Ben Harper, il nuovo album è 'Wide open light': "Per vincere il razzismo dobbiamo uscire dai nostri schemi" - la Repubblica

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Ben Harper, il nuovo album è 'Wide open light': "Per vincere il razzismo dobbiamo uscire dai nostri schemi"

Ben Harper, il nuovo album è 'Wide open light': "Per vincere il razzismo dobbiamo uscire dai nostri schemi"
L'artista americano, che sarà in tour a luglio, racconta il suo nuovo disco: "Un messaggio di speranza, il trumpismo è l'ostacolo da oltrepassare"
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Dopo Bloodline Maintenance, l'album pubblicato lo scorso luglio 2022, il cantautore americano Ben Harper torna il 2 giugno con il suo nuovo Wide Open Light. All'interno del disco ci sarà anche il singolo Yard Sale, composto con la collaborazione artistica del suo amico hawaiano Jack Johnson. L'artista 53enne, che sarà in Italia in tour a luglio (l'11 a Milano, il 12 a Villafranca di Verona, il 13 a Perugia, il 15 a Tarvisio, il 16 a Sarzana) ci ha parlato del suo lavoro in un'intervista via Zoom. 'Ospiti virtuali' della sua casa in California, abbiamo affrontato con Ben Harper molti dei temi per lui più caldi: l'album, la carriera, la vita e le passioni.


Wide Open Light è il nome del suo nuovo album, che uscirà il prossimo 2 giugno. Come mai ha deciso di intitolare il suo lavoro in questo modo? Da cosa è stata dettata la scelta del nome? Sembra quasi voler trasmettere un segnale di speranza. È davvero questo il messaggio?
"È un album in cui ho tentato di incapsulare tutto ciò che provo: il mio stato d'animo, creativo e personale, i miei sentimenti, la mia condizione. Ho voluto ripercorrere le mie radici, riavvolgere il nastro della mia storia: ritornare nel passato per riscrivere il presente. Ad oggi mi sento davvero molto ispirato: è per questo che sto scrivendo di più e a ritmi più elevati. Comporre canzoni mi ha sempre emozionato, adesso ancora di più. Ho molte cose da dire: la musica è lo strumento giusto per farlo. Se ne possono trarre molte letture diverse. Un messaggio di speranza? Perché no."



Quali sono le peculiarità di questo album? In cosa si differenzia rispetto a quelli composti in precedenza?
"Sicuramente, la sua natura poliedrica. Voglio dire, è un album che segue piste differenti: dal rock, al reggae, al funk, al soul. Ha una struttura specifica ma sfaccettata. Ricalca lo stile tradizionale di alcuni miei testi passati, abbracciandone uno puramente nuovo. È un disco variegato: ben piantato su quanto fatto in passato e su quanto farò in futuro. La maggior parte dei brani li ho scritti nel corso del tempo, ma solo oggi mi sono sentito pronto per pubblicarli. Sin qui non c'era mai stata l'occasione giusta: non erano adatti, dal punto di vista sonoro, ai miei dischi passati. Oggi è diverso, è il momento. Dopo il mio ultimo Bloodline Maintenance, volevo tornare all'essenza del songwriting tradizionale e, grazie a questo nuovo album, credo di esserci riuscito".

"Una vera famiglia di canzoni, ove ogni traccia è parente stretta dell'altra". È così che ha scelto di definire il suo nuovo album. Come mai?
"Quest'album è il frutto di un grande impegno: il risultato di un lungo lavoro, che sto portando avanti da tutta una vita. Ho impiegato molto tempo per essere pronto a realizzare il disco: è un qualcosa di estremamente ricco e variegato. I brani che lo compongono raccolgono e raccontano di tante cose, tante parti diverse della mia vita. S'intrecciano, si legano, si abbracciano, si fondono. È una catena, il filo rosso della mia storia, il ricongiungimento e l'incontro tra memoria del passato e bellezza del presente". 
   
A tal proposito, quali sono le differenze con il Ben Harper del passato? Umanamente e artisticamente parlando.
"Sicuramente molte, ma non mi piace parlare di ciò che è stato, con la mia arte voglio puntare al futuro. Sono oltre il mio passato, non mi guardo alle spalle. Il cuore è nel presente, penso a ciò che verrà".



Oggi stiamo vivendo un contesto internazionale alquanto drammatico, a partire dalla guerra in Ucraina. Anche negli Stati Uniti lo scenario è complesso: il clima dell'America post-Trump è, politicamente parlando, molto agitato. Come sta vivendo questo momento? Sia dal punto vista artistico, che da quello personale.
"Si, è vero: c'è tanto rumore, tanti 'rulli di tamburi', tanta agitazione. Il trumpismo? Credo sia importante mantenere una prospettiva ampia, una visione generale. Sia che si tratti di questioni climatiche, politiche, culturali, è sempre meglio e più intelligente parlarne a livello globale e non focalizzarsi su singoli scenari. Tuttavia, riconosco che quando si affrontano certi temi, come quello del razzismo, della politica o del controllo delle armi, l'era post-trumpiana finisce sotto una lente d'ingrandimento: è il mirino su cui sparare, la bolla da scoppiare. Io sono cresciuto durante la guerra del Vietnam, sono un prodotto dell'era post-Vietnam. E non è stato un periodo facile per crescere, così come non sarà stato facile farlo dopo il nazismo, il fascismo o la bomba atomica. Perché è così: ogni epoca ha le sue sfide, ogni periodo ha i suoi problemi. La sfida di oggi si chiama 'trumpismo'. Trump è sicuramente un ostacolo per la nostra generazione, ma è un ostacolo che si può aggirare: dobbiamo solo riuscire ad attraversarlo".

Ha parlato di 'razzismo'. Qual è la sua percezione a riguardo? Perché crede che sia così diffuso nel suo Paese?
"Il razzismo è dappertutto, non solo in America. Il problema sta nei modi in cui lo si affronta, nei muri che s'innalzano, nelle barriere che si impongono. È la chiusura mentale, il nostro più grande nemico. Proprio come il nome del mio disco: Wide open light. Dobbiamo spalancare luce, superare i limiti, aprirci al diverso. Per quanto mi riguarda, quello che più mi ha aiutato è stato viaggiare per il mondo: girare posti, attraversare confini, visitare Paesi. Tutto ciò mi ha permesso di sviluppare un forte senso di empatia e, soprattutto, una grande capacità di interpretazione e decentralizzazione. Sono diventato capace di interpretare quello che mi veniva offerto dal mondo, i suoi messaggi: questo è quello che tutti dovrebbero imparare a fare. Accogliere il diverso, uscendo fuori dai propri schemi. Nella costante e quotidiana lotta contro il razzismo, la capacità di 'uscire da noi' e proiettarci nell'altro, nel suo modo di vivere, nei suoi sentimenti, è essenziale. Ed è forse questo che manca in America: manca questa sensibilità".

Quale delle sue più recenti collaborazioni vi ha reso maggiormente soddisfatto?  
"Non c'è dubbio: quella con Harry Styles. Non capita spesso che io mi emozioni, ma con lui è successo. È sempre stato molto disponibile e anche la sua band è fantastica. È un'unione che mi ha notevolmente arricchito, umanamente e artisticamente: un lavoro creativamente molto appagante. Se ci lavorerei di nuovo? Assolutamente sì: collaboro con Harry tutt'ora, ogni giorno e in ogni momento e così sarà finché riuscirò. Harry è stato per me una grande scoperta e lavorare con lui mi ha regalato gioia".

Nel corso della vostra carriera è stato in Italia numerose volte: ad esempio nel 2008, quando ha partecipato come ospite al Festival di Sanremo insieme a Jovanotti. Anche quest'anno, il  tour estivo passerà in Italia. Cosa rappresenta per lei il nostro Paese?
"È da quando avevo diciotto anni che vengo in Italia: zaino in spalla, chitarra alla mano e si parte. Venezia, Roma, Milano. È sempre stato uno dei miei posti preferiti, uno dei pochi in cui mi sento a casa. Con questo tour voglio portare in Italia un po' del nuovo Ben Harper: è per questo che, ogni sera, mi esibirò con almeno tre canzoni del mio ultimo disco. Mi piace lavorare in posti in cui sto bene e qui sto molto bene. E poi, il cibo, il sole e il mare. Non mi concedo spesso vacanze, ma le poche che faccio sono sempre in Sardegna. La pizza più buona del mondo? L'ho mangiata a Cannobio!".