L'evoluzione delle batterie per auto elettriche - Quattroruote.it
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Batterie
La loro evoluzione dal piombo agli elettrodi a secco

Batterie
La loro evoluzione dal piombo agli elettrodi a secco
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La batteria è il serbatoio d’energia dell’auto elettrica, di cui costituisce la parte più importante. Non a caso, la sua evoluzione è l’elemento che più di tutti ha contribuito alla “riscoperta” delle auto a emissioni zero, studiate fin dagli albori dell’automobile, ma che solo da qualche anno stanno vivendo un vero e proprio boom, grazie agli ioni di litio.

Il funzionamento. Prima di approfondirne la loro evoluzione, va detto che le batterie sono basate sul principio della pila elettrochimica: gli elettroni sono scambiati tra due elementi, detti anodo e catodo, mentre un terzo elemento, chiamato elettrolito, ha funzione di tramite ed è in genere allo stato liquido o gelificato.    

In principio era il piombo. Le prime batterie per auto elettriche erano costituite da un anodo di piombo e un catodo di perossido di piombo, con un elettrolita composto da una soluzione di acido solforico diluito in acqua. Economiche ma pesanti, le abbiamo viste montate su vetture a emissioni zero di tre decenni fa che, nonostante lo scarso successo, mantengono ben vivo il loro ricordo tra gli appassionati di motori.

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Elettrica tricolore. Per noi italiani, la più celebre rimane certamente la Panda Elettra del 1990. Equipaggiata con un motore a corrente continua da 9,2 kW (saliranno a 17,7 nel 1992) collocato anteriormente, adotta 12 batterie al piombo da 6V - due alloggiate davanti, insieme al propulsore, mentre le altre dieci trovano spazio in un contenitore collocato alla base del baule - in grado di garantire una percorrenza (dichiarata) di 100 km, non senza sacrifici: l’eliminazione del divanetto posteriore e un peso di 1.150 kg contro i 770 kg della Panda 750 CL. Troppi, per non influire negativamente sulle prestazioni.

Meglio del piombo. Più evolute rispetto alle batterie al piombo sono quelle al nichel, inizialmente diffusesi nella variante con il cadmio prima che quest’ultimo elemento venisse bandito perché tossico e poi evolute nella configurazione nichel-metallo idruro. L’anodo, in questo caso, è costituito da una lega metallica, mentre il catodo è in nichel. Il loro ciclo di vita è piuttosto lungo, ma soffrono dell’effetto memoria: in pratica, la loro capacità effettiva si riduce progressivamente a fronte di ricariche parziali. Queste batterie hanno trovato larga applicazione sulle ibride.

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La tecnologia attuale. Parte di quest’ultime e tutte le elettriche adottano oggi gli accumulatori agli ioni di litio, che utilizzano per l’anodo la grafite e per il catodo gli ioni di litio, cioè un metallo molto leggero. In questo caso l’elettrolita adottato è un sale di litio, sciolto in un solvente. Rispetto alle altre batterie, hanno un effetto memoria più ridotto, una bassa autoscarica e una maggiore densità di energia. Così, attualmente abbiamo batterie che, a parità di dimensioni, sono in grado di immagazzinare più elettricità che in passato: per fare qualche esempio, le Tesla Model S e Model X oggi a listino hanno accumulatori da 100 kWh, mentre quelli della BMW iX, in produzione dal secondo semestre del 2021, dovrebbero persino superare questa capacità; le batterie della Nuova 500 a emissioni zero, invece, sono disponibili anche nel taglio da 42 kWh, il più grande per le elettriche di segmento A.

L’ulteriore evoluzione. Come abbiamo già detto, l’elettrolito delle batterie convenzionali è allo stato liquido e gelificato, il che comporta l’applicazione di complessi e costosi sistemi di controllo per garantirne la sicurezza. L’utilizzo di un elettrolito solido, pertanto, potrebbe consentire di aumentare la capacità di un accumulatore a parità di ingombri, ma anche di ridurre le dimensioni a parità di kWh. Il tutto con sistemi di sicurezza meno complessi, più economici e con una ricarica più veloce.

Le future applicazioni. Si tratta dell’idea che è alla base della nuova batteria 4680 della Tesla, presentata all’ultimo Battery Day, e caratterizzata, appunto, da elettrodi a secco. Non è la sola: Skeleton Technologies promette ultracondensatori con elettroliti analoghi. Le Superbattery – questo il loro nome – potrebbero essere combinate con le batterie agli ioni di litio come buffer per gestire i picchi di erogazione, in accelerazione e in assorbimento, per ottenere una maggiore densità di energia, una lunga durata e un tempo di ricarica di 15 secondi. O almeno, così promette l’azienda.

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