The Staircase - Una morte sospetta

Michael Peterson e sua moglie Kathleen passano insieme la serata del 9 dicembre 2001, ai bordi della piscina. Poco dopo il marito dirà di aver trovato la donna ai piedi della scalinata per il piano di sopra, moribonda e in preda a convulsioni. Kathleen muore tra le sue braccia in un bagno di sangue e lui è accusato di omicidio, ma non si trova l'arma del delitto e il processo si trascina. Il suo caso diventa anche il tema di un documentario seminale, intitolato The Staircase e destinato a lanciare il true crime di qualità televisivo.

Tra dramma famigliare, giudiziario e metatelevisivo, The Staircase è una miniserie al tempo stesso originale e parassitaria, una ricostruzione di lusso che cerca di problematizzare il documentario di Jean-Xavier de Lestrade ma perde seccamente il confronto con esso.

Si tratti di un'operazione lussuosa, a partire dalla suggestiva sigla di testa sul motivo della casa di vetro, che è però stata contestata già durante la messa in onda americana, sia dal documentarista premio Oscar francese, sia da Michael Peterson in persona. La miniserie amplia il ruolo della montatrice Sophie Brunet, che inizierà più tardi una relazione con Michael Peterson e che è interpretata da Juliette Binoche. Nella finzione la donna è da subito all'opera sugli episodi del documentario, ma in realtà subentrò solo successivamente, dunque il suo tentativo di influenzare l'opera a favore di Michael è un'invenzione e per de Lestrade è anche un attacco alla sua integrità, un tradimento della fiducia concessa all'americano Antonio Campos.

Ma proprio l'accesso dato a quest'ultimo ha scatenato le ire di Michael Peterson, secondo il quale si tratterebbe di una svendita della sua vita. Peterson accusa il regista francese di aver lucrato su di lui, come se l'avesse fatto prostituire. Non ha comunque parole tenere nemmeno per la miniserie di Campos, che ritiene si sia presa troppe libertà con la sua vita e - soprattutto - con quella dei suoi figli.

Questo fuoco incrociato di accuse, a cui mentre scriviamo HBO e Antonio Campos non hanno ancora risposto, colpisce perché The Staircase è assurta nel corso degli anni a un'aura da testo sacro. Il documentario impressiona ancora oggi per la vicinanza senza filtri al soggetto e alla giustizia americana, di cui racconta gli effetti su una famiglia. Non promuove teorie innocentiste, a differenza per esempio di Making a Murderer, e in ultima analisi dimostra come sia impossibile per il cinema arrivare alla verità. Peterson, per quanto messo a nudo, rimane infatti una figura impenetrabile, inquietante, capace di apparire sincero e a cuore aperto persino quando mente e quando confessa di aver mentito.

La miniserie, per andare oltre l'ingombrante modello di partenza, si spinge a rappresentare l'irrappresentabile in un eccesso pornografico: mostra varie volte la morte di Kathleen, interpretata da Toni Colette, che finisce in fonde alle scale in diversi modi, a seconda delle diverse teorie, ma sempre culminando in una prolungata agonia.

Come già detto, il rigore latita anche riguardo il trattamento dei documentaristi, dove si preferisce di gran lunga la montatrice emotivamente coinvolta al regista. Viene poi ampliata la storia dei figli e in particolare delle due ragazze che restano al fianco del padre, ma nessuno degli eredi ha una storia abbastanza forte da uscire dall'ombra di Michael. Sono satelliti che ruotano intorno a lui, vittime della sua ambiguità. Una delle sottotrame portanti è poi a tematica LGBT+ e riguarda il rapporto parallelo, ma molto diverso, di Michael e sua figlia con la propria identità queer. Anche questa vicinanza tra i due non basta però alla figlia per superare l'armatura dell'uomo.

Colin Firth mette i panni di Peterson affrontando un grande ruolo, dove restituire le sfumature di una persona la cui vita è stata filmata per anni in situazioni intime e difficili. Il resto del cast è altrettanto di livello, a partire dalle già citate Collette e Binoche per proseguire con Michael Stuhlbarg, Rosemarie DeWitt e Parker Posey. I figli sono un passo indietro per intensità o minutaggio, ma fanno comunque un buon lavoro anche la star mancata Dane DeHann, una Sophie Turner finalmente matura e Patrick Schwarzenegger in una parte non facile. Ed è in fondo questa ottima prova generale d'attori alla fine a tenere in piedi una serie che, di per sé, non riesce mai a trovare una vera ragion d'essere. 