Un medico donna allunga la vita. Per dirimere lo spinoso dilemma su quale sia il sesso più abile nell’esercizio della medicina, l’università di Tokyo ha domandato ai numeri. E loro hanno assegnato la palma alle donne. “Essere curati da una dottoressa è associato a un rischio di morte inferiore” è il titolo dell’articolo appena comparso su Annals of Internal Medicine.
La vittoria è però ai punti, e probabilmente non chiuderà la partita. La misurazione è avvenuta partendo da circa 800mila ricoveri a Tokyo tra il 2016 e il 2019. I ricercatori giapponesi si sono chiesti quanti degli ammalati fossero ancora vivi 30 giorni dopo l’ammissione in ospedale e chi fosse il loro medico di riferimento. Fra i pazienti uomini curati da un medico donna il tasso di mortalità era del 10,15%. Fra quelli curati da un medico uomo del 10,23%.
Piccole differenze, che non tengono conto del fatto che spesso negli ospedali si lavora in team. Sarà però per l’affinità di genere, il divario fra i camici dei due sessi si irrobustisce un po’ quando un medico donna visita una paziente donna. Con una dottoressa il tasso di mortalità nelle ammalate di sesso femminile è dell’8,15% e con un dottore uomo dell’8,38%. Qui, secondo gli autori, la differenza inizia a diventare statisticamente significativa. Anche perché il risultato pubblicato oggi ha almeno tre precedenti importanti.
Il primo risale al 2017: un articolo pubblicato sul British Medical Journal dall’università di Toronto sui chirurghi. L’architettura della ricerca è simile a quella di oggi: oltre un milione di pazienti ricoverati per le patologie più diverse e sottoposti a interventi di varia natura. Anche qui le dottoresse surclassano i colleghi di un’incollatura. Gli autori avanzano una motivazione: le donne sono più ligie nel seguire i protocolli e sanno prestare più attenzione ai sintomi dei pazienti.
A conclusioni analoghe era arrivata lo stesso anno un’analisi di Harvard pubblicata su Jama. Il campione preso in esame era stato ancora più ampio – un milione e mezzo di ricoverati – e secondo le conclusioni il lavoro un medico donna è in grado di evitare un decesso ogni 233 pazienti curati e un ritorno in ospedale per complicanze ogni 182 pazienti. La propensione ad ascoltare i pazienti e a collaborare con i colleghi sarebbero gli atout delle dottoresse rispetto ai colleghi uomini.
La trama – un’analisi su grandi numeri di pazienti e un leggero vantaggio finale per le donne – si ripete nel 2023 con uno studio uscito su Jama Surgery sui chirurghi a opera sempre dell’università di Toronto. Nonostante il pesante squilibrio fra uomini e donne che si dedicano a questa professione, lo sparuto drappello di chirurghe ha accumulato ancora una volta un leggero vantaggio: nel milione di pazienti che compongono il campione, le complicanze 90 giorni dopo l’intervento erano il 13,9% se il bisturi era in mano a un uomo e del 12,5% se era in mano a una donna. Le ipotesi avanzate: le chirurghe eseguono gli interventi con più lentezza e seguendo le procedure con più precisione.
Percentuali così poco distanziate non fanno una vera differenza per i pazienti. Ma spingono i ricercatori a interrogarsi: “I nostri risultati dimostrano che uomini e donne praticano la medicina in modo diverso e che queste discrepanze hanno un effetto sulla guarigione del paziente. Per questo è utile capirle meglio” spiega Yusuke Tsugawa, coordinatore dello studio e professore di medicina interna all’università della California Los Angeles.
Lo studio prova ad avanzare delle ipotesi sul “diverso modo di fare medicina” fra i due sessi. Può darsi che i medici uomini sottovalutino i sintomi riferiti dalle pazienti donne e che le pazienti donne si sentano più a proprio agio con una dottoressa, fornendole un maggior numero di informazioni utili alla cura. In ogni caso, prosegue Tsugawa, “avere più medici donne offrirebbe un beneficio ai pazienti e alla società”.