Dietro a un quadro si cela spesso una storia d’amore. Con questa rubrica vi raccontiamo le vicende tra gli artisti e le loro modelle, amanti, compagne e mogli. Controverse, tormentate, magiche e belle, queste storie hanno ispirato i capolavori che possiamo ammirare oggi nei più importanti musei del mondo.

Oggi parliamo di… Claude Monet e Camille Doncieux.

“Il sole colpiva dritto quelle gonne di un biancore accecante; l'ombra tiepida nel parco tagliava la vegetazione, i vestiti assolati, una grande tovaglia grigia. Niente di più stravagante come effetto. Bisogna amare il proprio tempo incredibilmente per compiere un simile atto, delle stoffe tagliate in due dall'ombra e dal sole”. Queste sono le parole con cui lo scrittore Emile Zola, strenuo difensore dell’Impressionismo, descriveva la tela Femmes au jardin di Claude Monet. Una scena cristallina, vitale, che raffigura un momento di svago di tre donne in giardino. La luce è così intensa da essere riverberata dalle stoffe dei vestiti vaporosi delle donne, mentre le rapide pennellate sembrano far udire lo scalpiccio dei loro passi, il fragore delle loro risate graziose, l’odore di erba bagnata. In tutte e tre le figure si possono riconoscere i tratti del volto di Camille Doncieux, il primo, grande, vero e indimenticabile amore di Claude Monet.

Femmes au Jardin'.pinterest icon
Universal History Archive//Getty Images

Claude Monet e Camille Doncieux: la storia d'amore

Era un pomeriggio di marzo del 1865 quando l’artista, entrato nella libreria Libraire Doncieux, vide la ragazza per la prima volta: bruna e affascinante, se ne innamorò perdutamente. Non fu una scelta facile: la giovane, già promessa in sposa a un rampollo facoltoso, dovette praticamente fuggire assieme a Monet, che venne a sua volta ripudiato dalla famiglia a causa delle umili origini della ragazza. Dopo due anni di relazione, diede alla luce il suo primo figlio, Jean. Condussero per un lungo periodo una difficile vita bohémien, tra la non accettazione sociale e le continue ristrettezze economiche. Monet infatti, era ancora un giovane pittore scapestrato, ben lontano dalla gloria che non abbandonerà più il suo nome.

L’appellativo Impressionismo era nato da una recensione negativa apparsa su un giornale, che definiva le sue tele come degli abbozzi di pittura non portata a termine; questo non aveva giovato alla sua fama. I tempi d’altronde erano troppo acerbi per comprendere il senso di quella pennellata veloce, dai colori puri, che catturava scene dipinte dal vero, en plein air: non era il frutto di una noncuranza nei confronti della tecnica pittorica, bensì l’amore per un momento di vita vissuto in tutta la sua precarietà, sentito con le percezioni ancor prima che con la ragione. Camille divenne la sua unica modella, ritratta infinite volte per tutta la vita; prima dal vero, e in seguito attraverso i soli ricordi che facevano affiorare la sua figura esile nella memoria del pittore. Camille, sua appassionata amante e sostenitrice, fu la prima a capire che ciò che stava avvenendo su quella tela era una rivoluzione che necessitava ancora di parecchio tempo per essere compresa e accettata. Monet comprese invece che la sua pittura dimorava là, negli istanti di semplicità e gioia, tra la natura rigogliosa inondata di sole.

Claude Monet (1840 – 1926)pinterest icon
PHAS//Getty Images

Claude Monet e Camille Doncieux: i più bei capolavori dell’Impressionismo

Nell’opera Il prato, Camille è intenta nella lettura di un libro, distesa tra i fiori di graminacea e l’erba alta. Sotto la macchia bianca che è il suo copricapo, spiccano le labbra e le guance color pesca. Appoggiato accanto a lei, quell’iconico ombrellino verde che tornerà così spesso nei ritratti all’aperto. Nel 1870, i due si sposarono, al culmine del loro amore. Ma la disgrazia si abbatté sulla coppia: alla donna venne infatti diagnosticato un cancro all’utero, e da quel momento le speranza del pittore cominciano a scivolare lentamente nel baratro. Come un esoterico sciamano, decise di usare l’arte come ultima via d’uscita. Si buttò compulsivamente nella pittura, cercando di immortalare la sua amata in tutte le pose. Sperava in questo modo di rallentare la malattia, quasi a voler tenere la sua immagine ancorata alla tela per far sì che la morte non la facesse sua. La pittura di Monet si fa sempre più impalpabile, pare come dissolversi gettando un alone tetro anche sulle scene più solari. Come per Donna con l’ombrello, in cui la donna, ritratta accanto al figlio tra le fronde, sembra essere una proiezione metafisica, un fantasma che guarda con compassione lo spettatore da un altro mondo.

Camille (The woman in the green dress), 1866, by Claude Monet (1840-1926), oil on canvas. France, 19th centurypinterest icon
De Agostini Picture Library//Getty Images

Solo La dama dal vestito verde fa eccezione: lo stile della pittura si distacca dalla consueta atmosfera aleatoria, avvicinandosi molto di più alla solidità della pennellata di Edouard Manet, colui che aveva fondato il Salon de Refusés, andando contro per primo alla pittura accademica e diventando il capostipite del movimento impressionista. I riflessi così realistici della lunga veste in seta vengono dipinti in modo talmente minuzioso da catturare l’attenzione ancora una volta di Zola, che, sconcertato da tanta realtà e autorevolezza, descrive il suo stupore nel giornale dell’epoca Mon Salon. Nel 1878 nasce un altro figlio, Michel. Ma invece di scongiurare il male, l’avvento del piccolo non fa che velocizzare il processo della malattia di Camille, che muore l’anno successivo. Claude Monet la ritrae per l’ultima volta sul giaciglio di morte, cinerea e trasfigurata, con pennellate talmente rapide da far sembrare che un’unica corrente di onde azzurre scorra sopra la figura.

Claude Monetpinterest icon
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Il pittore, sconvolto dal lutto, si risposerà solo vent’anni dopo con Alice Hoschedé, una donna integerrima, pratica, autorevole, così diversa da Camille. Una donna che, trascorrerà il resto della sua vita guardandolo immergersi totalmente nella pittura, assorto, spesso distante, talvolta ritraendo ancora il suo amore mai dimenticato.