Demna: "Ho passato la vita a lottare per il diritto di essere chi sono. Mi rifiuto di essere definito dai pregiudizi altrui. E lo stesso vale per i miei abiti" - la Repubblica
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Demna, direttore creativo di Balenciaga dal 2015.
Demna, direttore creativo di Balenciaga dal 2015. 
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Demna: "Ho passato la vita a lottare per il diritto di essere chi sono. Mi rifiuto di essere definito dai pregiudizi altrui. E lo stesso vale per i miei abiti"

La borsa blu come la sporta di Ikea? La gonna-pareo fatta come un asciugamano? Sono tutte creazioni virali del Direttore creativo di Balenciaga. Ma La portata del suo lavoro è tale che anche l’abbigliamento di chi non lo conosce è influenzato dalle sue idee. E in questa intervista esclusiva parla di stile, talento, humor, ossessioni. E racconta perché adora quando, per strada...

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La prima cosa che fa Demna, a inizio telefonata, è scusarsi per il ritardo. L’intervista era prevista per le 18,15, sono le 18,17. Quando gli si fa notare che due minuti in più non sono un ritardo, lui aggiunge che, abitando in Svizzera, la precisione è una cosa a cui tiene. «Ho scelto di vivere qui per staccare da Parigi, non per motivi fiscali. Anche perché, non so come, ho sempre vissuto nelle zone con le tasse più alte», scherza. In qualunque parte d’Europa si trovi, il discorso non cambia: dalla sua nomina a direttore creativo di Balenciaga, il 7 ottobre 2015, Demna ha scardinato il sistema moda. La sua estetica scarna, ispirata alla strada e alle atmosfere da Cortina di ferro – è georgiano – sembrava inadatta al tempio della couture. Invece, una stagione dopo l’altra, ha fuso la sua visione con quella del fondatore, usando con la stessa abilità le regole ferree degli atelier e la sua idea di reale e quotidiano. 

Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista.
Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista. 

La portata del suo lavoro è tale che anche l’abbigliamento di chi non lo conosce è influenzato dalle sue idee, un’influenza che non è scomparsa nemmeno nel novembre del 2022, quando il brand e lo stilista sono finiti nell’occhio del ciclone per due campagne stampa giudicate inappropriate. La tempesta mediatica è stata enorme e violenta ma, con il passare dei mesi, si è quietata. E la corsa di Demna è ripresa: non ci sono dubbi che oggi sia uno dei pochi a fare davvero la differenza nel modo di vestire del pubblico. 

«In giro le riconosco le “mie” silhouette e i miei dettagli, ma quello che adoro è quando la gente mi ferma per farmi i complimenti per quello che indosso senza avere la minima idea di chi io sia». Gli è successo di nuovo pochi giorni fa a Parigi, quando due ragazzi – di sicuro turisti, dice, perché i francesi non sono propensi ai complimenti – gli hanno chiesto di riprenderlo per il loro profilo TikTok, perché il fatto che lui andasse al lavoro così era pazzesco. Non gli hanno inquadrato il viso «perché tanto non conta», aggiunge ridendo. Sul perché il suo stile abbia tanta presa sulla società, non ha risposte, solo ipotesi. «Credo che i giovani si ritrovino nel mio rifiuto degli standard. E sono radicato nel momento: cosa mi fa sentire più a mio agio? Più cool? Più figo? Molti miei colleghi dicono che la loro moda racconta una storia: no grazie, io faccio abiti». Non è quindi un nostalgico. «Bellissimo sentimento: solo qualche settimana fa ho ritrovato in uno scatolone i bozzetti che facevo a 12 anni, mi sono commosso. Ma non puoi andare avanti se continui a guardare nello specchietto retrovisore, mi spiego?». 

Demna, direttore creativo di Balenciaga
Demna, direttore creativo di Balenciaga 

 Demna è nato in Georgia, è scappato a Düsseldorf con la famiglia per fuggire dalla guerra civile, ha studiato moda ad Anversa, ha trovato il successo a Parigi e ora vive a Ginevra, una delle città più quiete del mondo. La sua vita è dominata dai contrasti e naturalmente lo stesso accade nel suo lavoro: basti pensare a come passa dallo streetwear alla couture senza perdere un colpo. «Il primo riferimento è stata mia nonna, che mi ha insegnato ad alterare gli abiti per modellarmeli addosso. Peccato che non apprezzi lo stile di oggi, lo trova sciatto. Pochi giorni fa ha fatto una tirata contro quelli che vanno in tv in scarpe da ginnastica: “Nonna, ma da che parte stai?”, sono sbottato». 
Di Martin Margiela ammira lo spirito punk, il suo distruggere e riassemblare. «Ovviamente le sottoculture della strada giocano un ruolo fondamentale, e sono anche un appassionato collezionista di abiti antichi». Contrasti, per l’appunto. «Ho un sacco di pezzi vittoriani comprati su eBay: più sono distrutti e meglio è, così non mi sento in colpa a smontarli per studiarli. All’epoca erano ossessionati dalla costruzione dei capi, partivano dall’anatomia dei corpi proprio come faccio io». Un altro con la stessa ossessione? Cristóbal Balenciaga. «Guardando la serie su di lui di Disney+, ho ritrovato me stesso nel suo modo di ragionare e nel suo perfezionismo e poi entrambi abbiamo il pallino per le maniche. Forse è per questo che sono così a mio agio qui». Da 9 anni Demna guida la maison e le discussioni sulla sua fedeltà al pensiero del couturier non sono mai finite. «Balenciaga la chiuse nel 1968 perché non si riconosceva più nel sistema. Quindi, la domanda: “Cosa farebbe Cristóbal oggi?” non ha senso. Io non sono lui e quello che si vede è un mix tra il suo lavoro e la mia anima. Poi, certo, mi tremano i polsi a pensare a che eredità maneggio, ma non avrebbe senso lavorare solo in base alle aspettative del pubblico di oggi. Marcel Duchamp diceva che è pericoloso compiacere il pubblico più vicino e immediato. Aveva ragione». 

In più, a differenza di Balenciaga, Demna deve tenere in equilibrio afflati creativi e necessità commerciali di una struttura che viaggia intorno al miliardo di euro di fatturato. Parlando di come ci riesca, mette subito qualche paletto. «Una cosa è lo stile e un’altra è la moda. L’estetica di un brand può essere determinata dalla moda, dal lusso o dalla percezione da parte del pubblico. Oppure può essere plasmata attraverso lo stile, che va oltre la moda. Io lo faccio da anni, credo che paghi, forse è per questo che tanta gente mi segue». Attirare il pubblico è sempre più complicato, vista l’immensità dell’offerta. «Ma so che se una cosa piace a me, piacerà anche a chi ama ciò che faccio. Il problema è la velocità di consumo di oggi, che genera una superficialità che fa equivocare i miei gesti. E così mi accusano di fare qualcosa “solo per essere notato”». 

Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista.
Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista. 

L’episodio a cui si riferisce è quello della gonna-pareo fatta come un asciugamano, lanciata a novembre 2023 al costo di 700 euro, che ha generato molti meme e altrettante polemiche. «Un sacco di gente s’è sentita in diritto di giudicare senza nemmeno pensarci su, adducendo chissà quali motivazioni. Ma cosa volete che sia? È styling, tutto qui. Quando studiavo ad Anversa ci mettevamo le sedie in testa perché ci sentivamo stilosi. Lo humor, il ridere tutti assieme su qualcosa, per me è vitale. Non amo invece l’ironia, che spesso è una forma di giudizio. La trova maligna». 
Le riflessioni su certe differenze – tra messaggio e percezione, stile, moda e lusso – non sono nuove per Demna. Lo scorso ottobre, in un’intervista con Cathy Horyn proiettata alla Triennale di Milano, s’è spinto ad affermare che la moda è ostaggio del lusso. Detto da uno nella sua posizione, colpisce. «Il problema iniziale è pensare che moda e lusso coincidano. La moda non è lusso, è fatta per spingersi oltre i limiti. Di nuovo, è punk. Coco Chanel, che per prima ha usato il jersey per farci dei pantaloni da donna, era punk. Il lusso è qualità e longevità. È il far passare l’idea che sei abbastanza ricco e potente da poterti permettere certi pezzi. Il lusso vende uno status, la moda sovverte le regole». Ha ragione, anche sul fatto che molti oggi coincidono. «Credo che sia successo una quindicina di anni fa, quando i grandi marchi hanno arruolato un sacco di giovani talenti. Si sa come va: si tratta di giganti che fanno soldi con i profumi, le borse, gli accessori e non si prendono nemmeno la briga di produrre le collezioni che fanno sfilare perché il fatturato lo fa il resto. La moda è come un’esca per i pesci, ma non è giusto che il lusso se ne sia appropriato così. Non lo accetto, anche se sono in questo ruolo. Ci sono consumatori che da noi vogliono un paio di sneakers: va benissimo così, perché ci sono anche molti che aspettano mesi per comprare i capi della sfilata. Da Balenciaga vendiamo vestiti, va’ che rivoluzionari che siamo», dice ridendo con una punta di amarezza.

Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista.
Passaporto e biglietto aereo tenuti in mano durante la sfilata primavera/estate 2024 a indicare la “tribù globale” che si raccoglie attorno allo stilista. 

Demna non rifiuta il lato commerciale del settore, quanto come abbia preso il sopravvento. «Non serve nemmeno più un creativo, ma solo un marketing capace. Il guaio è che quando certe strategie funzionano, non le fermi più». Previsioni per il futuro? «Lo dico già: il nuovo quiet luxury sarà la creatività. La gente non si fa più fregare, se spende per qualcosa vuole che ne valga la pena. È per quello servono i creativi». Il fatto che citi proprio il quiet luxury non è un caso, il suo rapporto con la tendenza è piuttosto burrascoso. Alla sfilata dello scorso ottobre ha raccontato come per entrare in un ristorante in Costa Azzurra, che li aveva rifiutati per le loro mise, lui e il marito BFRND si sono “travestiti” a tema, con bermuda sabbia e polo di cashmere. E non è la prima volta che viene malgiudicato per come appare. «Soprattutto in Europa, dove per uno che mi fa i complimenti ce ne sono dieci che mi squadrano sospettosi. Credo che qui domini un atteggiamento più conservatore e improntato al fare gruppo, isolando chi non si adegua. Ma mi succede da sempre: in Georgia venivo insultato per strada se ero vestito di rosso, perché era considerato un colore da froci. Ho passato la vita a lottare per il mio posto e per il diritto di essere chi sono». E ora fa lo stesso nella moda. «Esatto. Mi rifiuto di essere definito dai pregiudizi altrui. Quando smetteranno di etichettarmi, non sarà mai troppo presto».