Etoniano, una laurea in Storia dell’arte al Trinity College, dell’infornata di talenti inglesi posh nati tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli '80 (Benedict Cumberbatch, Tom Hiddleston...) Eddie Redmayne, 41 anni, è il più stylish. Ha sempre flirtato coi brand, prima modello per Burberry e poi per Prada. Se un tempo il suo segno distintivo erano i completi sartoriali da rilassato gentleman di campagna, ultimamente i look si sono fatti più audaci, con paillettes e maglioni psichedelici. Ma un elemento detta sempre la rotta: l’orologio al polso. Sa tutto di movimenti e complicazioni, ti spiega che quello dell’orologiaio è un lavoro talmente delicato che i maestri artigiani hanno turni di due ore al massimo per mantenere la concentrazione. La passione è nata da piccolo e ha un’origine sentimentale: il ricordo di suo padre e quel gesto così elegante, prima di andare a nuotare, di sfilarsi l’orologio lentamente per metterlo al sicuro.

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courtesy Omega

Non gli è sembrato vero quando Omega, otto anni fa, gli ha proposto di diventare ambassador del marchio. Oggi Eddie è protagonista della campagna della nuova collezione Aqua Terra Shades. E dopo il successo del film The good nurse sta per iniziare le riprese, come protagonista e produttore esecutivo, della serie Sky e Peacock Il giorno dello sciacallo, ispirata al thriller scritto da Frederick Forsyth. È sposato dal 2014 con Hannah Bagshawe, conosciuta ai tempi di Eton durante una sfilata di moda benefica organizzata da una scuola femminile vicina, dove lui passò quasi inosservato perché in passerella era davanti al bellone di turno. Qualcuno però notò quel ragazzo diafano con le lentiggini e gli occhi verdi. Dodici anni da amici e poi l’amore. Hanno due figli: Iris che ha quasi 7 anni e Luke, 5. Vivono a Londra in una vecchia casa georgiana che hanno ristrutturato insieme.

Il suo stile è molto cambiato negli ultimi anni.

Ho sempre amato travestirmi e la moda mi incuriosisce. Sono stato alla sfilata di Alexander McQueen a Parigi, Sarah Burton è una vecchia amica: vedere come ha trasferito i disegni anatomici di Leonardo da Vinci sui tessuti è stato emozionante. Me la sono sempre cavata da solo ma ultimamente, con due bambini e troppi eventi, non riuscivo più a metterci la testa allora ho chiesto aiuto a Harry Lambert, lo stylist di Emma Corrin e Josh O’Connor (e Harry Styles, ndr). Il suo lavoro mi intriga, ha un gusto classico con un tocco giocoso. Il tappeto rosso in fondo è come un palcoscenico, è tremendamente intimidatorio, ma puoi scegliere di farlo diventare un momento di gioia e teatro puro. Va anche detto che io sono daltonico, vedo pienamente i colori ma in un modo un po’ diverso dagli altri. Quindi, prima che ci fosse mia moglie al mio fianco, mi è capitato di fare qualche abbinamento azzardato...

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Terra Aqua Shades celebra i colori della natura: qual è il suo quadrante preferito?

Almeno per come lo vedo io (ride), il terracotta: è bello il contrasto tra il design classico e la vivacità di quel rosso ruggine, così inaspettato, non banale. Lo abbinerei a un outfit semplice: devi lasciarlo parlare.

Lei quindi abbina orologio e abito?

Sì. Mio padre è il mio faro, è un uomo molto elegante. E ho la fortuna di avere una bella collezione. Credo non esista un solo outfit a cui non si possa abbinare l’orologio giusto. È come un gioiello. È un’affermazione gentile.

Sua moglie glieli ruba?

Sì, le piacciono molto quelli da uomo anche se io non amo quelli grandi grandi, non ho le braccia muscolose di Daniel Craig nonostante gli sforzi in palestra, trovo che l’orologio debba essere proporzionato.

È una persona puntuale?

Puntualissima, mentre mia moglie è sempre in ritardo. Per stare tranquilli, quando ci siamo sposati, abbiamo scelto una chiesa vicinissima al posto dove si sarebbe cambiata. È riuscita a ritardare lo stesso: l'ho aspettata per 40 minuti. Io tendo ad arrivare con largo anticipo, mi piace sedermi e rilassarmi, pregustare il momento. Amo indugiare nel nulla. Nel mio lavoro, c’è stato uno scatto quando ho capito di poter chiedere più tempo per prepararmi. È successo per La teoria del tutto (poi ha vinto l’Oscar, ndr). Quando il regista mi ha detto: si regge tutto sulla tua interpretazione, ho trovato il coraggio di chiedere quattro mesi, un dialect coach e un movement coach. È un grande privilegio ma ho capito di avere proprio bisogno di lasciare "ruminare" il personaggio.

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Come è stato tornare a teatro col musical Cabaret?

L’esperienza più elettrizzante della mia vita. Intensa, fisicamente e vocalmente. Otto spettacoli a settimana richiedono una disciplina rigorosa, mi sto ancora riprendendo. Uno stile di vita quasi monastico, a letto presto, non uscivo più, non andavo neanche al ristorante. Mia moglie si è fatta carico dei figli e io ho perso il senso del tempo. Per certi versi è stata una maratona, per altri sembra essere volato via tutto in tre minuti.

Il tempo è il vero lusso?

Sì e io non sono tanto bravo a proteggermi dallo stress e dal super lavoro anche se non salto mai da un progetto all’altro, mi tengo del tempo per rifornire l’anima, facendo cose normali, stando in famiglia. Ma quando lavoro sono totalmente immerso, è così che do il meglio.

Mai pensato: aiuto, questo è troppo?

Per allestire Cabaret ci sono voluti sei anni, io ero anche produttore. Abbiamo dovuto modificare completamente un teatro di Londra, la gente coinvolta era tutta al suo primo musical. A una settimana dall’apertura ero nel panico. "Eddie, se ti hanno dato il ruolo un motivo ci sarà", ha cercato di rincuorarmi una giovane attrice. "Grazie Emily, ma mi sono dato il ruolo da solo". Si chiama sindrome dell’impostore, è come un diavoletto sulla spalla, devi imparare a conviverci.

Dopo l’infermiere serial killer di The good nurse, sarà un assassino nel Giorno dello sciacallo. È attratto dagli antieroi.

È un caso, cerco di non giudicare i personaggi. A volte è complicato, come nel caso di Charlie Cullen in The good nurse. Lì l’aspetto interessante è che sia riuscito a farla franca così a lungo perché sembrava un uomo normalissimo. Del Giorno dello sciacallo posso dire poco, siamo ancora in fase di preparazione, ma è una delle sceneggiature più esilaranti che io abbia mai letto.

È nato e cresciuto a Londra, dove vive. Che cosa ama della sua città?

È un insieme di villaggi che negli anni si sono amalgamati. Ha tante personalità molto diverse tra loro. Ogni zona di Londra ha un suo carisma e una sua attitude che cambia. Il nucleo dell’energia è in continuo movimento, ma sembra non perdere mai quella ricerca rapace di creatività.

Lei dipinge: il suo colore preferito?

In realtà, mia madre è la vera artista di famiglia, è una bravissima pittrice. C’è un colore che si chiama grigio di Payne, è usato negli acquerelli e io ne sono letteralmente ossessionato. È un grigio con una sfumatura bluastra. La scrittrice Rebecca Solnit in un suo libro scrive che, quando guardi all'orizzonte, ogni paesaggio prende un bellissimo colore grigio-blu, che l’aspirazione nella vita è arrivare a quella sfumatura ma, a mano a mano che ti avvicini, scompare. Ho sempre pensato che il grigio di Payne sia quel colore.

Che cosa significa oggi essere un gentleman?

Io spero di esserlo, mio padre lo è sicuramente. Elegante, discreto, non chiassoso, di una vivacità tranquilla. Essere un gentleman ha sicuramente a che fare con l’umiltà. E con l’avere un bravo sarto (ride).

Se le regalassero un’ora di tempo cosa farebbe?

Suonerei il pianoforte. L'ho sempre suonato anche se non sono bravissimo. Richiede così tanta concentrazione che riesco a non pensare a niente. Mi porta fuori dalla mia testa per un po’.|