Lo Scarpone - La valanga del Beth, 120 anni dopo

La valanga del Beth, 120 anni dopo

Dalla tragedia che colpì 81 minatori a una grande storia di impresa e speculazione

La valanga

Probabilmente fu la valanga che causò il maggior numero di morti, sicuramente l’incidente minerario con più vittime in Italia. Erano circa le 12 del 19 aprile 1904, esattamente 120 anni fa. I minatori di stanza ai 2785 m del Colle del Beth, al confine tra Val Troncea e vallone di Massello in Provincia di Torino, avevano deciso di partire a piedi verso valle dopo diversi giorni di nevicate tardive e abbondantissime. Pare che qualcuno dei valligiani, conscio dei pericoli, fosse contrario ma l’esaurirsi delle scorte alimentari e il timore di restare bloccati erano una motivazione irresistibile. 

Un'immagine che restituisce bene le dimensioni della valanga del Beth. © arch. Aree Protette Alpi Cozie

Dai baraccamenti iniziarono a uscire i primi minatori, in fila rigorosamente indiana e in tre gruppi ben distanziati per non essere travolti tutti insieme in caso di valanga. Precauzioni che vengono adottate ancora oggi ma che nulla poterono intorno alle 12.30 quando un boato riecheggiò per la valle. Forse un tuono che innescò la massa di neve, forse il distacco stesso della mostruosa valanga che partì dalle pendici del Bric Ghinivert e non lasciò scampo all’intera comitiva. Risultato: 81 morti, molti dei quali ritrovati al fondo della Val Troncea nei mesi successivi, al definitivo scioglimento degli accumuli spaventosi che erano precipitati lungo il fianco della montagna per quasi 1000 metri di dislivello. 

La stazione di monte della funicolare del Beth, sepolta dalla valanga, dove furono intrappolati molti minatori. © arch. Aree Protette Alpi Cozie

Il 30 agosto 1965 morirono 88 operai impiegati nella costruzione della diga di Mattmark, in Svizzera, travolti dal distacco di un enorme seracco dal ghiacciaio dell’Allalin. Non una valanga propriamente detta come nel caso del Beth. In tanti ricordano il disastro di Marcinelle, in Belgio, che l’8 agosto 1956 provocò la morte di 136 italiani emigrati al nord. Pochi invece ricordano le 81 vittime della valanga del Beth, il numero più elevato di minatori deceduti entro i confini italiani. 

 

Un’incredibile storia alpina, oltre la tragedia

A distanza di 120 anni, il Comune di Pragelato ha deciso di intitolare una piazza in frazione Plan alle Vittime della Valanga del Beth ma è interessante ricostruire tutta la storia dell’impresa mineraria, al di là della tragedia. 

«Questa ricorrenza – esordisce Domenico Rosselli, guardiaparco delle Aree Protette delle Alpi – ha assunto un ruolo particolarmente importante in seguito agli studi che sono stati effettuati negli ultimi 20 anni a proposito dell’impresa mineraria del Beth. Tempo dopo le commemorazioni e il convegno per il centenario della valanga, mi contattò Graziella Giani la pronipote di Pietro Giani, l’imprenditore che nel 1860 aveva avviato lo sfruttamento industriale delle miniere del Beth. Nell’archivio di famiglia era conservato un memoriale che consentiva di ricostruire le origini di un’impresa mineraria davvero incredibile. La valanga, come l’occhio di bue sul palcoscenico di un teatro, aveva illuminato i particolari di ciò che era accaduto al Colle del Beth, lasciando in ombra il resto della scena. Il ritrovamento di nuovi documenti storici consentiva di approfondire l’intero contesto». 

Parliamo di una miniera composta da quattro gallerie situate tra i 2300 e i 2850 metri di quota da cui si estraeva calcopirite ricavando zolfo e rame. Il percorso più breve per trasportare il materiale verso il porto di Marsiglia, il principale mercato dove venivano venduti i minerali del Beth, passava dunque dai ripidi versanti della Val Troncea fino all’abitato di Pragelato alla testata della Val Chisone. 

La galleria Bernard oggi, uno degli ingressi alle miniere del Beth. © arch. Aree Protette Alpi Cozie

«La presenza dei filoni ricchi di rame a cavallo del Colle del Beth – racconta Rosselli – era nota da secoli, ma il luogo estremamente remoto ne aveva impedito qualsiasi forma di sfruttamento. Finché non si presentò sulla scena Pietro Giani, imprenditore nel ramo delle cave da cui venivano estratti i principali blocchi di pietra per i monumenti e le residenze di casa Savoia, che acquistò i diritti di sfruttamento delle miniere del Beth, costruendo la strada carrettabile per il trasporto dei materiali dai 2800 metri del Colle del Beth fino al fondovalle. Il primo carico di materiale estratto fu venduto sul mercato di Marsiglia, dove il rame era molto richiesto per rifornire i produttori di vino della regione di Bordeaux che ne avevano scoperto le qualità antiparassitarie sulla vite, inventando la “miscela bordolese” a noi più nota come verderame». 

In Francia Pietro Giani conosce il francese Jacques Guilimin, esperto nel ramo minerario, con cui entra in società avviando la costruzione della fonderia della Tuccia a quota 1730 lungo il torrente Chisone nel 1865. La gestione delle miniere passerà poi di mano in mano fino alla definitiva chiusura nel 1910. Nel frattempo verrà anche costruita un’avveniristica teleferica che in due tronconi principali copre un dislivello di oltre 900 metri dal colle del Beth alla Fonderia la Tuccia. 

La stazione d'angolo della funicolare che raggiungeva il Colle del Beth. © Arch. Aree Protette Alpi Cozie

«Dobbiamo pensare – prosegue Rosselli – al contesto storico in cui ci troviamo. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, in un periodo dominato da una fiducia totale nel progresso, ma lo sfruttamento delle miniere del Beth non raggiungerà mai una reale redditività economica. Ben presto Pietro Giani abbandonerà l’impresa che proseguirà tra quotazioni in borsa, fallimenti e ricapitalizzazioni anche dopo la tragedia della valanga. Una speculazione finanziaria a tutti gli effetti con tanto di trasferimenti della sede sociale a Bruxelles e in altre capitali europee dove i regimi fiscali erano più favorevoli. Un po’ come fanno ancora oggi i grandi gruppi economici». 

Dalla piccola storia delle vite di 81 umili minatori deceduti, alla grande storia che prende avvio da un remoto colle alpino e conduce alle principali piazze economiche del mondo industrializzato, le vicende legate alle miniere del Beth nascondono molti risvolti che andrebbero ancora indagati e, soprattutto, raccontati. Ma, forse, ci troviamo di fronte a uno di quei processi di rimozione collettiva, scatenati dal pressante rimorso che solo le tragedie sul lavoro sanno produrre. 

«Sicuramente – conclude Rosselli – tutta la storia delle miniere meriterebbe un’attenzione e una visibilità ben diversa, anche per le ricadute che potrebbe ancora avere sul territorio. Penso al richiamo turistico che potrebbe essere rappresentato dal racconto di questa grandiosa impresa industriale, ripercorrendo i sentieri che ancora oggi ne portano i segni e le testimonianze ben visibili sul territorio della Val Troncea. Senza dimenticare che ci troviamo all’interno di un parco naturale alpino. È stata anche realizzata una bella docufiction sulla valanga del Beth e sull’intrapresa di Pietro Giani, grazie alla dedizione del regista Fabio Solimini Giani, a sua volta discendente di Pietro. Da parte nostra, continua l’impegno nel ricordare e far conoscere questa incredibile storia anche grazie al lavoro dell’Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie che continua con ostinazione a promuovere questa storia». 

Per approfondimenti, i video realizzati dai Parchi delle Alpi Cozie sulle bellezze naturali della zona e sulla storia della valanga.