Il giardino dell'Eden, l'origine di un mito universale

Il giardino dell'Eden, l'origine di un mito universale

La Genesi e altri miti mesopotamici narrano che l’essere umano fu creato in una pacifica oasi in cui non esisteva la morte

Cacciati definitivamente dalla sicurezza del paradiso a causa del loro peccato, gli umani hanno sempre rievocato la storia della loro prima dimora con un miscuglio di nostalgia e di timore reverenziale. Ma è esistito davvero il giardino dell’Eden? Dove si trovava? Cogliere un frutto da un albero fu davvero così grave da comportare un castigo per tutta l’eternità?

Lucas Cranach il Vecchio raffigura il paradiso come un rigoglioso giardino in cui sono riprodotte alcune scene della storia di Adamo ed Eva

Lucas Cranach il Vecchio raffigura il paradiso come un rigoglioso giardino in cui sono riprodotte alcune scene della storia di Adamo ed Eva

Foto: E. Lessing, Album

La Genesi, primo libro della Bibbia, descrive l’origine del mondo. Nel secondo e nel terzo capitolo narra che Dio, dopo aver creato l’uomo, piantò un giardino nell’Eden. Era un terreno irrigato da quattro fiumi in cui germogliavano piante d’ogni specie che rendevano la vita amena e piacevole. L’essere umano aveva a sua disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno per il suo sostentamento.

La Bibbia afferma che Dio piantò il giardino «nell’Eden, verso Oriente». È probabile che la parola Eden venga dal termine assiro edinu, che indicava il paese che si estendeva dalla Babilonia meridionale fino al golfo Persico. Dal punto di vista dell’autore israelita della Genesi, questa terra, in effetti, sarebbe situata «verso Oriente».

Dov’era il giardino dell’Eden?

Nell’Eden sorgeva un fiume in grado d'irrorare l’intero giardino e che si divideva in quattro bracci. L’autore della Genesi riferisce i nomi di questi quattro corsi d’acqua e delle terre attraverso cui fluivano. Il primo si chiamava Pison e circondava la regione di Avila, una zona che, a partire dal I secolo d.C., la maggior parte degli autori identifica con l’attuale India; il secondo, il Gihon, delimitava le terre di Kush (Etiopia) e si può far coincidere con il Nilo; il terzo, l’Hiddequel, ovvero il Tigri, sgorgava lungo la terra di Assur e il quarto, il Ferat, corrisponderebbe all’Eufrate. La descrizione non farebbe altro che riferirsi ai centri fluviali intorno ai quali nacquero le grandi civiltà a partire dal IV millennio a.C.

L’Eufrate è considerato uno dei quattro fiumi leggendari che bagnavano il paradiso, insieme all’Hiddequel (il Tigri), al Gihon (il Nilo) e al Pison

L’Eufrate è considerato uno dei quattro fiumi leggendari che bagnavano il paradiso, insieme all’Hiddequel (il Tigri), al Gihon (il Nilo) e al Pison

Foto: Alamy / Aci

Tuttavia, c’è anche un’altra possibile interpretazione con un significato geografico più concreto. Seguendo la stessa traccia etimologica assira, L’Eden sarebbe l’area attorno a Babilonia, una regione fertile e bagnata da numerose correnti che nell’antichità era conosciuta con il nome di Kar Duniash, o “Giardino [del dio] Duniash”. L’unico fiume che attraversava questa zona era l’Eufrate, che sarebbe quindi il fiume che secondo la Genesi irrigava il giardino; gli altri fiumi citati sarebbero affluenti. Questa localizzazione più accurata dipenderebbe dal fatto che la Genesi fu scritta nel VI secolo a.C. da ebrei esiliati a Babilonia. Questi si sarebbero appropriati del tema del giardino dalla mitologia del loro paese di accoglienza adattandolo, in seguito, alla loro specifica tradizione.

Effettivamente gli ebrei non furono né gli unici né i primi a sviluppare il mito di un giardino primordiale. Per esempio, nella celebre Epopea di Gilgamesh, scritta intorno al 2500 a.C., compare il personaggio di Utnapishtim, l’unico umano che gli dei salvarono dal diluvio universale e di cui si dice che viveva alla “confluenza dei fiumi”. Questo luogo viene descritto come un giardino colmo di diverse specie di alberi ricchi di frutti e gemme preziose dove, tra le altre cose, non esiste la morte.

Allo stesso modo, il leggendario poema sumero Enki e Ninhursag, composto intorno al 2000 a.C., parla di una terra pura, immacolata e luminosa nella quale non si conosce la morte. Una terra chiamata Dilmun, che si trasforma in un giardino divino grazie alla corrente d’acqua dolce che gli dei fanno zampillare dal suo ventre. Perciò, sia la dimora di Utnapishtim che la terra di Dilmun somigliano all’Eden biblico perché simboleggiano l’idea di una regione bagnata dai fiumi, feconda e in cui si può vivere liberi da ogni preoccupazione.

Questo sigillo potrebbe essere la prima raffigurazione che si conosce dell’albero della vita. XXII secolo a.C. British Museum, Londra

Questo sigillo potrebbe essere la prima raffigurazione che si conosce dell’albero della vita. XXII secolo a.C. British Museum, Londra

Foto: British Museum / Scala, Firenze

I primi umani

Gli studiosi hanno dimostrato che nella Genesi si mescolano due racconti antichissimi che il redattore biblico combinò, e addirittura amalgamò, al fine di armonizzarli in uno solo. Si spiegherebbe in questo modo la doppia immagine con cui viene proposta la creazione dei primi umani. Mentre nel primo capitolo leggiamo che Dio «li creò maschio e femmina», nel successivo si dice che Dio plasmò Adamo dalla polvere, poi creò il paradiso e solo dopo, partendo da una costola di Adamo, foggiò Eva.

Nella storia di Adamo ed Eva, così come viene narrata nella Genesi, è evidente il riferimento a un racconto remoto di origine mesopotamica. A differenza dell’Eden biblico, la terra di Dilmun non è abitata da uomini, bensì da dei; allo stesso tempo presenta caratteristiche che rievocano il resoconto della Genesi con i suoi alberi rigogliosi, le fonti d’acqua che sgorgano nel giardino o la sua localizzazione a Oriente. Il testo sumero racconta anche che il dio Enki mangiò piante proibite e che quando ebbe problemi a una costola venne curato dalla dea Nin-ti, che significa “signora della costola”. Il termine sumero –ti può anche equivalere a “far vivere” e quindi il nome potrebbe anche esser tradotto come “la signora che fa vivere”. Curiosamente anche il nome di Eva deriva da una radice verbale che significa “vivere”.

Il nome di Eva, in ebraico, deriva da una radice verbale che significa vivere

Mangiare l’alimento proibito

Secondo la Bibbia, Dio consegnò il giardino dell’Eden ad Adamo ed Eva affinché ne godessero e si nutrissero con quello che l’oasi offriva e gli vietò unicamente una cosa: di mangiare i frutti dell’albero situato al centro del giardino. Fino a quel momento il bene e il male mantenevano esistenze separate e indipendenti; il male, infatti, era solo una possibilità e non una realtà nell’ambito della natura umana. L’albero permetteva agli esseri umani il corretto esercizio del libero arbitrio. Tuttavia, il testo della Genesi rivela un tono pessimista dato che conoscere tutte le cose (che è ciò che comporta l’espressione ebraica del bene e del male) presuppone una vita di sofferenze che si conclude inesorabilmente con la morte.

Adamo ed Eva tentati da Satana vicino all'albero del paradiso. Codice Albeldense. X secolo. Biblioteca del monastero di San Lorenzo del Escorial

Adamo ed Eva tentati da Satana vicino all'albero del paradiso. Codice Albeldense. X secolo. Biblioteca del monastero di San Lorenzo del Escorial

Foto: Oronoz / Album

Molti elementi di questa narrazione si possono trovare anche in un racconto mesopotamico ancora più antico. La Leggenda di Adapa narra la storia del primo uomo, figlio del dio Ea e descritto come mortale, eppure saggio. Un giorno, mentre sta pescando, Adapa spezza le ali del vento del sud impedendo così alla corrente di soffiare per sette giorni. Quando viene chiamato a dare spiegazioni davanti all’assemblea degli dei, suo padre gli suggerisce di non accettare nulla di ciò che gli possano offrire, visto che potrebbe trattarsi di cibo o bevanda mortale. In realtà, gli offrono il pane e l’acqua della vita che gli possono concedere l’immortalità. Tuttavia, seguendo i consigli di suo padre, Adapa rifiuta e ritorna sulla terra destinato a conservare la sua condizione mortale. È evidente che tanto la Genesi quanto la Leggenda di Adapa comparano il divieto d'ingerire alimenti e individuano la morte come castigo. Nondimeno, mentre la Genesi pone la conoscenza e la morte sullo stesso piatto della bilancia, per la Leggenda di Adapa la saggezza è una grazia, mentre la morte una punizione.

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Il serpente tentatore

Il serpente che tenta Eva affinché assaggi il frutto dell’albero proibito è uno dei personaggi che nel corso del tempo ha avuto più fortuna nell’immaginario collettivo. La Genesi lo descrive come «il più astuto tra gli animali», e il suo carattere silenzioso e il suo morso mortale l’hanno trasformato da tempo immemore in nemico della specie umana. Pochi animali riescono a rappresentare meglio il pericolo, la minaccia dissimulata e le paure che quotidianamente affrontiamo nella nostra vita. Tuttavia, nelle culture del Vicino Oriente antico, il serpente rappresentava anche l’immortalità, data la sua capacità di cambiar pelle. Inoltre, il fatto di strisciare lo metteva in contatto diretto con la terra, intesa come divinità-madre. Infine, il fatto di non avere palpebre gli dava uno sguardo ambiguo, oscuro e penetrante, cosa che si tendeva a relazionare con la saggezza. La sua identificazione con Satana o Lucifero è successiva, dato che il principio supremo del male era qualcosa di sconosciuto per gli autori della Genesi.

In ogni caso, la trappola del serpente sortisce l’effetto desiderato e origina il castigo divino nei confronti di Adamo e di Eva. A partire da quel momento, il paradiso si trasforma per l’umanità in un luogo mitico al quale aspirare a tornare per poter recuperare lo stato originario di comunione con Dio. Impresa ardua perché, stando alla visione proposta dalla Genesi e dagli antichi testi mesopotamici, a volte è proprio il naturale impulso umano verso la scoperta e la conoscenza ad allontanarci sempre più dal paradiso.

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