Del: 7 Marzo 2022 Di: Gabriele Benizio Scotti Commenti: 1
La musica emo e tutti i suoi equivoci

Ad oggi possiamo osservare un forte ritorno di fiamma per la musica emo, un genere musicale (con la sua annessa sottocultura) che ha dovuto affrontare nello scorso decennio un crocevia di pregiudizi e schernimenti e la diffidenza diffusa del pubblico e della critica. Ora, invece, sembra essere diventato un vessillo di certe realtà anche piuttosto grosse a livello di pubblico; e in generale sembra esserci stata una riscoperta per quel fascino gotico, decadente e melanconico di quei ragazzini coi capelli piastrati e di quelle chitarre dai suoni tristi.

Ma in tutto questo l’emo che cos’è?

Che la confusione aumenti è un effetto inevitabile, che nasce innanzitutto dal fatto che questi stessi cantanti e collettivi si muovono verso lidi che essi stessi non conoscono. Difatti i prodotti “emo” che sentiamo oggi sono frutto di commistioni, di derivazioni musicali che sono state erroneamente scambiate per emo, poiché assomigliavano a dischi di band che erano partite ricalcando certe correnti ma aprendole al grande pubblico.

L’interesse di questo articolo tuttavia non è tanto orientato a uno sterile giochino volto a definire cosa è emo e cosa no. Tutt’al più è rivolto a esplorare le radici e illustrare (in modo molto sommario) il decorso di un genere che sta tornando in voga. Un genere di cui, di fatto, si ha una concezione parecchio fuorviata per via di molti fattori. Un fattore lampante e clamoroso è, senza dubbio, il “servizio” di Repubblica che molti di noi ben conoscono.

Nonostante realtà grosse identificate come emo, per esempio band come My Chemical Romance, Paramore, Panic at the disco!, possano suggerire che l’emo sia qualcosa di adiacente a tutto quel pop punk che ha dominato le classifiche nei ’90 e nei primi 2000, in realtà le sue radici si possono trovare trovare nell’hardcore punk, più precisamente negli anni ’80 e nella capitale Washington DC.

Nel fermento culturale di quel panorama, ricordiamo che erano gli anni del movimento sociale di protesta della cosiddetta “revolution summer” dell’85. Alcune band partorite dalla Dischord Records, una delle più importanti etichette discografiche statunitensi per la musica indipendente, avevano un approccio diverso, più melodico, più viscerale, più emotivo se vogliamo. Anche se giustamente si potrebbe osservare che in ogni band di tale genere ci fosse una forte carica emotiva palpabile in ogni brano. Però è facile sentire influenze di collettivi come Husker du, The faith e Naked Raygun nelle prime formazioni reputate emo. Ed è da certi modi di intendere l’hardcore da cui partiranno queste suddette formazioni.

Si può sentire l’intensità emotiva già in pezzi come questo, che toccano anche da vicino tematiche molto care all’emo.

Ed ecco che nell’impeto di questa “rivoluzione” proliferano le prime band identificate come emocore: Embrace, Dag nasty, Moss Icon, e forse i più iconici di tutti, i Rites of Spring. I frontman rispettivamente di Embrace, Ian Mackaye, e Rites of spring, Guy Picciotto, rifiuteranno il termine emocore con motivazioni analoghe a quelle accennate sopra sulla carica emotiva in ogni band hardcore. In particolare nei Rites of Spring l’intensità dell’hardcore e la sua primitiva brutalità viene affiancata a sezioni di chitarre più clean, più dolci, più melodiche; un motivo attorno al quale ruoterà l’intero emo di matrice indie rock degli anni ’90.

Probabilmente il paradigma di quello che è il nuovo modo di fare hardcore identificato come emo.

Qui il fenomeno emocore è ancora fortemente di nicchia e da questo punto, sommariamente, si può dire che si sono formati vari snodi. Un certo tipo di emo è andato a intensificare la sua natura hardcore, generando il cosiddetto screamo, caratterizzato da un canto, un suono e ritmi violentissimi e dissonanti; anche se alcune band proveranno a integrare il lato più sensibile dell’emo con alcune sezioni melodiche. Segnaliamo in particolare band come Honeywell, Antioch Arrow, Heroin, Swing Kids, Saetia, pg. 99 e Portrait of Past.

Lo screamo a sua volta si evolverà in molteplici modi.

Tra le sperimentazioni più degne di nota troviamo le commistioni più articolate col post rock di City of Caterpillar e Funeral Diner; e le ulteriori estremizzazioni della componente hardcore che porteranno al cosiddetto emoviolence degli Orchid, estremamente rabbioso e rumoroso in cui la natura decadente ed emotivamente instabile del genere trova probabilmente il suo culmine. Si segnala inoltre che in quanto a Screamo l’Italia ha molto da offrire tra band come Ojne, La Quiete, Raein, Violent Breakfast.

Qui si sente la rabbia e la disperazione che soffocano ogni melodia degli Honeywell.
Nel caos, nelle furia e nelle distorsioni si sentono quelle chiazze di melodia e malinconia che hanno mosso formazioni come Rites of Spring a diversificarsi dal resto della scena.
Si nota come il genere in poco tempo abbia evoluto le sue strutture in maniera considerevole.
Spogliato di qualsiasi forma di sensibilità l’emo abbraccia il powerviolence.

Invece, come già si è accennato prima, altre correnti si uniranno a un nuovo ceppo, ovvero l’indie/alternative rock che già si stava affermando a metà anni ’80. A metà degli anni ’90 spopolava, anche grazie a una più alta accessibilità della strumentazione musicale e di registrazione, che consentiva lo sviluppo di formazioni indipendenti. Qui si trovano band importantissime che hanno dettato, e dettano tutt’ora nella scena revival (diversa da quella a cui si è accennata a inizio articolo), gli stilemi del genere: band come Cap’n Jazz, Sunny Day Real Estate, Christie Front Drive, Texas Is the Reason, Mineral e i più tardivi American Football.

Band caratterizzate da chitarre (quasi sempre due) pulitissime ed estremamente melodiche, e momenti in cui gli echi hardcore si fanno sentire pur se in maniera molto attenuata, con delle sfuriate nel ritornello o delle sezioni di chitarre più rumorose e distorte a fine pezzo, o molte volte senza necessariamente una struttura sistematica e precisa. Da sottolineare come ogni universalizzazione, quando si cerca di descrivere un genere, non tiene conto di alcune particolarità. Per esempio alcune band come i Cap’n Jazz tenevano molto più viva questa loro originaria natura hardcore, mentre gli American Football la eliminavano quasi del tutto.

Band come i Sunny trovavano un perfetto equilibrio tra calma e intensità, tra razionalità e impulsività.

Accanto a queste correnti però, non mancavano degli immancabili esperimenti più “pop”.

Alcuni sono rimasti in una nicchia come quelli dei The Get up Kid o dei Jawbreaker, mentre altri invece saranno destinati a un buon successo mainstream: i Taking Back Sunday, i primi Brand New e quella che è la band emo (anche se ovviamente non tutti sono d’accordo a identificarli come tali) forse più famosa, i Jimmy Eat World.

Qua l’emo inizia ad essere associato a qualsiasi derivazione più melodica del punk e del rock alternativo, per analogia. E così venivano identificate come tali una serie di band che con l’ambiente culturale e musicale emocore non c’entravano fondamentalmente nulla, ma che assomigliavano fortemente alle prime realtà emo-pop mainstream, le quali a loro volta si distaccavano fortemente da ciò che l’emo era stato sin lì.

Il problema è che queste sue radici, sfumandosi, ad oggi sono divenute sconosciute ai più. Anche perché l’emo delle origini e le sue immediate derivazione uscite dai 90 non hanno mai raggiunto un pubblico troppo vasto, ma son rimasti fenomeni sostanzialmente di nicchia. Ed ecco che i confini a sfumarsi ci hanno messo veramente poco.

Nonostante la natura molto più pop del lavoro si sente che c’è un collegamento all’emo.

Inoltre questo pone anche dei dubbi sulle radici della subcultura emo.

Girando su internet si trovano molte informazioni che sembrano alquanto inesatte, che fanno risalire l’inizio della subcultura addirittura con l’inizio stesso del movimento a Washngton D.C. Ma c’è da far notare innanzitutto che l’estetica delle band emo, per lo meno fino alle realtà pop analoghe di inizio e metà 2000, non è mai stata neanche lontanamente simile all’estetica della subcultura che adesso noi associamo al genere.

E nemmeno nei video dei concerti in cui il pubblico è ben visibile si notano molte persone che si presentavano in quel modo. Al concerto dei Mineral, che pure hanno le classiche tinte malinconiche e tristi che di solito si associano al movimento, di emo non se ne vedono. Sembrerebbe invece avere analogie con le subculture gotiche e post-punk, che probabilmente si sono evolute, complice anche una diffusione minore a livello mainstream nei ’90 dei due generi, e hanno preso dei motivi tipici della cultura pop punk dei 90. Se poi si considera che quello che viene considerato l’emo dal mainstream è fondamentalmente pop punk allora la suddetta ricostruzione potrebbe trovare conferma.

Quindi si è arrivati a mischiare per analogia due generi e col tempo il mercato, come di suo solito, ha modellato a suo piacimento un termine, seppellendo le radici nascoste sotto cumuli di dischi, band, video musicali, prima spontaneamente poi con progetti creati ad hoc. Tutto ciò rendendo la salma dell’emocore, uscita dopo uscita, band dopo band, video studiato dopo video studiato, sempre più difficile da riesumare.

Ecco quindi la brevissima e sommaria genealogia dell’emocore e una teoria di come e dove potrebbe essere nato l’equivoco, che fa tuttavia capire come in certi revival attuali in realtà si guarda a qualcosa che non è proprio corretto. Ciò denota in primis la scarsa propensione per la ricerca, e in secundis la quasi nulla passione per il proprio interesse, che si limita più a una passione per l’utile che l’attività genera più che per l’attività in sé. Questa mancanza di informazioni dovuta a una pigra o scarsa passione fa sì che questi stessi artisti siano i primi a non conoscere la materia con la quale operano, e non dovrebbe quindi sorprendere la qualità abbastanza discutibile di certi prodotti “emo” di oggi.

Gabriele Benizio Scotti
Studente di filosofia, appassionato di musica, cinema, videogiochi e letteratura. Mi piace scrivere di queste tematiche e approfondirle il più possibile.

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