NINCHI, Ave in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

NINCHI, Ave

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

NINCHI, Ave

Mariapia Comand

(Ave Maria). – Nacque ad Ancona il 14 dicembre 1915, da Umberto e da Fernanda Brugiapaglia, agiata famiglia di conciatori.

Il padre, per rilevare la compagnia marittima del suocero, trasferì la famiglia a Trieste e lì Ave frequentò il liceo classico Alighieri. Debuttò in teatro a cinque anni nella rappresentazione al teatro Verdi del Glauco di Ercole Luigi Morselli interpretato da Annibale Ninchi, cugino del padre. A seguito della Grande crisi e del crollo della Borsa, nel 1929, i Ninchi persero ogni bene e furono costretti a rientrare nelle Marche, stabilendosi a Pesaro, dove Ave, appena quindicenne, si impiegò presso l’Istituto nazionale delle assicurazioni (INA). Nel 1935 vinse una borsa di studio per l’Accademia d’arte drammatica di Roma e al termine degli studi ottenne un contratto con la Compagnia teatrale Betrone - Capodaglio - Carini. Esordì a teatro con il dramma storico Villafranca di Giovacchino Forzano, nella parte della giovane cameriera, inaugurando così quella lunga galleria di personaggi minori, popolari e schietti, che avrebbero costellato la sua carriera. Nel 1939, durante una tournée nell’America del Sud incontrò l’amministratore della compagnia Antonio Gianello, al quale – sebbene già sposato – si unì sentimentalmente per i successivi quarant’anni e dal legame col quale, il 19 aprile 1940, nacque a Roma l'unica figlia Marina (Ninchi, 2004, p. 41, 45).

Mostrando subito grande versatilità, nel repertorio dell’epoca comprese titoli brillanti (Cantachiaro n. 2, 1945; Soffia so’, 1945; Sono le dieci e tutto va bene, 1946), testi classici (Medea, 1949) e drammatici (Questa sera si recita a soggetto di Pirandello,1948; La contessina Giulia di Strindberg, 1957). Nel 1952 il ruolo da protagonista nel dramma I Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos le permise di esprimere le sue qualità drammatiche. Negli anni Cinquanta e Sessanta fu applaudita in diverse riviste (Un trapezio per Lisistrata, 1958; Un mandarino per Teo, 1960; Il tiranno, 1961; La minidonna, 1966), mettendo in luce doti canore e una certa leggiadria nella danza, che le guadagnarono nel 1959 la Maschera d’argento per la rivista.

La prima incursione nel cinema fu legata al teatro di rivista: il suo nome infatti appare nei credits del film di Mario Mattoli Circo equestre Za-Bum (1944), composto da sketch tratti dall’omonima rivista. Il primo vero ruolo cinematografico le fu affidato da Guido Brignone nel 1945, in Canto, ma sottovoce.... Da allora e per tutti gli anni Cinquanta l’attività cinematografica fu intensa e diversificata: dalla losca tenutaria di pensione in Il delitto di Giovanni Episcopo di Alberto Lattuada (1947), ai panni della donna esuberante, dai modi spicci e vitali. Divenne in breve una delle più apprezzate caratteriste del cinema italiano: il piglio e la naturalezza della recitazione, la spiccata comunicativa gestuale e mimica, la sicurezza della loquela imposero all’attenzione i suoi personaggi. Furono soprattutto Luigi Zampa e Luciano Emmer a contribuire al suo successo. Grazie al primo, infatti, nel 1947 ebbe il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista per la parte di Corinna in Vivere in pace; vestì i panni della battagliera Carmela a fianco di Anna Magnani in L’onorevole Angelina (1947) e quelli della moglie del protagonista in Anni difficili (1948), scolpendo il personaggio della massaia bellicosa, Kaiser domestico con il grembiule come divisa, capelli raccolti di giorno e distesi in lunghe trecce sulla camicia da notte un po' consunta, mani sui fianchi a redarguire l’imbelle coniuge con un icastico gesto.

Nei film con Emmer (Domenica d’agosto, 1950; Parigi è sempre Parigi, 1951; Le ragazze di Piazza di Spagna, 1952) il personaggio si consolida ulteriormente, assumendo nel contempo i contorni nostalgici di indomita testimone dei tempi passati. L'interpretazione della madre, in Domenica d’agosto, segna un passaggio fondamentale: quando brandisce la padella fumante come un trofeo è l’immagine di una fame antica, il volto dei piaceri poveri; quando distribuisce ceffoni a destra e manca, al marito incapace o alla figlia irrequieta, incarna un’idea di donna che è insieme guardia e ancella di un ideale domestico vetusto da difendere con le unghie. L’attrice non solo dà vita a puntuali caratterizzazioni, ma utilizza anche i mezzi toni in funzione drammatica e psicologica: emblematica la madre, per nulla macchiettistica e ricca di umanità, de Le ragazze di Piazza di Spagna.

Risale ai primi anni Cinquanta il fortunato sodalizio artistico con Aldo Fabrizi. I due sono in perfetto accordo comico specie quando interpretano moglie e marito in perenne disaccordo: Guardie e ladri (Steno e Monicelli, 1951), Emigrantes (Aldo Fabrizi, 1949), Parigi è sempre Parigi (1951), La famiglia Passaguai (1951) e La famiglia Passaguai fa fortuna (1952). I duetti – punteggiati dagli sbuffi di Fabrizi e dai rimbecchi di Ninchi – conquistano il pubblico. Altro partner abituale dell’epoca fu Totò, con il quale girò I pompieri di Viggiù (Mattoli, 1949), Guardie e ladri (1951, anche Fabrizi), Totò cerca moglie (Bragaglia, 1950), Totò e le donne (Monicelli, 1952), Totò cerca pace (Mattoli, 1954).

In quest’ultimo film, nella parte di una vedova fiorentina, colorì la parlata di un lieve accento toscano, fornendo una delle tante prove della duttilità espressiva, suscettibile di piegarsi ai più disparati dialetti: partenopea quando divise la scena con Totò, 'romanaccia' accanto a Fabrizi, veneta se chiamata a dar voce all’opera di Goldoni (Il campiello, 1957; 1984), calata nel vernacolo siculo nell’interpretazione di  Pirandello (come in Liolà del 1968). Tanto plasmabile fu la sua voce che Federico Fellini la volle come doppiatrice di Pupella Maggio in Amarcord (1973), per rendere più credibile grazie allo stretto romagnolo il personaggio di Miranda.

Negli anni Sessanta proseguì l’impegno nel cinema (fu la cuoca dei 'musicarelli' di Gianni Morandi), anche in ambito internazionale, lavorando tra gli altri per Fred Zinnemann, René Clement e Claude Chabrol. Non trascurò il teatro (Romeo e Giulietta, 1960 e 1965; Le nuvole di Aristofane, 1964), ma fu il piccolo schermo a offrirle le occasioni più importanti e a regalarle notorietà.

Prese parte ai grandi sceneggiati Rai: Demetrio Pianelli (Bolchi, 1963), Il mulino del Po (Bolchi, 1963), Le anime morte (Fenoglio, 1963), Questa sera parla Mark Twain (D'Anza, 1965), Le sorelle Materassi (Ferrero, 1973). Interpretò l’aristocratica contessa di Tourney, nello spettacolo musicale di Antonello Falqui, La primula rossa (1964). Falqui la volle anche nel varietà del sabato sera Speciale per noi (1971), accanto a Fabrizi, Bice Valori e Paolo Panelli: in un quartetto che ironizzava sulla mezza età e sulle nascenti manie giovanili, Ninchi fu la vedette autoironica che giocava sugli anni e la mole, volteggiando sulle coreografie di Don Lurio, cantando, presentando e dando vita a gustosi siparietti comici.

Fu amatissima dalla televisione, per il sorriso aperto, la risata prorompente, l’inconfondibile crocchia a guarnirle la nuca, la taglia extralarge esibita con spavalderia. Nel suo personalissimo stile di conduzione, ripropose temi e figure sperimentati in decenni di spettacolo popolare. Affabile senza rinunciare a battibeccare con il gastronomo Luigi Veronelli nella trasmissione culinaria A tavola alle 7 (1975), fu consacrata da questa 'nonna d’Italia' e regina dei fornelli e come tale divenne notissima testimonial dei polli Aia e autrice di libri di ricette. La sua immagine, materna e rassicurante, fece sì che Paolo Villaggio nel suo quiz surreale della domenica televisiva, l’assumesse come paradigma dell’antisensualità minacciando di dare in premio ai concorrenti «un poster gigante di Ave Ninchi, nuda, a cavallo». Volto noto della Tv dei ragazzi e della fiction televisiva (La vedova e il piedipiatti, Landi, 1979), condusse nel 1988 il programma per bambini Il sabato dello Zecchino. L’anno dopo la Rai le dedicò il programma biografico in quattro puntate Confidenzialmente Ave.

Nel 1981, dopo la morte di Gianello – con cui nel frattempo doveva aver regolarizzato la sua convivenza, se la figlia Marina nella didascalia sottostante la foto dei due scrive «Ave e il marito» (Ninchi, 2004, p. 112) – decise di fare ritorno nella sua città natale.

Morì a Trieste il 10 novembre 1997.

Nella galassia dello spettacolo italiano è stata – oltre che un esempio  di spontaneità mai disgiunta da una professionalità scrupolosa – un punto fermo per generazioni di spettatori, icona nazionalpopolare del buon senso antico e incarnazione di una solidità, d’immagine, di ruoli e valori, tanto più sorprendente in un secolo mutevole come il Novecento. L’immutabile chignon, segno di un muliebre d’antan, ha incorniciato una moltitudine di personaggi, in teatro, al cinema, in televisione, briosi e bonari.

Fonti e Bibl.: M. Ninchi, Ave Ninchi. Una juventina fra teatro e fornelli, Bergamo 2004. Si veda inoltre: R. Chiti et al., Dizionario del cinema italiano. Le attrici, Roma 1999, pp. 252 s.; A. Pergolari, Dizionario dei protagonisti del cinema comico e della commedia italiana, Roma 2003, p. 252; Enciclopedia del cinema, IV, Milano 2004, pp. 258 s.; M. Girali - E. Lancia - F. Melelli, 100 caratteristi del cinema italiano, Roma 2006, pp. 151-154; G. Monti, Dizionario dei comici e del cabaret, Milano 2008, pp. 347 s.

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