Citizen of a Kind

Citizen of a Kind

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Presentato al Far East Film Festival 26, Citizen of a Kind della regista sudcoreana Park Young-ju, si basa su una vera storia avvenuta nel 2016, relativa a un sistema organizzato di truffe via phishing vocale. Coinvolgente in un primo momento, il film poi non riesce a prendere una strada definita tra l’opera di denuncia sociale di una piaga della società telematica e dello sfruttamento di lavori schiavi, e il film di genere che deve sottostare anche a regole di intrattenimento.

Questione di phishing

Dopo che un incendio ha distrutto la sua lavanderia automatica, Deok-hee, una madre single, crede di riuscire a ottenere un da una banca, ma si tratta di una truffa secondo uno schema di phishing vocale. Disperata si reca dalla polizia, ma le dicono che non c’è nulla da fare. Ricecerà una telefonata d’aiuto dall’uomo che l’ha truffata, che le dice di essere stato rapito e portato in Cina da una gang coreana e di essere stato costretto a fare chiamate per le loro truffe. [sinossi]

Una vicenda di stretta attualità quella raccontata da Citizen of a Kind, film sudcoreano della regista Park Young-ju, che si ispira a una vicenda realmente accaduta nel 2016, avente come oggetto due piaghe di stretta attualità. Da un lato il phishing vocale, le truffe sempre più frequenti nell’ambito di un martellamento pressante di marketing telefonico che subiamo quotidianamente, a prescindere che si tratti di attività lecite o truffaldine. Dall’altro lo sfruttamento dei lavoratori nelle catene di montaggio post-fordiane secondo il modello call center, spesso delocalizzate all’estero, in questo caso in Cina, per svincolarsi dalle leggi sul lavoro e per essere meno facilmente identificabili e perseguibili. Il sistema mostrato nel film, e non dissimile da ciò che avviene nella realtà – in Italia ci ricordiamo del caso di Vanna Marchi –, ricorda i vogatori schiavi che agivano da motore delle navi, spronati all’azione da loschi personaggi con la frusta. Citizen of a Kind è in effetti ispirato a un fatto di cronaca scoperto in Sudcorea nel 2016. Il film funziona grazie allo straordinario personaggio di Deok-hee, una donna sola, che ha perso tutto e che non ottiene inizialmente alcun aiuto dalle autorità di polizia, che anzi la invitano a considerare quella truffa come una lezione di vita, ma che trova la forza e il coraggio di reagire e ribellarsi. Funziona anche per il grande lavoro dell’attrice Ra Mi-ran. E altro punto di forza di Citizen of a Kind è il legame empatico che si crea a distanza tra questi due personaggi, due vittime, che da truffatore a truffatrice decidono di aiutarsi a vicenda.

Come si è detto, e come ricordato nel film, una vicenda di cronaca reale ha ispirato la storia di Citizen of a Kind. Ma enunciare questa derivazione serve solo come valore aggiunto drammaturgico. E il film soffre di non essere in grado di prendere una strada definita tra l’opera di denuncia sociale e il film di intrattenimento dove un fatto di cronaca è un semplice spunto neutro da drammatizzare. L’operazione pende di più verso la seconda istanza, piegandosi anche a facili trovate spettatoriali, aggiungendo anche una parte inventata, quella del viaggio in Cina della protagonista con le sue amiche per cercare in prima persona la centrale del male. In questo modo però vengono persi alcuni treni, alcuni spunti che non vengono sfruttati. Molto convincente è la descrizione del clima terribile che vice nella centrale di call center e di quel sistema di schiavizzazione dei dipendenti obbligati a fare un numero minimo orario di telefonate truffaldine. È un sistema di efficientismo che governa le moderne catene di montaggio anche delle attività lecite. Si poteva renderlo parallelo alle altre attività organizzate che si vedono nel film, la ditta in cui lavora la protagonista e il commissariato di polizia. Park Young-ju sceglie una più facile strada manicheistica, e più consona all’opera di genere, di concentrare tutti i mali, nel mostrare un sistema criminale spietato, che ha dei lavoratori schiavi, letteralmente prigionieri. E che non esita a punire con la morte se si ribellano, come in una compiaciuta scena verso l’inizio. Il film finisce per discostarsi da una realtà dove, sappiamo, le nuove Vanna Marchi si celano anche dove meno ci si aspetti. E la spietatezza è anche nella realtà della protagonista, su cui il film non indugia, che viene lasciata sola, che non viene risarcita dalle assicurazioni, ignorata e non aiutata dalla società e per questo diviene facile preda dei malfattori.

Info
Il trailer di Citizen of a Kind.

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