Dracula di Bram Stoker

Dracula di Bram Stoker

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Dracula di Bram Stoker è il primo film a cui Francis Ford Coppola lavora dopo aver portato a termine la trilogia de Il padrino; attraverso le lenti deformanti dell’orrore il regista rielabora la storia stessa del cinema – arte non-morta per eccellenza – e riflette su di sé, sul suo gigantismo destinato a una lenta decadenza nel cimitero dorato di Hollywood, terra più di incubi che di sogni sul finire del millennio. Con Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins e Keanu Reeves.

Attraversando gli oceani del tempo

Per la falsa notizia della sconfitta e morte sul campo di Vlad III, la moglie Elisabetta si suicida lanciandosi dall’alto di una roccia. Il condottiero, folle d’ira e di dolore, giura vendetta contro l’Onnipotente, resta “non morto per sempre”, ambizioso di potere, assetato del sangue di cui si nutre, lussurioso e ancora vivo, nella secolare leggenda di Dracula. Nella Londra vittoriana si sposta in caccia della donna eletta, per azzannarla al collo, travolgerla in un turbine di sangue e di eros, farle assaporare il gusto del potere e trasmetterle la vita eterna sulla terra. Dapprima seduce Lucy poi Mina medesima. Mina a detta di lui, assomiglia prodigiosamente alla defunta Elisabetta, Lucy è presto perduta… [sinossi]

L’ispirazione storica per il personaggio di Dracula venne all’irlandese Abraham Stoker (detto familiarmente Bram) leggendo le gesta truculente del principe della Valacchia Vlad Tepes III, noto come “l’Impalatore” per l’abitudine di infliggere la pena dell’impalamento ai nemici turchi fatti prigioneri durante le lunghe e sanguinose battaglie che si succedettero tra il sud della Romania e le regioni più prossime. Vlad era membro della cosiddetta casa dei Drăculești, e dal patronimico Dracula Stoker costruì il suo personaggio, che perse però nel passaggio alla pagina scritta le connotazioni d’est Europa per sposare uno stile letterario prossimo al classicismo gotico. Nell’incipit di Dracula di Bram Stoker Francis Ford Coppola per la prima volta compie un viaggio indietro nel tempo, inseguendo il seme da cui germinò la mala razza dei vampiri. Non si tratta solo di un escamotage ad effetto, con la ri-nascita di Dracula nell’assenza di morte che avviene attraverso il rifiuto della croce cristiana, dopo che questa si era già frantumata al suolo con la caduta di Costantinopoli nel 1462; Coppola si serve di questa immersione nel passato per concentrare l’attenzione sul tema portante della sua interpretazione del romanzo epistolare di Stoker, il tempo. Corre a ventiquattro fotogrammi al secondo la verità del cinema, anche se nei primi anni Novanta già sta prendendo piede la tecnologia digitale, che annullerà progressivamente anche quella verità. Il cinema si sta approssimando a festeggiare il primo secolo di vita, nel 1992, ma è già un non-morto. La sua è stata una vita di meraviglie ed errori, proprio come quella del principe che non sa reggere la notizia del suicidio dell’amatissima consorte Elisabetta, al punto di dannarsi l’anima in eterno pur di poterla ritrovare nel futuro. In un altro tempo. Ai primordi del cinema, agli albori del secolo breve, nella modernità capitalista di una Londra così cosmopolita che nessuno si sorprende che un nobile rumeno decida di trasferirvisi. Il Dracula di Coppola, contrariamente al Nosferatu prima di Murnau e poi di Herzog, non porta con sé la peste (per quanto topi, ragni e falene siano sempre al suo comando, come anche gli onnipresenti lupi e ovviamente i pipistrelli), ma è al contrario affascinato dalla scienza, dal cinema, da tutto ciò che è nuovo. In perenne fuga dalla memoria dell’antico, Dracula si affida al progresso per raggiungere il proprio obiettivo, una volta ritrovate nel corpo di Mina le fattezze di Elisabetta.

Non teme il tempo, Coppola, e ne attraversa gli oceani per ritrovare il senso dell’immagine, la sua potenza (in)naturale, la sua capacità di trasformarsi sotto gli occhi degli spettatori, esattamente come il vampiro interpretato da Gary Oldman, che può essere lupo e sa farsi spuntare canini aguzzi, perfetti per penetrare nel collo della vittima predestinata. Così come Michael Corleone nel 1990 ha perso la figlia Mary sulle scale del Teatro Massimo di Palermo, urlando contro il cielo un dolore muto – Coppola elimina l’audio dalla sequenza – due anni più tardi il principe transilvano bestemmia contro la croce per la morte “ingiusta” della moglie; ma se a Corleone è concessa una morte solitaria a Bagheria, Dracula non può trapassare, in una colpa che è già redenzione. La colpa di aver perduto la fede? Forse. Ma vi è fede nell’effimero, come quel cinema che è invenzione senza futuro, e vi è amore che è di per sé fede, nella concezione più pura del termine.
Ecco dunque che i retaggi gotici si disperdono solo in un paio di passaggi – la visita forzata di Jonathan Harker nel castello di Dracula, il personaggio di Renfield, che vive nella postura e nello sguardo orchesco di Tom Waits – e il film assume i contorni del melodramma fiammeggiante, tradendo con vigore il testo. Dopotutto è nella presentazione stessa del personaggio di Dracula che Stoker viene smentito senza mezzi termini da Coppola. Nel romanzo si legge che «All’interno c’era un vecchio, alto, sbarbato ma con lunghi baffi bianchi, vestito di nero dalla testa ai piedi: neppure una nota di colore in tutta la sua persona», ma il film non solo elimina i baffi, ma lo presenta agli spettatori abbigliato con un lungo kimono rosso. Solo un vezzo della costumista Eiko Ishioka, non a caso giapponese? Sarebbe banale e riduttivo fermarsi a questo.

Nella riscrittura per immagini del personaggio di Dracula, Coppola sceglie fin dalle primissime inquadrature per chi parteggiare. Dracula non solo non appare ligio al rigore nero, ma è già comparso in scena, giovane e ancora vivo. Nessuno, prima di Coppola, aveva compiuto una scelta simile. Non si tratta solo di umanizzare Dracula, ma di donargli un tempo definito, di costruire una mitologia partendo da basi che possano essere condivise. Il Dracula di Coppola non è una bestia della notte che non ha nascita e non ha morte, se non nel dissolversi alla luce del mattino o nel crepare il cuore sotto i colpi di un paletto di frassino. È stato un essere umano. Lo è ancora, una deformazione di un essere umano. Un effetto speciale. Svestiti i panni del preconizzatore che aveva indossato tanto in Un sogno lungo un giorno quanto in Rusty il selvaggio, Coppola ridefinisce i contorni dell’horror spazzando via quasi tutti gli stilemi divenuti norma nel genere nei quindici anni precedenti – eccezion fatta per la soggettiva in steadicam, alla quale non rinuncia nel voler imitare la corsa notturna del lupo/Dracula che punta alla giugulare di Lucy – e tornando una volta in più indietro nel tempo. Dracula di Bram Stoker procede tra dissolvenze e sovrimpressioni, silhouette in controluce, giochi di chiaroscuri, ombre cinesi. Imitazioni della vita, così come il vampiro non-morto, ma anche come il cinema.
“I pipistrelli vampiro della pampas tropicali devono consumare ogni giorno una quantità di sangue fresco pari a dieci volte il loro peso, altrimenti le cellule del loro sangue muoiono. Grazioso parassita, ja?”; van Helsing, nelle cui vesti gigioneggia con vanesia perfezione un Anthony Hopkins fresco di Oscar per il ben più materiale Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, racconta così il senso del vampiro. Dracula deve nutrirsi di sangue, altrimenti ne morrebbe. Lui, aberrazione della natura – nata però da un’offesa alla divinità – non può biologicamente evitare di nutrirsi. Dopo il conflitto tra realtà e finzione, insito nella stessa imitazione della vita che si citava dianzi, Coppola elegge una ulteriore tenzone, quella tra voglia e necessità. Dracula è un dandy, un vizioso dell’alta società: gode a vedere Jonathan Harker nelle grinfie delle sue “spose” e ha uno sguardo lubrico. Non ha timore di avvicinare una ragazza fidanzata in un luogo pubblico e di abbordarla. Il desiderio lo guida, e lo mortifica. La sua lotta tra amore e desiderio è la lotta tra istinto e ragione, tra naturale e artificiale, tra logica e passione. In ogni caso Dracula perde, da un lato la sua memoria nostalgica e dall’altro la sua finzione fisica. Non è più neanche una guerra tra gli umani e il demonio, Dracula di Bram Stoker ma un conflitto tutto interiore, un’esplosione puramente interna.

Ammaliato dalle possibilità di un cinema barocco che riprende gli stili del classico e li meticcia con le svisate immaginifiche degli anni Ottanta – Dracula è uno strano punto d’incrocio tra Oscar Wilde e il bankside londoniano immortalato da Derek Jarman – Coppola fa traboccare il film di una visione sempre dichiarata, percepibile, figlia al contempo dei molteplici punti di fuga della pittura fiamminga e dell’eterno insanabile conflitto tra afflato materico e mistico proprio della cupezza caravaggesca. Non dissimile in alcuni passaggi alla tensione visionaria del Boorman di Excalibur, Dracula di Bram Stoker è un’opera stratificata, composita, che gioca con l’orrore conoscendone pregi e limiti, e innervando di volta in volta la narrazione facendo ricorso alle armi cariche del cinema: ecco quindi che l’horror si tramuta in mélo, e poi in western, e poi in fantasy, e via discorrendo. Il tempo del cinema e il tempo della vita non si sovrappongono, e lo spettatore è a sua volta un non-morto che s’agita di fronte a un gioco d’ombre cinesi come se stesse assistendo a una vera battaglia.
Come il colonnello disertore Kurtz, ultimo dio impossibile alla morte in una morte perenne calata dall’alto come napalm, anche Dracula sa cos’è l’orrore; lo si legge nei suoi occhi anche quando si fanno rossi per l’eccitazione del morso. Sa cos’è l’orrore, Dracula, e agogna una morte che nessuno sembra volergli concedere, neanche l’arcinemico van Helsing, filosofo metafisico e ammazzavampiri d’ordinanza. Sempre più prossimo alla decadenza del mondo hollywoodiano che aveva contribuito a rifondare, Coppola riflette anche su di sé: è anche lui un Dracula, che attende una morte del cinema che non avverrà mai, ed è quindi sempre avvenuta. Il tempo e la sua caducità senza fine torneranno come elementi preponderanti in altre regia del regista originario di Bernalda, Basilicata, come in Jack (dove il bambino protagonista ha il corpo di un ultraquarantenne Robin Williams) e nel sublime Un’altra giovinezza. L’orrore, che era stato il genere dominante dell’esordio di Coppola nel 1963 (Terrore alla tredicesima ora, per la produzione di Roger Corman), tornerà invece in quella che finora è la sua ultima regia, Twixt, altra storia di non-morti e di vampiri, e altro fiammeggiante melodramma, anche se privo di colore, che parla dell’immagine-cinema e dell’immagine-vita, entrambe disperse nel tempo, e nella sua nostalgia.

Info
Il trailer di Dracula di Bram Stoker.
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