"Una testa pesa meno di un corpo", uno sguardo teso sotto il cappello uccide come un'ascia. Sono gli occhi azzurro scuro di Douglas Booth protagonista di That Dirty Black Bag, serie tv in streaming su Paramount+ dal 25 gennaio, a tagliare lo schermo in orizzontale, brillando di vendetta nella siccitosa atmosfera di Greenville, ex lussureggiante cittadina del Far West che non vede pioggia da cinque anni. Lo spunto è sinistramente attuale - la carenza d'acqua causata dall'avidità dei cercatori d'oro- e si impolvera nei canoni preziosi degli spaghetti western 4.0, rielaborando le lezioni di stile di Sergio Leone e raccogliendo gli omaggi di Quentin Tarantino. "Succedono cose" commenta Douglas Booth all'anteprima degli 8 episodi ideati da Mauro Aragoni, Silvia Ebreul e Marcello Izzo (cui si è aggiunto Fabio Paladini in scrittura) in coproduzione internazionale girata tra Italia, Spagna, Marocco e Stati Uniti, con un approccio cinematografico particolarmente apprezzabile in 16:9, Nell'ampio cast figurano anche Dominic Cooper nei panni dello sceriffo McCoy, Niv Sultan in quelli della tenutaria del bordello cittadino Eve, Guido Caprino che distrugge ogni stereotipo esistente del super villain. Al centro della storia, stretta agli altri personaggi, brilla la feritoia azzurra degli occhi di Douglas Booth aka Red Bill, il cacciatore di teste (in tutti i sensi) che trasporta la vendetta in una dirty black bag gocciolante di resti e demoni lontani. "È qualcosa che non ho mai fatto prima. Come personaggio è molto grounded, ben piantato a terra, solido" anticipa l'attore britannico, in attesa dello streaming.

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Stefano C. Montesi//Getty Images

Come hai costruito questo personaggio, chi e cosa ti è stato d'ispirazione?
L'ho creato come faccio di solito, partendo dallo script: cerchi di capire chi è questa persona, che uomo è, all'inizio della storia, quando cominci a recitarlo. Io comincio scrivendo una specie di storia per il personaggio, cerco di collegare i punti, poi inizio a pensare a come parla, a come si muove... Se ci fai caso, nella serie parlo in modo diverso e mi muovo in modo molto diverso. Lo crei in testa, il resto viene dagli incontri con gli altri attori, condividi idee insieme. In questo progetto abbiamo avuto la fortuna, all'inizio, di stare tutti in una masseria in Puglia: seduti accanto al fuoco, con un bicchiere di vino, ci scambiavamo idee e ci divertivamo.

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Stefano C. Montesi

Creavate anche l'atmosfera?
Sì, creavamo l'atmosfera. Dominic Cooper è anche un amico, abbiamo questo legame naturale tra di noi e abbiamo cercato di portarlo di fronte alla telecamera.

Hai raccontato che il tuo rapporto con tua madre ti ha aiutato a preparare il ruolo. Puoi dirci qualcosa in più?
Ho sempre avuto un rapporto stretto con mia madre, sono un po' un mammone (sorride). Avevo questi incubi ricorrenti in cui lei spariva o moriva, era una cosa un po' malata, ed era ricorrente, tremendo. Mi ricordo che sentivo proprio una sensazione. Penso di averlo riportato perché Red Bill perde sua madre quando è piccolo, ho cercato di ricordarmi quella sensazione che avevo io da bambino, ed è stato l'embrione che ha fatto partire tutto, il dolore di cui soffre il mio personaggio.

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Stefano C. Montesi

Come Red Bill, hai mai sentito l'urgenza, la necessità di avere vendetta? Contro qualcuno o qualcosa?
Forse. A scuola, forse, per qualcosa di molto stupido, tipo qualcuno che mi aveva rubato una carta dei Pokémon. Credo che quando si cresce, e fortunatamente si diventa adulti maturi, la vendetta sia futile, non ha senso. Red Bill crede che vendicare sua madre lo libererà dal dolore, ma non è così: non lo fai a nessuno, non lo fai a te stesso. Preferisco la dolcezza che viene dalla vulnerabilità, e nel corso della stagione vedi molta più vulnerabilità in Bill. Spero che alla fine lo capisca, altrimenti non guarirà mai. Praticamente è come se andasse in terapia...

Nelle prossime stagioni, magari?
Sì, le prossime stagioni saranno solo di lui in terapia (sorride sornione).

Quale dei personaggi che hai interpretato in carriera porteresti fuori a cena, e perché?
Grande domanda! Ti direi Boy George, ma sono uscito a cena con lui (quello vero) quindi l'ho già fatto, e pure Nikki Sixx, ma sono uscito anche con lui... Sono fortunato. Ma penso Dan Leno, un musical performer che ho interpretato in The Limehouse Golem. Era uno dei comici più famosi della sua epoca, nell'era vittoriana se non ricordo male: era un personaggio vero e io avrei voluto ascoltare tutte le storie sui musical, e su cosa significava vivere a Londra quando era piena di smog e sporco.