aspirazione di fare cose che potessero andare oltre il Midwest, e non c’erano molti esempi. Uno di quelli che ha influenzato maggiormente me e i miei amici sono stati i Devo. Prima di Internet, c’erano poche cose che si distinguessero davvero e che suonassero diverse, uniche e singolari, e i Devo erano una di queste. Credo che ci parlassero come poche altre cose a livello artistico. Se ti capitava di avere una VHS di Andy Kaufman, poi la facevi girare a tutti i tuoi amici, ed era la stessa cosa con i video dei Devo: quelle cassette erano ormai consumate quando avevi finito di passarle a tutti. Le guardavi in loop. I video dei Devo sono stati una di quelle cose che credo ci hanno davvero aperto la mente su ciò che era possibile fare dal punto di vista artistico e creativo.

Vedere la band prendere forma è molto interessante. Potreste parlare un po’ della tragedia della Kent State e di come è nato il gruppo? Perché è un’origine così insolita per una band.

Casale: In realtà no. Eravamo prodotti del nostro tempo e del nostro ambiente, ma poi quello che abbiamo trovato in quel tempo e in quell’ambiente è stato qualcosa di universale. Ogni persona creativa non fa altro che cercare di capire il significato di ciò con cui ha a che fare. E piuttosto che dimenticarlo o sopprimerlo, se ne appassiona o ne diventa ossessionata, ed è esattamente quello che abbiamo fatto noi. È stato un periodo storico orribile, non diverso da quello attuale, in cui il paese era completamente diviso e polarizzato. C’era una guerra inventata, c’erano morti veri, c’era Nixon.

Mi ero unito all’SDS, Students for a Democratic Society, quando l’attivista contro la guerra Mark Rudd era venuto al campus dalla Columbia, nel 1968, per reclutare persone per creare una sezione alla Kent. La protesta del 1970 riguardava l’espansione della guerra in Cambogia senza un atto del Congresso, quindi ancora una volta le divisioni tra i tre rami del governo venivano usurpate da un uomo autoritario, una storia ormai familiare. Non sapevamo che le pistole fossero cariche, ed è lì che tutto è cambiato.

Mothersbaugh: Io e Bob avevamo partecipato alle proteste nei due giorni precedenti a quella in cui era presente Jerry. Io aveva partecipato a quella in cui avevano marciato fino al centro di reclutamento dell’esercito e avevano iniziato a lanciare sassi contro le finestre, e Bob era presente il giorno dopo, quando hanno bruciato l’edificio del Corpo di addestramento degli ufficiali di riserva. Quindi, quando arrivò Jerry, avevano già caricato le armi.

Una scena dal documentario sui Devo, passato al Sundance Film Festival

Una scena dal documentario sui Devo, passato al Sundance Film Festival

Ma da una cosa del genere ci si aspetterebbe una canzone molto seria, come Ohio di Neil Young, qualcosa che evochi sincerità e un senso di oppressione. Ma da lì sono nati i Devo, che io associo al caos, al divertimento e alla leggerezza. Quindi, potete tracciare una linea di demarcazione e spiegare come si è passati da un’esperienza orribile a un’installazione artistica ultraterrena?

Mothersbaugh: Quando i Devo hanno iniziato, non erano canzoni pop. Non era affatto collegato a ciò che accadeva nella musica pop. Era tutto molto sperimentale e molto dark. Nelle prime cose che scrivevamo, Bob scriveva canzoni in 11/4. Jerry scriveva testi arrabbiati, beatnik, esagerati. E io cercavo suoni che nessuno aveva mai sentito prima. Cercavo razzi V-2 e colpi di mortaio, pistole a raggi e cose del genere, che non erano ancora apparse nella musica. All’inizio eravamo molto più arrabbiati e aggressivi rispetto a quando abbiamo iniziato a pubblicare i dischi con la Warner e la Virgin.

Casale: Il trauma è andato in profondità ed è diventato assolutamente concettuale. Non si trattava di scrivere canzoni politiche. Si trattava di sentirsi veramente alieni: non alienati, ma alieni. Guardavamo agli esseri umani e a quel punto abbiamo detto: “C’è un grave difetto nella natura umana”. Da lì è nata l’idea che avevamo bisogno di una visione alternativa del mondo, perché la visione tradizionale non spiegava adeguatamente cosa stesse succedendo agli esseri umani. Devo era solo un’enorme idea di collettivo artistico. Per noi era molto importante essere una band multimediale.

Mothersbaugh: Pensavamo al progetto come a ciò che stava accadendo in Europa negli anni venti e trenta. Pensavamo che qui potesse esserci un cabaret Devo o un Club Devo. E poi, quando abbiamo iniziato a parlare di una band, abbiamo pensato: “Beh, non vogliamo andare in giro in tour e basta”.

Ricordo che molto prima che ci fossero i Menudo, io e Jerry dicevamo “beh, potrebbero esserci una mezza dozzina di Devo. Potrebbero esserci una mezza dozzina di gruppi che vanno in giro a fare musica”.

Casale: L’idea in realtà l’abbiamo presa da Andy Warhol, quando mandava in giro degli impostori. Ci era piaciuto molto. Il mondo dell’arte era scandalizzato. La stampa nazionale era scandalizzata. Andava agli eventi, e poi non era lui. Era solo un tizio con la sua parrucca.

Nel film c’è un passaggio molto interessante in cui dovete stare lì mentre Mick Jagger ascolta la vostra versione di Satisfaction. Cosa stavate cercando di fare di diverso con quella canzone nella vostra cover?

Mothersbaugh: Non è che l’abbiamo programmata prima di farla. È successo e basta, una sera mentre stavamo provando. Eravamo in una stanza gelida e Bob Casale ha iniziato a suonare questo piccolo riff, che suonava piuttosto bene. Jerry ha iniziato a metterci sopra un giro di basso reggae, e il batterista Alan Myers aveva questa parte di batteria che iniziava con il rullante, e Bob Mothersbaugh ci ha messo sopra una parte di chitarra. Non lo so. Ho iniziato a cantare Satisfaction e tutti si sono messi a ridere, perché non era una cosa ovvia.

Casale: È stata vera spontaneità, vera creatività e uno di quei casi che dimostra che eravamo un vero collettivo. L’abbiamo fatto insieme e non sarebbe successo se non fossimo stati tutti insieme in quella stanza. Era come un esempio di prova di fattibilità. Perché mentre Jagger cantava di non essere soddisfatto, sembrava proprio che lo fosse. La canzone suona come una musica orientata al sesso, maschile, che si pavoneggia, da galletto. E la nostra suonava come se quel tizio davvero non riuscisse a trovare alcuna soddisfazione.

Devo circa 1980. Da sinistra: Mark Mothersbaugh, Gerald Casale, Bob Mothersbaugh, Alan Myers e Bob Casale

Devo circa 1980. Da sinistra: Mark Mothersbaugh, Gerald Casale, Bob Mothersbaugh, Alan Myers e Bob Casale

Mi piacerebbe sapere com’è nato il vostro iconico copricapo rosso, il cosiddetto “energy dome”. Da dove viene?

Casale: Nel ’74, ’75…

Mothersbaugh: Eravamo interessati, come abbiamo detto, a questi movimenti artistici europei degli anni ’20 e ’30. Parlavamo di cose come il Ballet Mécanique e i futuristi italiani. Ci piacevano i loro disegni geometrici e i loro costumi. Ricordo che un giorno eravamo seduti a tavola nell’appartamento di Bob e Jerry. Bob entrò nella stanza con un fumetto in cui c’era un personaggio spaziale che indossava quel cappello, ma con dei copriorecchie. Un paio di anni dopo, un caro amico di Jerry qui in California, John Zabrucky, aveva fondato una delle più grandi aziende di oggetti di scena di Los Angeles. John lo mise in contatto con un produttore di oggetti di scena di nome Brent Scrivner e Jerry gli diede un disegno di come doveva essere quel cappello.

Casale: È diventata una cosa di cui tutti ridevano e che tutti volevano. Dicevano che era un vaso da fiori. Era come la vecchia battuta sul mettersi un paralume in testa quando si è ubriachi, solo che in realtà non era niente di tutto questo. Il design definitivo si basava sulle proporzioni di una plafoniera art déco. Immaginatela appesa, ma poi giratela e mettetela in testa, facendo in modo che sia a misura di una testa umana.

Mothersbaugh: Ci piaceva l’idea di avere tutti lo stesso aspetto.

Casale: Avevamo già i completi fatti di naugahyde, e questo era l’accessorio: cappelli geometrici che evocano i templi Maya e tutto ciò proviene dagli anni ’20 e ’30, e che stanno bene con gli abiti argentati.

Avete mai incrociato i Kraftwerk?

Mothersbaugh: Sì. In pratica, stavamo registrando il nostro primo album a Neunkirchen, in Germania.

Casale: Febbraio 1978.

Mothersbaugh: Mentre eravamo lì, ci chiamarono per dirci che stavano per fare il loro primo tour e ci chiesero se potevano proiettare il film dei Devo, The Truth about De-Evolution, con Jocko Homo e Secret Agent Man. Ci chiesero se potevano usarlo come apertura, e noi rispondemmo: “Sì, fantastico”.

C’è una somiglianza con i Devo nelle uniformi e nella spersonalizzazione.

Casale: C’era un sacco di crossover.

Mothersbaugh: Penso che i Kraftwerk siano ciò che i Ramones sono per il punk e gli AC/DC per l’heavy metal. Hanno una voce molto concisa e molto minimalista, ma è esattamente ciò che deve essere.

Una delle cose più interessanti è il modo in cui avete anticipato MTV con i vostri video, e poi vi siete trovati al posto giusto e al momento giusto per la nascita di MTV, ma poi MTV vi ha rapidamente abbandonato.

Casale: È una storia familiare, che capita sempre a tutti. Eravamo i pionieri a cui hanno fatto lo scalpo. Avevano bisogno di noi perché non avevano contenuti e noi avevamo anticipato la forma d’arte, come hai detto tu. Così, hanno preso cinque video e li hanno passati a rotazione in modo folle.

Ma erano presenti solo in tre città. Poi sono diventati nazionali, grazie ai fondi di investimento dell’American Express e hanno improvvisamente legato la loro playlist alla Top 40. L’idea di nuovi tipi di musica con ottimi video è passata in secondo piano rispetto ai numeri. Non importava quanto fosse brutto un video, purché fosse collegato a una canzone di successo.

Non sembrava che fossero davvero interessati all’arte.

Mothersbaugh: Esatto.

Casale: Eravamo così ingenui da pensare che lo sarebbero stati.

Stando al film, non era previsto che Whip It diventasse un grande successo. Che cosa è stata per voi?

Casale: Era solo una canzone che ci piaceva e che volevamo inserire nel disco. Non mettiamo su un disco nulla che non ci piaccia, ma era solo un’idea. E non saprei nemmeno come fare un’altra Whip It, perché sarebbe stupido, no? Cosa fai, ricominci con lo stesso ritmo?

Mothersbaugh: Beh, qualcuno ha fatto Beat It e poi qualcun altro ha fatto Whip It Good.

Casale: Sì, è vero, ma erano altre persone.

Per me è stato divertente quando siete usciti con il video di Whip It e il suo contenuto sessuale piuttosto evidente. Poi un video successivo con una patatina fritta che attraversa una ciambella vi ha fatto bandire da MTV.

Casale: Una patatina fritta animata e una ciambella animata.

Il vostro rapporto con la sessualità è interessante. Vi presentate come creature molto asessuate, deridendo quasi completamente la sessualità dell’industria musicale americana. Avevate delle groupie? Sicuramente sì. Eravate davvero famosi. Come vi comportavate con loro?

Mothersbaugh: Erano per lo più uomini.

Casale: Forse mi illudevo. Non ho mai pensato a loro come a delle groupie. Ci sono donne a cui piacciono i neurochirurghi. Ci sono donne a cui piacciono i golfisti professionisti. Sono groupie? Si concentrano su ciò che fai e si eccitano per la tua competenza, professionalità o creatività. Gli uomini inseguono la bellezza e le donne il successo. So che suona politicamente scorretto, ma è la verità.

OK, quindi, a quanto pare, avevate delle groupie.

Casale: Se vuoi chiamarle così. Pensavo che le groupie lo facessero con ogni band che passava in città.

Sono sicuro che avevate persone che vi seguivano e si vestivano come voi e facevano come con i Grateful Dead, ma con i Devo.

Casale: Come ha detto Bob, erano per lo più uomini.

Avevate un seguito gay?

Mothersbaugh: Ricevevamo fiori e caramelle da ragazzi che erano cotti di noi.

Qual è la proposta più folle che vi hanno fatto? Sto pensando a un cartone animato del sabato mattina o a un musical di Broadway. La gente si è avvicinata a voi con questo tipo di proposte?

Casale: La cosa più scandalosa è stata Richard Branson che ha cercato di fare di Johnny Rotten il cantante dei Devo. Quella stata la cosa più scandalosa.

Mothersbaugh: È stata una cosa strana, sì.

Che cosa è successo?

Mothersbaugh: Aveva portato me e Bob Casale in Giamaica e ci siamo incontrati in un hotel. Lui era con tre o quattro sudafricani con cui aveva messo su la Virgin, e hanno cominciato a rollare questi spinelli giganteschi. In Ohio non avevamo niente del genere. Probabilmente la marijuana che si trovava in Ohio era per metà origano. E loro continuavano a passarceli e a farci fumare questa roba.

E poi abbiamo iniziato a parlare dei Sex Pistols. Io ho detto: “Oh, sì. È il mio gruppo punk preferito tra tutti quelli in circolazione. È fantastico che tu li abbia scritturati”. E lui: “Ti dirò perché sei qui. Johnny Rotten è nella stanza accanto. Ci sono giornalisti di Melody Maker, New Music Express e Sounds“. Poi aggiunse: “Siamo tutti pronti per andare in spiaggia. Johnny è in una stanza. Vogliamo andare lì e annunciare che si unisce ai Devo”. Ricordo solo che lo guardai e aveva i denti sporgenti, e veniva verso di me con uno sguardo folle. Pensavo: “Sembra una scimmia mangia-cervelli”.

I Devo in una foto recente

I Devo in una foto recente

Aspettate, Branson ha detto questo?

Mothersbaugh: Sì. Gli ho detto: “Vogliamo bene a quei ragazzi e vogliamo davvero che succeda qualcosa con loro, ma non credo che dovrebbero far parte della nostra band. Loro fanno l’anarchia. Dovrebbero capovolgere la situazione. Noi Devo siamo una corporation. Dovrebbero fare una Sex Pistols Inc.”. E invece sono diventati Public Image Ltd.

Pensa che i PIL siano collegati a quell’episodio?

Mothersbaugh: Penso di sì.

Recentemente avete suonato al Dark Waves festival di Huntington Beach. Considerate queste apparizioni come delle reunion o come un servizio ai fan? Oppure i Devo sono ancora un’attività fiorente che possiamo sperare di continuare a vedere esibirsi e magari anche pubblicare nuovi album?

Mothersbaugh: Beh, credo che non si tratti tanto di fare nuovi album quanto del fatto che abbiamo più rispetto per l’idea di eseguire di nuovo quella musica. L’abbiamo scritta tutta 50 anni fa, alcune cose 45 anni fa, 40 anni fa. C’è gente che vuole sentirla, e noi abbiamo voglia di suonarla. Penso che abbiamo un apprezzamento. Quello che una volta sembrava il giorno della marmotta – alzarsi, salire in macchina, andare all’aeroporto successivo, andare al locale successivo, fare un concerto, andare in albergo, rifare tutto da capo ogni giorno solo per quei 90 minuti o due ore in cui sei sul palco – penso che farlo ora sia come celebrare qualcosa che abbiamo fatto 40 anni fa. Mi pare che ci stiamo divertendo tutti. Credo che sia piaciuto a tutti. Al pubblico è piaciuto. Guardano questi vecchietti dall’aspetto folle.

Casale: Che hanno fatto qualcosa di buono e hanno tenuto duro.

Traduzione di Nadia Cazzaniga