Bussano Alla Porta Recensione

Bussano alla porta: recensione del film di M. Night Shyamalan

01 febbraio 2023
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Sempre più hitchcockiano, il regista di Philadelphia torna con un film che affronta le grandi questioni del presente - dal capire cosa sia vero e cosa no, fino alla dialettica complessa tra singolo e collettività - senza mai dimenticare le esigenze della suspense e dell'intrattenimento. Recensione di Federico Gironi.

Bussano alla porta: recensione del film di M. Night Shyamalan

Certo: a vederli e a sentirli, i quattro che bussano alla porta, e che irrompono nella casa isolata nei boschi della Pennsylvania che è teatro unico del film, diresti subito che sono matti.
Quattro strani personaggi - dal nerboruto Bautista al nevrotico ex Grint, passando per due signore meno note - che brandiscono strane armi, ostentano comportamenti bizzarri che vanno dall’aggressivo al dimesso, al lagnoso, passando per tutte le sfumature possibili, compresa l’esaltazione e l’isteria, e che blaterano di apocalissi, visioni mistiche, sacrifici necessari.
La reazione più ovvia - anche se sai che siamo dentro a un film, e a un film di Shyamalan, e a un film di Shyamalan che ha preso le mosse da bellissimi titoli di testa assai hitchcockiani - è quella di dire che di fronte hai dei fanatici religiosi / teorici del complotto usciti, come sono effettivamente usciti, da qualche tombino dell’internet.

La reazione più ovvia, insomma, è quella di dar ragione a Andrew, il più arrabbiato dei due gay protagonisti del film (perché la diversity va rispettata, anche se poi la loro figlia adottiva cinese è poco più che un macguffin).
Andrew, che sbraita e si contorce, legato sulla sedia, e si preoccupa che all’amato Eric, che è più morbido di lui, e che in più è anche un cattolico, i quattro possano fare il lavaggio del cervello.
Tanto più che lui, Andrew - in quello che potrebbe essere definito un eccesso di realistica consapevolezza, o un esempio di vittimismo tutto contemporaneo, fate voi - sospetta che in realtà tutta questa faccenda sia un crimine d’odio contro di loro. Contro gli omosessuali.
Andrew, che, come noi, non riesce mai a capire se e quanto Eric stia cedendo. Quanto stia iniziando a credere, e a credere davvero, di fronte a prove che, in fondo, potrebbero anche non essere tali, alle profezie di questi novelli cavalieri dell’Apocalisse.

Il gioco di Bussano alla porta, costruito benissimo da un punto di vista di sceneggiatura e di gestione dell’immagine e della suspense, è tutto qui.
È il solito gioco di Shyamalan: quello di seminare il dubbio; quello di mettere protagonisti e spettatori di fronte a situazioni e rivelazioni sconcertanti; quello di capire come reagire.
Un gioco che, nelle sue pieghe ludiche, o meglio di genere, non fa altro che cercare di metterci di fronte, senza troppa violenza filosofica ma con grande attenzione all’intrattenimento, alle grandi questioni del presente. Questioni che spesso toccano anche la spiritualità, anche se non direttamente la religione.
Pensiamo a quel capolavoro che è Servant, tutto basato sul dubbio, l’ambiguità, sulle sfumature complesse dei rapporti e della fiducia, sul credere o non credere - con l’intelletto e con lo spirito - a qualcosa di incredibile. Senza contare che sia Servant che Bussano alla porta giocano in maniera evidente con l’idea della famiglia, della sua sacralità, nella sua inviolabilità, della sua presunta difesa a ogni costo.

Cosa vogliono davvero i quattro che hanno fatto home invasion? Sono dei pazzi sadici e sanguinari? Sono degli omofobi? Sono persone che davvero sono state illuminate da una triste e catastrofica verità superiore?
Per tre quarti del film Shyamalan spinge i suoi protagonisti, e noi con loro, a credere all’una e all’altra cosa. Spinge a riflettere per cercare di fare la cosa oggi più difficile di tutte le altre: capire cosa è vero, e cosa no.
Poi, a un certo punto, decide che uno dei suoi protagonisti, e noi con lui, si deve assumere una responsabilità ineludibile, per quanto complicata e dolorosa.
È a questo punto che Bussano alla porta dice quello che ci vuole dire, che non è solo lo sforzo di decifrare la verità in un mondo pieno di mitomanie e menzogne e raggiri e psicosi diffuse. Dice quello che vuole dire nella maniera forse più prevedibile, ma anche più radicale.
Non leggete oltre se non volete sapere cosa sia, questa cosa che Bussano alla porta ci dice.

La responsabilità che si assume Eric, che è ineludibile e dolorosa, e soprattutto sacrificale, è quella di non continuare a negare - per paura, eccesso di razionalità, o meccanismo di protezione psicologica  - che la catastrofe annunciata è reale. Vera. Presente. In un certo senso già avvenuta.
Non è un caso se la prova di fronte alla quale Eric, ma nemmeno Andrew, non possono più controbattere e controargomentare, sia quella degli innumerevoli aerei che iniziano a precipitare dal cielo, e che non possono non richiamare alla memoria le immagini dell’11 settembre.
La catastrofe è in corso, e per cercare di fermarla l’unica cosa possibile da fare è compiere una scelta dolorosa, un sacrificio che va a toccare quel che di intoccabile è rimasto nell’ideologia - non solo cinematografica - occidentale, ovvero la famiglia.

Non è che Shyamalan sia diventato un fanatico millenarista. Bussano alla porta non è l’equivalente sotto forma di film dei cartelli tenuti su da certi svalvolati con la scritta “La fine è vicina”. No.
Shyamalan ci sta dicendo, con grande razionalità e pragmatismo, che il mondo non sta messo molto bene. E che chiudersi a riccio nel nucleo familiare, versione borghesemente accettabile di un individualismo atomizzante, nella comodità delle nostre case, non fermerà certe derive catastrofiche.
Che, per fare un esempio molto facile, per fermare il cambiamento climatico, o si fanno sacrifici e rinunce dolorosi o complicati, o son dolori.
Shyamalan sta dicendo a noi, all’Occidente, al mondo: va bene certi valori sono sacrosanti, ci mancherebbe. Ma qualcosa al bene comune - e qui pensiamo alla redistribuzione del reddito e alle disuguaglianze sociali -  una fetta del nostro benessere dobbiamo pur concederla, per quanto ci possa dispiacere. Perché altrimenti il resto del mondo andrà a fuoco. E noi con loro.
In poche parole, con Bussano alla porta, Shyamalan, quasi rivoluzionario, lancia un appello al nostro senso di responsabilità. Al nostro amore per la quella collettività sociale e umana, senza la quale anche noi, e i nostri cari, non avemmo più alcun senso. 



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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