Il Richiamo della Foresta ha un motivo d’interesse su tutti: la presenza di Harrison Ford in un ruolo di protagonista completo a settantasette anni, ed è per lui che si va a vedere un film che presenta un mondo di cani fotorealistici realizzati con la performance capture.
L’attore tiene il passo con padronanza della scena in un universo in cui gli animali sono personaggi con moltissime sfumature ottenibili evidentemente soltanto attraverso gli artisti della computer grafica (e l’elenco dei credits nei titoli di coda è impressionante). Se la domanda pertinente, guardando il film, è come avrebbe potuto essere l’effetto con veri cani addestrati, la risposta viene dalla concezione stessa del lungometraggio divertente e un po’ retrò diretto da Chirs Sanders (già artefice di Dragon Trainer): da Biancaneve e i sette nani a Il signore degli anelli passando per Star wars, la storia del cinema vanta modelli illustri in cui i personaggi sono ridisegnati con l’animazione o la computer grafica, mentre sul set un attore in carne ed ossa si muove per imprimere la silhouette e occupare lo spazio millimetrico che sarà arricchito dagli esperti della grafica. Questa volta, dietro ai movimenti del cane Buck, troviamo Terry Notary, un ex acrobata del Cinque du Soleil, sul set con una tuta grigia poi sostituita con l’animazione. Diversamente da quanto succedeva in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, dove l’animazione rimaneva distinta dalla realtà, ne Il Richiamo della Foresta è richiesto di accettare questo aspetto di animazione manifesta che può infastidire ma anche incuriosire perché evidenzia molto presto che si vogliono palesare le potenzialità della computer grafica in fatto di sfumature, specie, in questo caso, in una direzione fortemente emotiva. L’effetto è un tantino “invadente” ma è con la baldanza delle corse e delle scene dove tutto sembra un po’ un cartoon, che si ottiene di far prendere confidenza con il presupposto di un’animazione a pari passo con la realtà. La vicenda è quella del cane Buck, dal grande cuore e dalla grossa mole, rapito dalla sua casa in California e catapultato nello Yukon – dove la corsa all’oro ci riporta ai tempi del capolavoro di Chaplin (siamo nella seconda metà dell’Ottocento) – venduto come cane da slitta, sottoposto alla dura legge del bastone, quindi preso da un padrone gentile (Omar Sy) che utilizza la slitta per il servizio postale, poi precipitato nelle mani di un losco violento quando la posta viene sostituita dal telegrafo. Ma sarà l’incontro con un uomo anziano e solitario, che conosce molto bene quei luoghi, a permettere a Buck di liberarsi e trovare il proprio posto attraverso il richiamo della foresta.
Tratto dal famoso romanzo di Jack London che vanta almeno tre altri adattamenti cinematografici (sui quali svetta la versione interpretata da Rutger Hauer), il film è lo scenario per un divertimento fatto di corse e repentini guizzi di Buck e compagni (cani che si alleano presto a lui, di cui avvertono il coraggio e il buon cuore, sostenendolo nello scontro con un temibile lupo rivale), sviluppato nella dimensione di uno stato di natura in cui dominano forti sentimenti, contrasti, affetti, senso di dominazione, ma soprattutto l’intesa tra il cane (i cui comportamenti sono sovente suggeriti dalla magica apparizione di un’arcana figura di cane fantasma, sorta di Obi-Wan-Kenobi in versione canina) e l’anziano amico interpretato da Ford, guida generosa e ricercatore d’oro, che grazie al cane rompe la sua solitudine e trova un amico (Buck lo costringe a non bere), mettendo anche da parte quelle lacrime che solcano il suo volto quando pensa al figlio morto e alla moglie che dopo il trauma non volle più vederlo. Per Ford un ruolo maturo e una delle sue interpretazioni più sentite degli ultimi anni, perché a quest’uomo abituato agli Wookie deve essere parso ancora una volta congeniale parlare nel silenzio della natura ascoltato da un cane che sia o meno in carne ed ossa. Se i cattivi sono caricaturali e London ne esce un po’ appiattito nella riflessione sul darwinismo sociale come espressione del capitalismo sottesa dal suo romanzo, Ford, anche grazie al timbro avvolgente della voce narrante con cui conduce il film, restituisce calore e credibilità mostrando di crederci, come un vecchio lupo ritrovato in cerca anch’egli di un suo posto nel mondo. Magari l’ultimo che gli permetta di trovare la pace sospirata.
Lascia un commento