Friend Request - La morte ha il tuo profilo Recensione

Friend Request - La morte ha il tuo profilo: la recensione del film horror su Facebook

07 giugno 2016
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Nell'era dei social network, racconta il film di Simon Verhoeven, la solitudine è peggio della morte.

Friend Request - La morte ha il tuo profilo: la recensione del film horror su Facebook

Il tedesco Simon Verhoeven (nessuna parentela con Paul, ma con Senta Berger sì: è il figlio) non è il primo e non sarà di certo l’ultimo a tentare di utilizzare l’horror per raccontare le ricadute sociali e irreali della mania collettiva per i social network. E va bene così.
Il suo Friend Request è un film globalissimo (soldi tedeschi, protagonista britannica, girato in Sud Africa ma ambientato in California) che, rispetto ad esempio all’analogo Unfriended, sperimenta meno nella forma - limitandosi a un paio di momenti in cui lo schermo del computer e l’inquadratura scivolano liquidamente l’uno nell’altra e viceversa, e giocando coi glitch - e ammicca al J-Horror e allo stile di James Wan in trama e declinazione.

Ma cosa racconta sui social network e sui loro rischi, il film di Verhoeven? Ragiona in qualche modo sull’argomento, o Facebook è solo un furbo stratagemma per attirare - è proprio il caso di dirlo - contatti? La risposta è l’una e l’altra cosa.
Nel mondo di Friend Request Laura è una studentessa amata e popolare - anche se, con nemmeno 900 amici sul social di Zuckerberg, da noi verrebbe battuta dalla più sfigata delle liceali - che studia psicologia e viene presa in giro dal suo professore come caso esemplare di dipendenza da internet, che per pietà regala “l’amicizia” a una goth di passaggio, che inizia a stalkerarla (nemmeno troppo, a dire il vero) e che, vistasi rifiuatata, si ucciderà trasformandosi in una presenza demoniaca che prenderà di mira gli amici di Laura.

Sì, perché nel mondo di Friend Request, e un po’ anche in quello in cui viviamo, il dramma non è la morte o la sua minaccia, ma la solitudine e l’avere pochi amici (su Facebook). Il contrappasso di Laura, rea di non essersi filata la povera Marina “sedotta e abbandonata”, è quello di vedere la sua pagina personale “posseduta”, e il contatore del numero degli amici scendere implacabilmente. Fin addirittura sotto i cento: ci pensate? L’orrore.
Anche perché, una volta contratto, il virus della solitudine, dell'essere degli sfigati, fa diventare mostri: è successo a Marina, succederà anche a Laura, riflessa nello specchio nero dei giorni nostri, lo schermo del computer.

Per il resto, normale amministrazione horror: qualche saltello sulla poltrona, immagini in stile recessi horror di Reddit e un copione totalmente illogico pieno zeppo di personaggi scemini e battute cretine: da “Cancella quella morta”, a “Dimmi che vuoi morire per lei”.
Con l’unica differenza, rispetto ai canoni dello slasher, che il gruppo degli amici di Laura non fa sesso, non si droga e non beve, e il massimo della trasgressione è una festa di compleanno assieme a mammà.

Nel bel mezzo del casino in cui si è cacciata (non si è capito bene se per troppa generosità o per imprudenza) a Laura non resta che aggrapparsi all’illusione di un sostegno maschile, col surfista biondo studente di medicina che batte l’ex fidanzato hacker, moro e tatuato; l’unico, però, che suggerisce l’insuggeribile, far fuori la ragazza vittima della maledizione per salvare sé stessi.
Meglio morti che soli, insomma, ma anche meglio soli che male accompagnati. Il dubbio che rimane è: meglio morti, o male accompagnati?



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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