Barbie - The Movie - Recensione

It's Ken-enough!

Barbie - La recensione - Barbie - The Movie

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Barbie è un film di puro intrattenimento, colorato e caotico, che diverte tanto e mette insieme elementi di commedia, musical, heist movie e racconto di formazione.
  • La sceneggiatura firmata Gerwig e Baumbach restituisce le contraddizioni di Barbie e di ciò che rappresenta, giocandoci con intelligenza, ironia e spirito critico, ma lo fa in modo leggero e secondo le regole del sistema che vorrebbe mettere in discussione.
  • È un film che trae la sua forza da un cast fenomenale, con una Margot Robbie perfettamente in parte e un Ryan Gosling davvero irresistibile, che spesso si prende tutta la scena.

Barbie può essere tutto: un’astronauta, una pilota di aereo, una chirurga, la presidente degli Stati Uniti d’America, un'operaia edile e persino una sirena. Il limite di Barbie, forse, è proprio il fatto che possa essere tutto e il contrario di tutto, contemporaneamente: uno stereotipo plasmato dallo sguardo maschile e una figura che rappresenta in maniera emblematica indipendenza ed emancipazione; il simbolo del consumismo più sfrenato, con i suoi accessori infiniti e le innumerevoli varianti, e qualcosa che già di per sé stimola l’immaginazione; un pezzo di plastica che ci fa pensare a tutto quello che non va nella nostra società, compresa la produzione petrolchimica, e un caro ricordo della nostra infanzia da conservare in una vecchia scatola che non apriamo da anni, ma la cui stessa esistenza è motivo di felicità. Sogno o merce? Il giocattolo più amato o il più odiato? Barbie è un paradosso e dunque il lungometraggio ispirato alla bambola ideata da Ruth Handler e commercializzata dalla Mattel a partire dal 1959, che da sessantaquattro anni rappresenta nel bene e nel male la cultura occidentale, non poteva non essere paradossale, contraddittorio e pervaso da una costante tensione tra la volontà di celebrare un’icona e il desiderio di demolirla e ricostruirla per farla somigliare un po' di più a una donna reale. Non un problema da poco, perché le icone, per loro stessa definizione, sono immagini statiche e immutabili, mentre il cambiamento è instabile, vorticoso e furioso.

Da questo punto di vista non si può dire che Barbie, film diretto da Greta Gerwig, co-scritto insieme a Noah Baumbach e interpretato da Margot Robbie, non fosse già di partenza complicato da gestire: un progetto ambizioso, o semplicemente folle. Di ottimi film ispirati a giocattoli ne esistono, certo: in particolare The LEGO Movie di Phil Lord e Christopher Miller ha dimostrato come si possa dare vita a una narrazione con elementi particolarmente originali ed efficaci anche all’interno di un immaginario di riferimento materialmente codificato. Barbie, per certi versi, utilizza quel tipo di approccio creativo, ma prova ad aggiungere un altro elemento, ancora più delicato da gestire, ovvero quello di critica sociale, che va a lavorare proprio in quegli spazi di contraddizione evidenziati in apertura. Lo fa in maniera intelligente e pertinente, ma allo stesso tempo necessariamente leggera, perché, pur venendo rappresentata come una forza antagonista, Mattel è in ogni caso tra le case produttrici del film. Dal canto suo, l’azienda si presta in maniera opportunistica a questo ruolo, consapevole comunque che l’intera produzione rappresenta un’enorme operazione di marketing che pagherà i suoi dividendi.

Di conseguenza, la sceneggiatura di Barbie, pur con diverse trovate pungenti, gioca secondo le regole del sistema capitalistico che vorrebbe mettere in discussione, finendo per bilanciare in maniera ecumenica e conciliatoria elementi di rottura e tradizione. La cosa che forse stranisce, ma che un po’ affascina, è che si dimostra tanto consapevole nel rimanere sempre su quel filo sottile da diventare quasi una storia metatestuale grazie all’ironia della sua scrittura: il film di Barbie, nel riflettere sul ruolo della bambola nell'immaginario collettivo, finisce per parlare del film di Barbie stesso. Vi sembra un’opera che gira su stessa per paura di prendere una strada troppo tortuosa e inimicarsi le major? Forse, ma andiamo, stiamo parlando di un film di Barbie costato 100 milioni di dollari e non del nuovo Capitale di Marx!

C'mon Barbie let's go party!

Ho spesso la sensazione che non si lasci alle storie la libertà di essere quello che sono, invece che quello che ci aspettiamo che siano. Nel caso di Barbie di Greta Gerwig, il fatto che sia opera di un’autrice, per giunta impegnata su tematiche femministe, fa scattare forse aspettative che trascendono la stessa natura del progetto. Che un film improntato su queste riflessioni debba necessariamente restituire la complessità del discorso sui femminismi, raccontare esperienze universali, rappresentare uno strumento di lotta a dinamiche sistematiche, essere ineccepibile, perfetto, straordinario, a qualcuno potrebbe sembrare condizione necessaria alla sua stessa esistenza. Il film di Gerwig anticipa quasi questo atteggiamento polarizzato in un monologo estremamente eloquente, pronunciato da Gloria, il personaggio umano interpretato da America Ferrera, che si concentra sulle aspettative impossibili e contraddittorie che la società impone alle donne.

Barbie non è un film perfetto o complesso: è una commedia spassosa con un tocco surrealista e slapstick; un musical scintillante con ottime canzoni e coreografie ancora più belle; per un po’ è persino un heist movie sopra le righe, per poi rivelarsi quello che è sempre stato, cioè una bizzarra storia di formazione. D’altronde, se ci pensate, sia Lady Bird sia al bellissimo adattamento di Piccole Donne, i due film precedenti di Gerwig erano coming-of-age. Diciamo quindi che, in barba a tutte le aspettative, Barbie non si allontana molto dai temi della regista. Il discorso femminista intorno a cui ruota la narrazione è tuttavia molto elementare e didascalico, ma viene comunque portato avanti con umorismo, passione e creatività. E, in modo anche sottile, si ironizza sui meccanismi del femminismo liberale americano a cui a volte il film sembra aderire, e sui rischi dell’autodeterminazione solo in base a quello che si fa, e non a quello che si è.

Margot Robbie è, letteralmente, Barbie, nella scena omaggio a 2001 Odissea nello spazio che apre il film col botto.

Margot Robbie, anche produttrice del film, interpreta la Barbie più Barbie che ci sia: lo stereotipo della bambola di Mattel, che vive ogni giorno perfetto nella sua casa dei sogni a Barbie Land. Ogni mattina viene svegliata dalla stessa, gioiosa canzone, fa la stessa colazione simulata, indossa gli abiti più alla moda ed esce con le amiche. Le altre bambole omonime ricoprono tutte le cariche pubbliche, fanno tutti i lavori e pensano, con il loro esempio, di aver ispirato milioni di bambine e sconfitto il sessismo sistematico. A Barbie Land, invece, i Ken sono solo Ken: trascorrono le loro giornate sulla spiaggia e vivono nell’attesa che lo sguardo di una Barbie si posi su di loro dando un senso alla loro esistenza. Uno di loro (Ryan Gosling) vorrebbe passare più tempo con Barbie stereotipo, ma purtroppo per lui ogni sera a Barbie Land è una serata di festa con coreografie preparate per l’occasione e ogni notte è una notte tra donne.

Ma un giorno, tutto cambia: Barbie viene colta all'improvviso da pensieri di morte. A questi dubbi esistenziali, si aggiunge il fatto che i suoi piedi hanno smesso di stare naturalmente sulle punte: ora sono piatti e, nell’ottica di chi vive a Barbie Land, orribili. La bambola allora cerca risposte da Barbie Stramba (Kate McKinnon), che ha vissuto un passato traumatico che l’ha costretta a stare sempre in spaccata. Su suo consiglio, Barbie intraprende un viaggio di consapevolezza nel mondo reale, fino a Los Angeles, per capire le ragioni del cambiamento. Un cammino che dovrebbe affrontare da sola ma che invece è costretta a intraprendere con Ken, il quale si è nascosto sul sedile posteriore della sua Cadillac rosa e non intende proprio lasciarla sola. Barbie scoprirà, naturalmente, che il sessismo non solo non è sconfitto ma è vivo e vegeto nel mondo reale, assieme al patriarcato.

Dietro la plastica perfezione di Barbie Land c'è spazio anche per il caos (e i sandali).

La storia è naturalmente un pretesto e si discosta, per esempio, da quella raccontata in The LEGO Movie, pur prendendo in prestito qualche elemento, perché tra Barbie Land e le persone del mondo reale c’è una strana connessione. La narrazione, nel suo completo nonsense, dimostra di avere una certa coerenza interna: si tratta un viaggio lineare da un punto a un altro e ritorno, in una sorta di percorso di emancipazione non solo per Barbie ma anche per Ken. Il suo sguardo maschile peculiare, perché in qualche modo vergine al patriarcato, sarà fondamentale per mostrare da un punto di vista inusuale il mondo reale e ridicolizzarne alcuni aspetti, ma anche per riflettere sui ruoli di genere che ci trasciniamo dietro come zavorre. E se Margot Robbie ci regala la Barbie intensa e appassionata che ci aspettavamo da lei, Ryan Gosling è un Ken goffo, malinconico e amareggiato davvero sorprendente: dimostra, come aveva fatto nell’ottimo The Nice Guys di Shane Black del 2016, di avere uno straordinario talento comico, oltre a una presenza scenica notevolissima. In questo caso, ancora più che in altri, è un peccato aver visto il film adattato in italiano, con un doppiaggio non sempre convincente, perché le interpretazioni eccentriche e travolgenti di Robbie e Gosling sarebbero state certamente valorizzate maggiormente dalla visione in lingua originale.

Imagination, life is your creation

In ogni caso, nell’adattamento italiano i brani musicali hanno mantenuto la loro forma originaria e sono accompagnati da coreografie che non potrei definire in modo diverso da pazzesche, sia per messa in scena, sia per movimenti di macchina. Rappresentano davvero alcuni dei momenti migliori del film e, tra questi, spicca il ballo dei Ken che vede protagonisti Gosling e il suo rivale interpretato da Simu Liu, che per un attimo mi ha fatto pensare - ed è il migliore dei complimenti - alle sequenze più riuscite di Crazy Ex-Girlfriend, la serie di Rachel Bloom.

In un tripudio di palette cromatica pastello, Ryan Gosling esplode in un boato di Ken-ergy.

Per il resto, la scenografa Sarah Greenwood e la costumista ​​Jacqueline Durran hanno puntato al massimo sui dettagli iper-colorati ed eccessivi per fare di Barbie Land, con i suoi alberi di plastica, le case da sogno con i piani a vista e gli armati trasparenti, i veicoli senza motore, un piccolo concentrato di stile e pura meraviglia, dando molto spazio anche a riferimenti più o meno evidenti alla storia del marchio attraverso accessori e abiti. Barbie è un film molto rosa, ma anche giallo, verde, azzurro, lilla e tutti quei colori pastello e fluo che sono spesso banditi dalle palette del cinema serioso delle persone noiose. Si scherza, sia chiaro, ma è vero che si potrebbe ragionare sui motivi dietro alle scelte cromatiche non solo nel caso di Barbie, film in cui molte soluzioni appaiono obbligate, ma anche di tante altre opere che in questi anni hanno utilizzato un’estetica femminile in maniera stereotipata, per ribaltarne i cliché e riappropriarsene in ottica identitaria e femminista. Penso, per esempio, a Una donna promettente (Voto: 8 - Recensione), anche se il film di Emerald Fennell era di tutt’altro genere.

In ogni caso, a livello visivo, Barbie funziona alla grande, forse più di quanto non faccia a livello narrativo. È uno spettacolo, nel senso di vero e proprio varietà, di quello con i lustrini e le canzoni. La cura nella messa in scena può portare alla mente un altro film estremamente estetizzante uscito lo scorso anno, che in qualche modo condivideva i temi di Barbie: mi riferisco a Don’t Worry Darling (Voto: 5 - Recensione) di Olivia Wilde, che però, troppo concentrato sulla sua resa esteriore, falliva nel portare avanti in maniera convincente la sua riflessione sullo squilibrio di potere tra generi. Don’t Worry Darling era ambizioso ma superficiale e, come scrivevo all’epoca, raccontava una storia molto ordinaria che si credeva straordinaria. Era un film che criticava l’ordine della perfetta quotidianità medio-borghese, in favore del glorioso caos della ribellione allo status quo, ma solo sulla carta. Nella pratica, il tutto si traduceva in una sorta di cartolina statica e plastificata senza sostanza. Barbie è il contrario. Attraverso la sua messa in scena cerca deliberatamente di ricreare quella cartolina plastificata. D’altronde, “Life in plastic, it's fantastic”.

Barbie Land in tutta la sua rosea meraviglia.

Ma dietro tutta quella plastica, tutta quella perfezione, ribolle il caos, cosa che si traduce anche nella narrazione che si fa via via più scompigliata e sregolata fino al finale. E sinceramente, nonostante il messaggio - se mai dovesse servire individuare il messaggio nei film - suoni come un banale “va bene così come sei”, la verità è che il film di Gerwig prova a fare un passetto in più rispetto alla semplicità di questo slogan da girl power di fine anni ‘90 tipico del femminismo performativo: ci dice che va bene anche se non ci piace come siamo e vogliamo cambiare, c’è sempre tempo, basta farlo in modo coerente con i nostri desideri e identità. “Essere”, badate, non “fare”, perché gli esseri umani non sono quello fanno come molte delle Barbie in vendita, non sono la loro occupazione. È poco, forse, soprattutto per chi di noi ha già un’età e una certa maturità su questioni che riguardano il genere e l’identità, ma per il pubblico più giovane - e intendo molto giovane - che ha appena smesso di giocare con quelle stesse Barbie, forse può fare la differenza. Per il resto, il mio consiglio è di non pensare troppo al sottotesto, almeno quando siete in sala: divertitevi, agitatevi sulla poltrona durante in numeri musicali, ridete e mi raccomando, godetevi la Ken-ergy di Ryan Gosling.

Verdetto

Barbie è un film incredibilmente divertente, che funziona perfettamente come puro intrattenimento davvero per tutte le età. Forse un po’ caotico a livello narrativo, ma perfettamente coerente con la storia che sta raccontando. Colpisce sicuramente per messa in scena e, soprattutto, trae la propria forza da un cast fenomenale, con una Margot Robbie perfettamente in parte e un Ryan Gosling davvero irresistibile, che spesso si prende tutta la scena. È un’opera che però ha i suoi limiti nella sua stessa natura di film su Barbie. Con la loro sceneggiatura, Greta Gerwig e Noah Baumbach puntano a riflettere sui ruoli di genere, ma, per forza di cose, gioca all’interno delle regole del sistema che vorrebbe mettere in discussione. Barbie, però, è un film semplice, non semplicistico: crea un contesto narrativo coerente in cui inserisce tutte le antitesi che caratterizzano Barbie come icona centrale nell’immaginario collettivo e simbolo dell’American Way of Life, comprese le contraddizioni interne al film, sottolineate con grande ironia, ma si ferma lì, senza mai riuscire davvero a uscire dalla scatola. E forse basta anche così, a fare di Barbie qualcos’altro ci penseranno forse i meme.

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Barbie - La recensione

7.5
Discreto
Un film diverte e intelligente che vive di contraddizioni, non riuscendo del tutto a uscire dalla scatola.
Barbie - The Movie
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