ESPIAZIONE - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Drammatico, MUBI, Recensione

ESPIAZIONE

Titolo OriginaleAtonement
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2007
Durata123'
Sceneggiatura
Tratto dadall’omonimo romanzo di Ian McEwan
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

1935, Inghilterra: nel corso di un lungo weekend in cui la famiglia Tallis si riunisce sotto lo stesso tetto, il caldo asfissiante e le emozioni a lungo represse, creano un clima di minaccia e pericolo. La piccola Briony, scrittrice alle prime armi, dotata di talento e fervida immaginazione, accusa Robbie Turner, figlio della governante e fresco amante della sorella Cecilia, di un crimine che non ha commesso. L’esistenza di tutti subisce una svolta. La colpa germoglia. Il futuro sarà il tempo dell’espiazione.

RECENSIONI

Atonement (2001), il romanzo più significativo di Ian McEwan dall'epoca del suo capolavoro Bambini nel tempo (1987), per le intrinseche caratteristiche, rappresentava una sfida non facile per Joe Wright che aveva dimostrato una notevole freschezza e originalità nella precedente, non meno impegnativa, traduzione in immagini del classico Orgoglio e pregiudizio (la Austen, lo dicevamo proprio in quell'occasione, nonostante sia puntualmente saccheggiata, rimane bestia difficile da domare al cinema). Per quanto non si riesca a immaginare due letterati più distanti (per epoca e stile), Espiazione (fin dal titolo decisamente austeniano) è un'opera che, rappresentando un mondo chiuso e governato da regole non scritte ma socialmente inoppugnabili, in cui superficie e fondo si richiamano e si contrastano di continuo, i sentimenti lottano con la ragione e i rapporti umani sono ridotti ad automatismi implacabili che si possono fermare solo con atti sovversivi, è opera non così lontana da quelle della grande autrice inglese (non è un caso che McEwan apra il romanzo con una citazione tratta da L'abbazia di Northanger).
Molto corteggiato dal cinema che lo ha trattato in maniera diseguale (dal mediocre The innocent di Schlesinger al conturbante Cortesie per gli ospiti di Schrader - in cui la magnifica novella annegava in un deliquio malsano che la sceneggiatura di Pinter - nel suo elemento, alle prese com'era con un gioiello di laconicità e elusione - non mancava di far risaltare, ai corretti Il giardino di cemento di Birkin e L'amore fatale di Michell [1]) lo scrittore, grande maestro nel dipingere quadri psicologici dei personaggi conditi da motivazioni e primi secondi e terzi fini e tanto disagio - figlio dei tabù che li condizionano -, vanta una scrittura sempre mutevole [2], che perviene con Espiazione a una prova densa, complessa, strutturata (si pensi solo alla prima parte: più di metà del libro è occupata dalla descrizione di una singola giornata nella quale un evento cambierà radicalmente il destino di molte persone) giustamente accolta con entusiasmo fin dalla sua uscita. Lo sceneggiatore Christopher Hampton (che si ricorda per la riduzione teatrale de Le relazioni pericolose, da lui stesso riconsiderata per la bella versione cinematografica di Stephen Frears, più che per le discutibili prove da regista) rispetta sostanzialmente la pagina scritta e la sua caratteristica precipua: dunque gli avvenimenti vengono vissuti da ciascun personaggio dal proprio personale punto di vista e i caratteri vengono presentati in modo quasi teatrale, ciascuno come latore della propria storia personale.

Così, esattamente come avviene nel libro, l'episodio della fontana viene esposto due volte, come elaborato dall'osservatrice casuale Briony (che lo percepisce come manifestazione di un incomprensibile comportamento) e poi per come è stato vissuto effettivamente dai protagonisti. In questo senso risulta perfettamente resa l'eccitazione e il disorientamento della bambina nel trovarsi di fronte a un teatro di emozioni adulte da cui è indiscutibilmente attratta, e non solo per il potenziale narrativo che vi intuisce, ma che nondimeno la turba, non comprendendone appieno il senso riposto. In questa come in altre occasioni Hampton restituisce la tensione del testo attraverso una disanima approfondita dei fatti, partendo da una prospettiva, poi abbandonandola, per riprendere gli stessi avvenimenti da un'altra visuale, tentando di esaurirne il quadro, il tema principale essendo proprio l'impossibilità di capire la visione del mondo degli altri e la radicata tendenza a non eliminare sé stessi, il proprio vissuto, per quanto minimo, dall'osservazione di esso (tutti i guai, i fraintendimenti, le frustrazioni, le colpe e le successive espiazioni nascono dall'incapacità di comprendere ciò che si osserva).

Su questa base, di sostanziale rispetto dell'approccio stilistico e strutturale del romanzo, Wright si muove con un'inventiva degna di nota; ci pare oramai evidente che il regista inglese, pur partendo da testi "forti" e autorevoli, non abbia alcuna intenzione di farsene mero illustratore ma che, al contrario, stia cercando di affrontare in maniera sostanzialmente creativa ed eminentemente cinematografica (e non è un'ovvietà) l'atavico dilemma del come rendere la letteratura sul grande schermo. In questo senso l'incipit è disarmante: la cavalcata di Briony tra i corridoi della casa sulle note di un Marianelli in grande forma, è un gioco particolarmente riuscito di direzione e montaggio che rende per immagini l'ansia di Briony per la messinscena del suo lavoro teatrale; è sempre attraverso montaggio e musica (magnificamente elusa la questione dell'interiorità dei personaggi: l'interiore non si mette in scena, si intuisce o si ignora) che il regista ci illustra le stazioni di evoluzione del pensiero di Briony - ragazzina precoce, "messaggera d'amore" (impossibile non pensare al film di Losey) che si muove tra infanzia e adolescenza, in modo del tutto imprevedibile (sempre perversi i fanciulli di McEwan, sempre crudeli, sempre affascinati dal mondo dei grandi, pronti a sconfinarlo e a gettarvi scompiglio), il percorso mentale che la porterà a mentire incoscientemente - e il legame tra Cecilia e Robbie (si pensi al montaggio alternato della vestizione di lei e la scrittura della lettera di lui). Wright asseconda bene i continui salti temporali (in avanti e all'indietro), i modi di rappresentare le tre epoche sono stilisticamente differenziati, dice tutto della guerra attraverso un funambolico, infinito pianosequenza, girato con steady, nella scena del film (quella sulla spiaggia di Dunkirk) che rimarrà negli annali.

Né si può fare a meno di menzionare una delle caratteristiche più evidenti della pellicola, la colonna sonora che modula secondo un registro emotivo-narrativo, con l'uso in chiave ritmica del suono della macchina da scrivere, particolare decisamente significativo se si pensa alla rivelazione finale (l'incontro tra Cee e Robbie - e non solo - è una pura invenzione della Briony scrittrice, un parto della sua macchina da scrivere): a dire che gli eventi assumono un mutevole valore a seconda di chi li guarda soprattutto se costui li elabora dalla prospettiva privilegiata (perché possibilmente manipolante) dello scrittore, anche se poi (salto mortale) la letteratura è anche lo strumento per smentire questo privilegio (a parole) e dimostrare, al contrario e furbescamente, che tutte le visioni delle cose hanno pari valore (il che non è: Briony si servirà ancora del suo essere scrittrice per raccontare gli stessi fatti e ristabilire torti e ragioni; altro che democrazia dello sguardo e della prospettiva: certi privilegi sono di pochi). Alla fine insomma la letteratura pone sempre e comunque tutto sotto la sua ala: non importa cosa sia vero e cosa non lo sia, quanto di quello che si dice risponda a un fatto storico e quanto no: se una donna è macchiata dalla colpa, e deve questa colpa al suo essere scrittrice, al suo volerlo diventare, all'ottuso piegare una circostanza alla sua foia letteraria, in un'età in cui non si è in grado di comprendere appieno quanto devastante possa essere un'invenzione, se applicata a un evento delicato e compromettente a ogni livello (sentimentale, sociale), costei non può espiare le proprie colpe, non può in nessun modo poiché il suo essere scrittore la rende uguale a Dio, creando essa i fatti nello stesso momento in cui li narra [3]: non esistono entità alle quali chiedere perdono, non c'è nulla al di fuori dello scrittore - l'auto-Re - : la sua fantasia delimita il campo (non c'è espiazione per Dio, né per il romanziere, nemmeno se fossero atei dice in buona sostanza McEwan, e di riflesso Wright). Temi complessi, che emergono con forza a tratti, in un film che, con sfugge l'accademia e l'ovvietà e, pur sfruttando il potenziale melodrammatico della vicenda, non ci sguazza.
Keira Knightley ha il carisma della diva e buca lo schermo (a proposito: difficile dire chi sia il vero protagonista di Espiazione: se Robbie Turner è la vittima dell'ingiustizia, Briony è il soggetto dell'espiazione; Cecilia/Knightley è un personaggio osservato e raccontato, di cui sappiamo fondamentalmente di riflesso, tramite gli altri [4]), McAvoy è una promessa mantenuta, la Redgrave, una meravigliosa Briony anziana, ha un monologo conclusivo che sfronda con gran classe il complesso finale paraproustiano del romanzo per risolverlo in una chiara, disillusa riflessione che, attraverso le parole del personaggio (la bambina divenuta espiante a vita, ma anche la scrittrice) riporta, in abisso, il pensiero dell'autore (s'intenda McEwan). E dello sceneggiatore. E del regista.

[1]  Ma il film più lodato è Confessioni dell'uomo nell'armadio del polacco Mariusz Grzegorzek, tratto dall'omonimo racconto e purtroppo inedito in Italia.

[2] Ogni romanzo di McEwan è impostato in modo differente dagli altri e ha un'ambientazione e un tema sempre nuovo e imprevedibile («Continuo a credere che tra un romanzo e l'altro sia necessario inserire un pezzo di vita; mi pare che ogni romanzo debba essere scritto da una persona leggermente diversa» ha affermato di recente lo scrittore).

[3]  All'allieva che rivendica la veridicità di ciò che ha raccontato nella sua novella, il professore di scrittura creativa risponde lapidario: «Quando lo narri diventa fiction» (Storytelling di Solondz, una delle riflessioni più lucide sul raccontare al cinema).

[4]  A Knightley era stato infatti offerto il ruolo, di tutt’altro peso, di Briony ma giudicandola scelta troppo ovvia l’attrice ha preferito “rischiare” su Cecilia.