Entertainment - Film (2015) - MYmovies.it

Entertainment

Film 2015 | Drammatico +13 110 min.

Anno2015
GenereDrammatico
ProduzioneUSA
Durata110 minuti
Regia diRick Alverson
AttoriMichael Cera, John C. Reilly, Lotte Verbeek, Tye Sheridan, Dean Stockwell Amy Seimetz, Tim Heidecker, Kalia Prescott, Mariann Gavelo, Tonantzin Carmelo, Waymond Lee, Gregg Turkington, David Yow, Brenna Rhea, Carlos Simental Jr., Ashley Atwood, Annabella Lwin.
TagDa vedere 2015
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
MYmonetro 3,09 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Rick Alverson. Un film Da vedere 2015 con Michael Cera, John C. Reilly, Lotte Verbeek, Tye Sheridan, Dean Stockwell. Cast completo Genere Drammatico - USA, 2015, durata 110 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,09 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento mercoledì 12 agosto 2015

Mentre è in viaggio per ritrovare la figlia lontana, un comico tenta di rilanciare la sua carriera esibendosi in una serie di spettacoli tive nel deserto del Mojave.

Consigliato sì!
3,09/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 2,67
CONSIGLIATO SÌ
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Critica
Premi
Cinema
Il percorso autodistruttivo del peggiore e più triste dei comici, simbolo di un'America wasp definitivamente decaduta.
Recensione di Emanuele Sacchi
mercoledì 12 agosto 2015
Recensione di Emanuele Sacchi
mercoledì 12 agosto 2015

Un comico protagonista di uno show caustico incentrato sulle celebrità dello show business si esibisce in locali di infimo valore. Nonostante i sistematici insuccessi, il Comico (il personaggio non ha un nome proprio) persevera con il suo spettacolo, rendendolo sempre più acido, mentre tenta inutilmente di mettersi in contatto con la figlia, trovando solo la segreteria telefonica come risposta.
Ormai specializzato nell'analisi di personaggi oscuri e autodistruttivi, Rick Alverson ancora una volta non scende a compromessi. Entertainment è forse il suo capitolo più amaro nell'osservazione di un'America priva di ideali, costellata di uomini soli abbandonati a se stessi e alle loro disillusioni. Scegliendo la maschera - modellata su un personaggio del repertorio del protagonista e co-sceneggiatore Gregg Turkington - del comico che non sa far ridere ma che non se ne rende conto, riedizione odierna del clown triste, Alverson privilegia il punto di vista più malinconico e disperato nel mondo già di suo malinconico e disperato dello show business. La fabbrica dei sogni in cui è quasi impossibile accettare la verità sul proprio talento e sulla mancanza dello stesso.
Luogo di elezione per questa tragicommedia umana è Bakersfield, California. Desertica terra di nessuno, petrolio a parte, che già fu teatro di Cinque pezzi facili, il capitolo più lucidamente pessimista sulla fine del Sogno Americano. Alverson cita esplicitamente il capolavoro di Rafelson (e implicitamente i road movie di Hellman, Wenders e Lynch, specie attraverso un cameo di Dean Stockwell) per evidenziare come, 40 anni dopo, di quel sogno già infranto non rimangano che ceneri disperse al vento. Una disillusione che colpisce più duramente quella che si presupporrebbe casta dominante: il fatto che i protagonisti siano wasp e siano circondati da chicanos acuisce la sensazione di declino. Dove questi ultimi si dedicano a faccende più concrete e rappresentano la nuova popolazione viva e pulsante d'America, i primi si crogiolano in un microcosmo infestato da fenomeni culturali effimeri, in cui Larry King e Courtney Love costituiscono il materiale di battute esoteriche e anti-comiche. Un sistema isolato, autoreferenziale, che utilizza un linguaggio criptico e si chiude in un solipsistica e presunta superiorità intellettuale (l'unica possibile comunicazione tra chicanos e gringo, rifiutata da quest'ultimo, avviene tramite polvere di stelle, le abusate battute cinematografiche di Roberto De Niro e Al Pacino).
Come già in The Builder, debutto di Alverson, la spirale autodistruttiva del protagonista si intensifica man mano: il registro muta dalla commedia amara alla successione di inserti onirici, in cui risulta impossibile (o completamente soggettivo) distinguere tra realtà e allucinazione, in cui i possibili simbolismi sulla presunta paternità del Comico o su un bizzarro seminario di cromoterapia si fanno sempre più criptici. Inutile sperare in una redenzione o in comode spiegazioni: Alverson sceglie la via più ardua, calandosi ancora una volta nei panni, condivisi con i propri protagonisti, dell'intransigenza di stile e contenuti. Una forma anti-narrativa e per nulla appagante che rappresenta la migliore chiave interpretativa possibile di un'umanità, americana ma non solo, condannata a una crescente solitudine e insoddisfazione, di fronte ai grandi spazi di una frontiera che non è mai sembrata così ostile.

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