Cate Blanchett al Festival di Cannes: «Ecco come mi sono ripresa il controllo a Hollywood»

Il Premio Oscar australiano presenta The New Boy, uno dei progetti della società di produzione che ha fondato e chiamato Dirty Film. Ma il nome non significa quello che potreste pensare…
Cate Blanchett al Festival di Cannes «Ecco come mi sono ripresa il controllo a Hollywood»
Andreas Rentz/Getty Images

Cate Blanchett non è una che si accontenta. Dopo la stagione travolgente all’insegna di Tar, della Coppa Volpi e a un passo dal terzo Premio Oscar, continua a fissare obiettivi sempre più ambiziosi. Al Festival di Cannes porta il film The New Boy e al talk Women in motion di Kering spiega quali siano i suoi obiettivi. La 54enne australiana ha quattro altri progetti in cantiere come interprete, ma d’ora in poi sarà sempre più impegnata a livello organizzativo dopo la fondazione di una sua casa di produzione che si chiama Dirty Film. E no, non è perché realizza film per adulti, si tratta di un omaggio alle bobine cinematografiche esposte a volte alla polvere, ma da preservare a tutti i costi.

Lei ha una carriera stellare a Hollywood, perché dirottare le energie altrove rispetto alla recitazione?
«A me piacciono tutti i processi collaborativi: quando ti confronti con gli altri ti vengono idee diverse da una prospettiva nuova. E poi sono stata da sempre attratta a tutto quel mondo che si trova dietro le quinte, dalla nascita alla realizzazione di un progetto. Quindi mi è sembrata un’estensione naturale della carriera di attrice».

The new boy

BEN KING PHOTOGRAPHER

Una produttrice non deve raccogliere solo i fondi per realizzare il film ma risolvere ogni problema logistico sul set.
«E a volte porta anche i caffè, è vero, ma comunque mi piace sporcarmi le mani».

Come se la cava con la pressione?
«Per ora la reggo bene e anche se dico che non voglio essere coinvolta anche davanti alla macchina da presa alla fine cedo e mi ritaglio un ruolo. La pressione comunque rimane la stessa, solo che come produttrice divento un po’ autoritaria».

Che tipo di progetti cerca?
«La scelta è eclettica e non scartiamo mai nessuna idea: non si sa mai dove può portare».

Cosa non le stava bene degli ultimi progetti di cui non ha curato la produzione?
«Innanzitutto è frustrante che si faccia tutto troppo in fretta senza rispettare i tempi di un progetto. E poi non sopporto la pigrizia con cui ci si omogenea, offrendo una sola prospettiva, che sia di genere, etnica o generazionale».

Cosa fa lei di diverso?
«Per esempio mi assicuro che allo stesso provino ci sia sempre una donna e una persona di colore. E lo farò finché questo non sarà più un problema e vedremo una reale rappresentazione. Io spesso arrivo sul set e sono l’unica donna, circondata da 62 uomini, una sproporzione incredibile per cui mi devo sempre vedere costretta a ridere alle stesse battute. Io ho senso dell’umorismo, ma è tempo di cambiare le cose».

Lo ha detto molte volte. Ha paura di essere considerata?
«No perché questo discorso va portato avanti finché non si raggiunge un risultato diverso, inclusivo con una rappresentazione reale. I media, per esempio, hanno sempre avallato l’idea che le donne per natura siano in competizione e non sappiano lavorare insieme. Non è vero».

Che personaggi ama interpretare e vedere?
«Innanzitutto dovremmo uscire dal cliché della “ragazza di” per quanto riguarda i ruoli femminili. Per quelli maschili confesso di amare tutti i film di George Clooney, ma d’altronde chi non lo ama?».

Il prossimo passo sarà la regia?
«Sono piuttosto lenta come attrice, non oso immaginare cosa farei come regista!».

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