Beniamino Gigli, il tenore che si donò al mondo con il canto - HuffPost Italia

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Beniamino Gigli, il tenore che si donò al mondo con il canto

Mondadori Portfolio via Getty Images
Mondadori Portfolio via Getty Images 

Parma, luglio 1914 – Le pesanti vesti di scena gli pizzicavano la pelle e lo opprimevano sotto il caldo sole di luglio. Beniamino si tamponava ripetutamente la fronte e le gote: non poteva permettere che neppure una goccia di sudore rovinasse la sua immagine; quella era la sua occasione, e non intendeva sprecarla. Ripeté mentalmente alcuni passi del “Sigurd” di Ernest Reyer che aveva preparato insieme a una piccola parte tratta dal finale de “La Traviata”, ma le voci dei 105 concorrenti, altrettanto determinati a vincere, lo distraevano e gli causavano un morso d’ansia alla bocca dello stomaco.

Era stato il suo maestro Rosati a Roma, dove si era trasferito da Recanati per intraprendere la carriera di cantante lirico, a proporgli di partecipare a quel concorso organizzato da Cleofonte Campanini, Direttore del Conservatorio di Parma. Poteva essere il suo trampolino di lancio, oppure la pubblica disfatta di un ragazzotto di provincia considerato da alcuni non abbastanza bello per calcare le scene. Insomma, un trionfo o una tragedia, senza vie di mezzo.

“Beniamino! Avanti, è il tuo turno”. Il cuore gli balzò in petto, le gambe si irrigidirono in un tentativo di resistenza. No, non avrebbe lasciato che la paura prendesse il sopravvento sui suoi sogni. Trasse un profondo respiro e salì sul palcoscenico.

Quel mese a Parma non si parlò d’altro se non della postilla scritta nel giudizio della commissione esaminatrice del premio. A lettere maiuscole campeggiava sul secondo foglio della scheda che lo decretava vincitore assoluto la frase “Abbiamo finalmente trovato il tenore!!”. Il nome di Beniamino Gigli passò di bocca in bocca fino ad arrivare a Rovigo, dove il 14 ottobre dello stesso anno il giovane cantante marchigiano, appena ventiquattrenne, vide il suo primo vero esordio al Teatro Sociale ne “La Gioconda” di Ponchielli. Poi la voce del suo incredibile talento, del falsettone superbo e del timbro potente senza incrinature si sparse fino a Genova, dove il Direttore del Teatro Carlo Felice lo fece scritturare per la sua prima stagione d’opera. 

Da lontano, nel quieto borgo di Recanati, i genitori di Beniamino seguivano quei successi con un misto di orgoglio e timore. Erano stati i primi a essere entusiasti quando il loro figlioletto di sette anni era entrato a far parte della Schola cantorum del duomo di Recanati, dove suo padre era riuscito a ottenere un discreto posto di campanaro.

Prima di partire per Roma Beniamino, ultimo di sei figli, si era sempre dato da fare per racimolare qualche soldo in ogni modo: cantando quando gli veniva concesso ed esibendosi nella banda cittadina, ma anche svolgendo umili lavori di falegnameria, sartoria o come garzone nella farmacia del Paese. C’era la miseria, otto bocche da sfamare e, sebbene le doti straordinarie del ragazzo fossero evidenti a tutti, nessuno aveva certo immaginato che un giorno Beniamino potesse decidere di trasformare quel piacevole passatempo in un vero e proprio mestiere, lasciandoli per sempre.

Ora Domenico Gigli ed Ester Magnaterra leggevano i giornali con una gioia insperata, pieni di un orgoglio che li spingeva a scendere in piazza e a condividere gli articoli in prima pagina con i compaesani; tuttavia, nelle silenziose notti d’estate moglie e marito si sussurravano tra le lenzuola stropicciate i dubbi e le preoccupazioni che li tormentavano. Poteva davvero il canto diventare una professione remunerativa? O quel momento di gloria sarebbe presto scomparso, così come all’improvviso era apparso?

Un luglio di quasi vent’anni dopo Beniamino Gigli stava in piedi a schiena dritta e portamento elegante al centro del Teatro Persiani, nella sua città natale. In quel lasso temporale Beniamino si era esibito sui palchi del mondo intero, ritornando tuttavia spesso a Recanati per trascorrervi le vacanze; questa volta, invece, si trovava lì per accogliere un’orchestra che aveva fatto arrivare dalla Germania. Non era certo per denaro se si era preso l’impegno di gestire musicisti e tecnici, festival e concerti nella provincia marchigiana: soltanto lui e i familiari più stretti seduti in prima fila potevano sapere quanto a fondo l’infanzia di stenti avesse segnato la sua personalità adulta.

I fratelli e le sorelle, nonché i figli che aveva avuto da una moglie amabile e paziente, lo guardavano con ammirazione e vedevano in lui l’uomo che pochi conoscevano fuori dalle luci della ribalta: un padre amorevole, un figlio con qualche rimorso di troppo per aver trascorso gran parte del suo tempo lontano dai propri cari, un’anima inquieta che si stava evolvendo e cercava ora una nuova strada.

Tutti gli altri adoravano il tenore più celebre del momento, colui che lo stesso Caruso aveva designato come suo erede. Beniamino aveva solcato mari e percorso strade accidentate per esibirsi in ogni Paese d’Europa, nel Sud America e negli Stati Uniti, dove da anni la sua villa ospitava la crème di New York. Tuttavia, niente è destinato a durare per sempre. Ancora una volta, la sua vita stava per andare incontro a un cambiamento decisivo, ed era proprio a questo che pensava mentre, immobile al centro del teatro, attendeva con apparente tranquillità i suoi ospiti stranieri. 

Nel 1932, dopo ben dodici anni consecutivi di attività e circa cinquecento recite, Beniamino Gigli pose fine alla sua collaborazione con il Metropolitan di New York, non accettando il taglio degli stipendi dovuto alla crisi finanziaria che aveva colpito l’America. Qualcuno vide in quel rifiuto un comportamento inspiegabile: quasi tutti gli artisti firmarono il compromesso; come mai proprio lui, il cantore del popolo che aveva tenuto centinaia di concerti di beneficenza, lasciava il più importante teatro al mondo pur di non rinunciare a un lauto compenso?

La verità, però, era un’altra: dopo un’esistenza intera passata a viaggiare e a donare se stesso agli altri attraverso il canto, Beniamino era stanco. Negli ultimi anni la nostalgia di Recanati e della sua terra si era fatta sempre più intensa, così come il desiderio di trascorrere del tempo con la famiglia. La figlia Rina si stava già facendo un nome come soprano seguendo le sue orme e voleva essere al suo fianco, in quella poltrona lasciata vuota dai suoi genitori quando era lui a cantare di fronte a migliaia di persone. 

Quell’anno non segnò soltanto la fine del soggiorno americano e della residenza al Metropolitan. Nonostante la comprensione che la moglie Costanza aveva sempre dimostrato nei suoi confronti, la continua distanza da lei, i lunghi viaggi, la fama, le molte donne che aveva incontrato e ammaliato gli avevano fatto nascere dentro il desiderio di innamorarsi di nuovo, come all’epoca in cui era un esordiente inesperto e sconosciuto. Così, quando qualche mese dopo incrociò lo sguardo intenso di Lucia Vigarani, bellissima e irresistibile nella sua giovinezza, Beniamino cadde con passione tra le sue braccia. Da lei ebbe in seguito tre figli, portando avanti sino alla fine dei suoi giorni un doppio ruolo di padre e di compagno, ufficiale e ufficioso, ma sempre tenero e presente. 

Sebbene sia Roma che New York avrebbero voluto rivendicare il corpo del grande tenore dopo la morte, avvenuta nel 1957 all’età di 67 anni, le sue spoglie sono oggi conservate presso la città natale, Recanati, in un bellissimo monumento funebre interamente restaurato nel 2018 nel Civico Cimitero. Poco lontano è stato realizzato, nei piani superiori dello splendido Teatro Persiani, il Museo Beniamino Gigli, dove sono conservati con cura abiti di scena, spartiti e altri oggetti appartenuti al tenore e alle sue due famiglie.

Entrare tra queste sale è un po’ come sbirciare nella quarantennale carriera di Gigli, accompagnarlo negli oltre 185 teatri in cui tenne opere liriche, o nei set dei venti film in cui recitò come attore e cantante. Nessun altro tenore produsse una simile mole di discografia e filmografia, in un’epoca in cui queste parole suonavano come qualcosa di assolutamente innovativo. 

È per questo che non va dimenticato neppure il ruolo fondamentale della Civica Scuola di Musica “Beniamino Gigli” a Recanati, dove circa 400 studenti apprendono quotidianamente a suonare strumenti e a modellare la voce; qui un immenso archivio bibliografico e fotografico custodisce la sua memoria di uomo, oltre che di artista: il cantore del popolo che mai seppe dire di no, mai volle negarsi, mai pose se stesso prima del pubblico. 

Proprio nell’ottica di far risplendere la stella di Gigli, il prossimo 30 novembre – giorno in cui ricorre l’anniversario della sua morte – presso il Teatro Persiani di Recanati si terrà un concerto sulle note di Rossini. L’evento sarà anche l’occasione per festeggiare i venticinque anni dalla fondazione della scuola. L’ingresso è gratuito su prenotazione.    

 

 

Liberamente ispirato alla figura e alla vita di Beniamino Gigli.

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