Venne prosciugato dal principe Torlonia a metà del XIX secolo
di Adriano Marinensi
Di lui, oltre ad una straordinaria impresa di bonifica, è rimasta famosa una frase: O Torlonia asciuga il Fucino oppure il Fucino asciuga Torlonia. Lui era il principe Alessandro Torlonia, romano del 1800, rampollo audace di una famiglia di banchieri. Per la storia, il suo discendente Giovanni Junior affittò, nel 1925, parte della villa omonima (il Casino Nobile) a Benito Mussolini, per la cifra simbolica di una lira l’anno. Benito dormiva in una camera e Rachele in un’altra al primo piano, un bagno ciascuno, e i figli al terzo. C’era pure il seminterrato che fu attrezzato a bunker antiaereo.
Il Fucino, con il quale Alessandro entrò in competizione, è una vasta conca appenninica, in provincia de L’Aquila, nel territorio della Marsica, a 350 s.l.m. con attorno il sistema montuoso del Soratte – Velino. In tempo remoto, quell’altopiano fu un lago, per estensione il terzo d’Italia. Vi fanno capo 12 Comuni tra i quali i più noti sono Avezzano, Celano, Gioia dei Marsi e S. Benedetto dei Marsi. Si estende per 160 chilometri quadrati. I geologi sostengono trattarsi di “una depressione di origine tettonica formatasi durante l’orogenesi appenninica, tra Pliocene e Quaternario” (nientemeno!).
Il Lago del Fucino era ingombrante sin da epoca antica. Tanto che provò a “sopprimerlo”, senza successo, l’imperatore Claudio, nel 52 d.C., lasciando ai posteri interessanti opere idrauliche. A quel tempo, i Marsi erano potenti amici di Roma. Scrisse Svetonio che “il prosciugamento del lago rappresenta il progetto più prestigioso per l’ornamento della città”. Da sempre popolo di pescatori, gli abitanti del lago – alla fine del XIX secolo – si dovettero trasformare in gente agricola, dando anche vita a grintose lotte contadine. Ignazio Silone (pseudonimo di Secondo Tranquilli) racconta nel romanzo Fontamara, le traversie di un paese di “cafoni” analfabeti angariati dal fascismo, immaginato, il paese, in Abruzzo, proprio nel territorio della Marsica..
L’impresa della bonifica trae origine da un Regio decreto emanato nel 1852, da Ferdinando II° di Borbone, quando ancora il Fucino stava sotto il Regno di Napoli. Concesse l’autorizzazione della bonifica ad una società napoletana della quale faceva parte il facoltoso Torlonia. I lavori, iniziarono il 15 febbraio 1854 e furono dichiarati ufficialmente chiusi il 1 ottobre 1878, quando, in Italia, c’era Vittorio Emanuele II° che ad Alessandro conferì il titolo di Principe del Fucino.
Ci vollero migliaia di operai per realizzare l’impresa, provenienti da molte parti d’Italia ed anche dall’estero. E una enorme mole di capitali che quasi dissanguò la famiglia del principe, tenacemente impegnato, in prima persona, nella “disidratazione” del lago. Lo strumento principale fu proprio il cosiddetto emissario Torlonia, una galleria di 6 km che permise di trasportare l’acqua al fiume Liri (Garigliano) e quindi al Mar Tirreno. All’insegna di chi vince si prende il monte premi, rappresentato, nella fattispecie, dalla gran parte delle terre emerse.
Occorsero anche un paio di canali complementari, oltre a canali più piccoli, torrenti, grandi fossati di scolo e quindi una rete idrica di quasi 300 km. Poi, furono costruiti ponti, nuove strade carrozzabili ed edifici di varia utilità. L’intervento trasformò completamente perfino il clima dei luoghi che divenne particolarmente caldo d’estate e freddo d’inverno. Quando il “nuovo Fucino” prese avvio, fu scritto: “Tutto assume forme inverosimili, tutto sembra proporzionato alla vastità del latifondo, i buoi e le loro corna, la grande famiglia di trebbiatrici, l’esercito di aratri e di forme di cacio”. Dunque, le coltivazioni intensive, gli allevamenti, gli impianti di trasformazione delle enormi quantità di prodotti, tradizionali e tipici. Notevole il Centro spaziale del Fucino, il più grande d’Europa, controllato dalla società Telespazio e adibito alla gestione delle telecomunicazioni satellitari. Ospita anche il Museo tecnologico.
Alla fine (della fiera), risultarono “conquistati” 16.500 ettari coltivabili. Di essi, 2.500 andarono ai Comuni circostanti ed il resto in proprietà ad Alessandro Torlonia che li divise in 497 poderi di 25 ettari ciascuno. Lo sforzo economico era stato quasi mortifero, però il patrimonio acquisito di gran lunga superiore in valore. Comunque, la bonifica del Fucino – tenuti presenti i mezzi tecnici di allora – è rimasta esemplare nei libri di storia e scolpita nel blasone della casata romana.
Pensiero della Pasqua di Resurrezione
In tempo di pace, non c’erano mai stati tanti crocifissi nel mondo. A crocifiggere non sono soltanto gli effetti delle guerre che alimentano situazioni inconcepibili, ma le povertà estreme, la fame, le schiavitù civili, le lotte tribali, i soprusi. Anche i periodi di pace prevalente hanno i loro crocifissi: quelli che intraprendono i viaggi della speranza, della disperazione, della morte. In tanti mostrano il volto innocente dei bambini che l’uomo uccide e il mare nasconde.
E’ il Calvario di popoli che migrano e lanciano lo stesso grido del Cristo sul Golgota: Dio mio, perché mi hai abbandonato? In questa epoca che mostra i segni del progresso e dell’opulenza, crescono pure le contraddizioni che sanno di inciviltà, di indifferenza sociale, di nessuna solidarietà e sono ancora largamente presenti i patimenti della Passione. E’ il degrado morale che si contrappone all’alto significato della Resurrezione. E l’Agnello sembra essersi immolato invano.