«Lorenzo è un marziano». Claudio Gioè parla del suo alter-ego nella serie La Mafia Uccide Solo d'Estate, tratta dall'omonimo film di Pif e in onda su Raiuno dal 21 novembre. Gioè è Lorenzo Giammarresi, impiegato all'anagrafe e papà del piccolo protagonista, Salvatore, che racconta con ironia e sguardo scanzonato la mafia nella Palermo degli anni Settanta.
L'attore siciliano, che è nato proprio a Palermo 41 anni fa, aveva già recitato nella pellicola di Pif, dove era Francesco, un giornalista militante, che scrive di mafia.
A Lorenzo, invece, quando vede i killer di Cosa Nostra, il coraggio di farsi avanti viene meno. Poi, però, ha una crisi di coscienza: «Non riesce a scendere al compromesso e, mi creda, non era da tutti in quegli anni», spiega Gioè.
Me lo racconta?
«Già oggi, nel nostro Paese, non ci sono molta etica e moralità, si figuri a Palermo nel '79. La parola “mafia” è stata pronunciata nel Parlamento per la prima volta nell’84, anche solo parlarne significava essere dei pazzi. La maggioranza dei palermitani era fatta da tanti Lorenzo Giammarresi, che dovevano scegliere se sopravvivere o rischiare».
Nel film, invece, il suo personaggio era molto diverso.
«Francesco era simile al ruolo che avevo nei Cento Passi e che penso abbia colpito Pif. Ha voluto portare sullo schermo un giornalista alla Peppino Impastato, che ha fatto un'opposizione alla mafia consapevole e coraggiosa. Lorenzo è un uomo comune».
Le ha ricordato qualcuno che conosceva?
«Mi sono ispirato alle polaroid sbiadite di quegli anni che avevano i miei genitori. Anche solo rivedere un taglio di capelli, un vestito di un certo tipo mi ha restituito dei sapori che avevo vissuto da bambino».
Suo papà assomiglia a Lorenzo?
«Sicuramente ho pensato a lui. È un uomo di buoni principi e all'antica, come Giammarresi. Non sa cucinarsi una cosa senza mia madre. Ma per me è stato importante ritrarlo con onestà, ha fatto tanto per la famiglia».
A casa parlavate di mafia?
«Poco e come di una cosa pericolosa, in cui non ci si doveva assolutamente immischiare».
A scuola, invece?
«No, guai. Come nella serie, i bambini venivano tutelati, era impronunciabile per i grandi, si figuri per noi».
Quando sono cambiate le cose?
«Ci siamo svegliati per la prima volta nel 1992, con le bombe a Borsellino. Avevo 16 anni, l’adolescenza è finita e abbiamo capito che era il momento di iniziare a lottare per estirpare la mafia anche a livello culturale».
Lei ha lavorato in tanti progetti legati a questo tema. È stata una scelta?
«Forse, essendo palermitano, mi presto meglio. Mi chiedono spesso il dialetto siciliano, sarò avvantaggiato».
Che effetto le ha fatto raccontare la stessa storia dal punto di vista di due personaggi diversi?
«A teatro siamo abituati a sostituirci al volo e cambiare le prospettive. Certo, quella di Lorenzo mi ha permesso di approfondire meglio questi anni e questi caratteri, sono contento».
La Mafia Uccide Solo d'Estate è nata come film, ora è sbarcato in Tv. Quale formato preferisce?
«La serie, perché permette un approfondimento maggiore, per questo tipo di storia è più efficace».
In passato ha detto che si sentiva snobbato da chi faceva cinema. Succede ancora?
«Una volta sì, è vero. Ormai sono pochi i colleghi che si fanno prendere da questo snobismo, anche perché negli ultimi anni le cose più interessanti sono state fatte in Tv».
Lei come ha iniziato a recitare?
«Facevo il liceo classico ed era passata una circolare su un corso di teatro, per curiosità ci sono andato, mi piaceva il cinema e con gli amici giocavamo a fare i film. Poi ho fatto domanda all’Accademia di Roma, ma mi sono iscritto a lettere perché non ci speravo, non avevo le raccomandazioni che servivano. Invece mi hanno preso».
Avevo letto che voleva fare l'astronauta.
«(Ride) Ma la mia era una battuta, mi sa che la giornalista non l'ha colta. Facciamo così: scriva che voglio fare un film di pirati, vediamo se alla prossima intervista me lo chiedono».