IL COLOSSO FRANCESE

Bernard Arnault, il signore del lusso e i segreti dell’impero Lvmh

di Giulia Crivelli

Bernard Arnault con la moglie, il figlio Antoine e la compagna Natalia Vodianova di fronte alla “piramide” del Louvre, a Parigi

6' di lettura

È l'uomo più ricco di Francia e quasi certamente tra i più ammirati e invidiati, nel suo Paese e nel mondo. Non è solo questione di patrimonio (valutato in circa 55 miliardi di euro): Bernard Arnault ha creato e gestisce Lvmh, il più grande gruppo del lusso che si conosca, con un portafoglio di 70 maison, che danno lavoro a 145mila persone nel mondo.

Nel 2017 i ricavi sono arrivati a 42,6 miliardi, quasi tre volte quelli del numero due del lusso, il rivale di sempre, il gruppo Kering, fondato e guidato dalla famiglia Pinault. Arnault fa una vita tutto sommato riservata, ma a Parigi tutti sanno che frequenta i ristoranti più esclusivi ed è ospite d'onore a vernissage, visite private di gallerie e di eventi, anche sportivi, ai quali quasi nessuno può accedere. O meglio: Arnault ha sempre l'accesso e il punto di osservazione più privilegiato che esista, se così si può dire. È tutto molto logico, in fondo: ci si interroga da secoli su cosa significhi lusso e l'imprenditore francese impersona la definizione migliore. Lusso è potersi concedere il meglio, sempre. A chi rispondesse che in realtà il lusso è il tempo, potremmo ribattere che, come detto all'inizio, Arnault non è un presenzialista né un mondano di professione.

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Eccellente suonatore di pianoforte (la seconda moglie è una pianista canadese), divide il suo tempo tra impegni di lavoro e di famiglia. In questa osmosi aiuta il fatto che molte posizioni importanti all'interno di Lvmh siano occupate dai maggiori dei suoi cinque figli: Delphine e Antoine, avuti dal primo matrimonio (con Anne Dewavrin, finito nel 1990), hanno ruoli importanti in tre delle maison di punta di Lvmh. La prima, nata nel 1975, è vicepresidente esecutivo di Louis Vuitton; il secondo, due anni più giovane della sorella, è ceo di Berluti e presidente di Loro Piana. Alexandre, il maggiore dei tre figli avuti da Hélène Mercier, la pianista, è ceo di Rimowa, marchio di valigeria di lusso, una delle più recenti acquisizioni di Lvmh.

Il cerchio magico di Bernard Arnault

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Lvmh però nacque nel 1987, quando Delphine e Antoine non erano neppure adolescenti e a guardar bene il fondatore non fu Bernard Arnault, bensì Alain Chevalier, insieme a Henri Racamier: il nome sta per Louis Vuitton Moet Hennesy, perché le maison di pelletteria, champagne e cognac rappresentano il nucleo attorno al quale ha preso forma quella che oggi è una galassia divisa in cinque divisioni, che spazia dalle borse all'abbigliamento, dai gioielli alle catene di retail, dalla cosmetica agli alcolici.

L'ingresso di Arnault in Lvmh è del 1988: egli ha il merito di aver creduto nella fusione tra aziende del lusso di categorie solo apparentemente lontane: Racamier guidava Louis Vuitton, Chevalier era a capo di Moet & Chandon e di Hennessy e produceva i profumi Dior e Givenchy. Tra le qualità di Arnault, c'è quella di essere un ambiziosissimo visionario: da quel nucleo iniziale di borse e valigie (all'epoca Vuitton era famoso soprattutto per la pelletteria) e alcolici di alta gamma pensò subito di costruire un gruppo mai visto prima, che abbracciasse tutti i settori del lusso e potesse diventare leader mondiale. Da qui, probabilmente, l'uscita, nel 1989, da Lvmh di Chevalier, che poi acquistò la storica maison di abbigliamento francese Balmain. Un'avventura durata poco (la rivendette nel 1991): a differenza di Arnault, Chevalier, morto pochi giorni da a Parigi a 87 anni, forse non possedeva il “sacro fuoco” del lusso e forse non credeva nella possibilità, partendo dalla Francia e dalle sue tradizioni, di conquistare il mondo.

Negli anni 90 e 2000 e fino ai giorni nostri, Bernard Arnault ha fatto decine di acquisizioni, aiutato da collaboratori che, a differenza di Chevalier, hanno una visione simile e allo stesso tempo non tolgono luce all'attuale ceo e presidente del gruppo. La storia dell'imprenditoria francese (e non solo) del resto è piena di “numeri due” che hanno avuto ruoli chiave nello sviluppo di aziende o grandi gruppi. Fedelissimi scudieri, consiglieri fidati, leali compagni di viaggio. Non è detto che sia un'imposizione, quella di restare braccio destro o sinistro di un uomo apparentemente solo al comando.

Tra le figure chiave di Lvmh c'è sicuramente l'italiano Antonio “Toni” Belloni, classe 1954 (quasi coetaneo di Arnault, che è del 1949): è entrato nel gruppo nel 2001 come direttore generale e “responsabile per la gestione strategica e operativa delle aziende di Lvmh”, ruolo che tuttora ricopre, oltre a essere membro del consiglio di amministrazione e presidente del comitato esecutivo. Dalla provincia di Varese (Belloni è nato a Gallarate) alla capitale del lusso mondiale: in mezzo, studi economici e molti anni a fare esperienza in aziende del largo consumo. Il super manager ha contribuito a fare di Lvmh il colosso globale che è, ma certamente ha avuto un ruolo negli investimenti decisi da Arnault in Italia: tra le maison di punta ci sono Fendi, Bulgari, Loro Piana, Emilio Pucci e Berluti, che, proprio grazie all'impegno di Lvmh, hanno creato moltissimi posti di lavoro in Italia. Non solo: Vuitton produce tutte le calzature a Fiesso d'Artico, sulla Riviera del Brenta, mentre Celine può scrivere made in Italy sulle sue borse, fatte in Toscana. Secondo molti l'affinità con Arnault è scattata 17 anni fa e non si è mai interrotta: Belloni è il più stretto collaboratore del ceo e presidente, che spesso lo manda ad appuntamenti importanti per il gruppo, come l'inaugurazione, pochi mesi fa, della fabbrica modello di occhiali, nata da una partnership con la bellunese Marcolin.

«Noi guardiamo sempre a ciò che abbiamo alle spalle, alla nostra storia. Ma poi andiamo verso il futuro», ha detto Belloni in luglio, chiamato a fare il Commencement Speech alla cerimonia di laurea dell'università di Bologna, la più antica al mondo, val la pena di ricordare, parlando di storia. «La leadership è una corsa sulla lunga distanza. Per essere dei buoni leader, bisogna puntare su autenticità, curiosità, passione e carattere», ha spiegato Belloni agli studenti. Aggiungendo che «i bastian contrari sono molto preziosi per qualsiasi squadra, qualsiasi attività. Hanno il coraggio di mettere in discussione la saggezza comune». Qualcosa ci dice che non deve essere facile contraddire Arnault: tra le doti di Belloni ci deve quindi essere la diplomazia e la capacità di usare toni e modi giusti al momento giusto. Che forse sono una delle tante “declinazioni” dell'intelligenza.

Sono infatti molte le leggende, che probabilmente corrispondono in parte alla realtà, su Arnault. A volte viene definito un “uomo di ghiaccio”, ma forse di azzurro chiarissimo ha solo gli occhi. Non fosse che per la sua passione per la musica, il pianoforte e l'arte (in cui ha investito centinaia di milioni di euro) si fa fatica a pensarlo come un uomo freddo. Anzi, sembra animato da autentica passione: può darsi che quella principale sia legata alla leadership nel lusso (che qualche anno fa lo portò a tentare una scalata a Hermès), ma a fare da contrappeso ci sono gli affetti e l'impegno nel sociale.

Le stesse passioni che caratterizzavano un'altra figura chiave nella storia professionale di Bernard Arnault, Yves Carcelle, al quale fu infatti affidato il ruolo di mentore per il figlio Antoine. Carcelle è l'uomo che ha trasformato Vuitton da maison di borse e valigie a marchio di lifestyle, anche grazie agli “innesti” di creatività venuti dalla collaborazione con artisti di tutto il mondo. Forse Carcelle era un bastian contrario non altrettanto diplomatico di Belloni: guidò Vuitton dal 1990 al 2012, quando Arnault lo nominò presidente della Fondazione Louis Vuitton, il museo di arte contemporanea progettato da Frank Gehry. Carcelle morì nel 2014 a 66 anni di una rara forma di tumore che gli era stata diagnosticata nel 2013. Mancavano solo pochi mesi all'inaugurazione della Fondazione e non è dato sapere come si sarebbe diviso tra Parigi e la sua tenuta nella provincia francese, dove si dilettava a produrre vino. Sicuramente era una figura più conosciuta di Belloni e, ma sono ipotesi forse persino irrispettose, Arnault soffriva un po' del confronto con Carcelle, che di carattere era tutto meno che un uomo di ghiaccio. Le diversità caratteriali però non devono per forza sfociare in contrasti e il fatto che sia Belloni sia Carcelle non abbiano mai lasciato il gruppo Lvmh dimostra la solidità dei rispettivi sodalizi professionali e personali con Arnault.

Altra figura chiave di Lvmh è Michael Burke, al quale sono stati affidati, in rapida successione, i ruoli di comando in Fendi, Bulgari e Vuitton. Il suo curriculum è leggermente diverso da quelli di Belloni e Carcelle, che si sono fatti le ossa nella gestione operativa di grandi azienda. Burke conosce molto bene anche il settore immobiliare e la finanza: di tre anni più giovane di Belloni, fu chiamato a guidare le operazioni immobiliari di Arnault negli Stati Uniti ancora prima della nascita di Lvmh. Poi, fino al 1992, è stato ceo della filiale americana di Christian Dior e, successivamente, di Louis Vuitton North America, fino al 1997, quando diventò direttore generale internazionale di Christian Dior Couture e in seguito presidente e ceo di Fendi (2003-2012). Burke parla perfettamente almeno tre lingue (inglese, francese e tedesco) e conosce bene l'italiano: più mondano di Arnault, ma forse un po' meno di Carcelle, possiede, come Belloni, la capacità di essere un insostituibile braccio destro. Perché non è sempre vero che i numeri due scalpitino per diventare numeri uno, specie se al vertice c'è una persona (e personalità) come Arnault.

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