Il genio del podio visto attraverso l'articolo "Arturo Toscanini" di Flavia Piccinni, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Perfezionista. La sera del 25 aprile 1926, quando interruppe l'esecuzione di Turandot nel punto esatto in cui Puccini l'aveva lasciata incompiuta, Toscanini era consapevole che il suo comportamento sarebbe entrato nella Storia. Quel gesto era la testimonianza più lampante del modo di lavorare del compositore parmigiano: un perfezionista unico, geniale, ma allo stesso tempo ardente e impetuoso.
Caratterino. «Toscanini aveva un carattere difficile, ma anche una memoria visiva prodigiosa e non si stancava mai di migliorare e di lavorare», raccontava Gustavo Marchesi (1933-2021), storico della musica che al direttore d'orchestra dedicò la biografia Toscanini (Bompiani).
Memoria prodigiosa. Una memoria che ne decretò la fortuna quando, appena diciannovenne, a Rio de Janeiro dove si trovava come violoncellista fu costretto a sostituire il direttore d'orchestra nell'Aida. «Diresse a memoria 12 opere e da quel momento iniziò la sua carriera che lo portò a una fama mondiale. Nel 1886 fu al Teatro Carignano di Torino con l'Edmea di Catalani. Poi Milano, Roma, Bologna, Genova e di nuovo Torino, dove nel 1896 al Teatro Regio guidò la prima assoluta della Bohème di Puccini», continua Marchesi. Dal 1899 al 1911 si fermò a Milano, ma nel 1908 venne accolto trionfalmente al Metropolitan di New York.
Ricatto d'amore. Toscanini amava la musica, ma non di meno le donne. Sposato e con quattro figli, non disdegnava le relazioni extraconiugali, come quella con il soprano Geraldine Farrar che gli diede un ultimatum: o lei, o la moglie. La leggenda vuole che lui non ebbe dubbi: scelse la moglie e si dimise all'istante dal suo ruolo di direttore d'orchestra del Met.
In patria. Rientrò in Italia, dove si dedicò a numerosi concerti per i soldati nelle zone di guerra. «Le sue vere passioni erano Verdi e la Scala, dove ritornò nel 1921 e restò per otto stagioni consecutive. Non si stancò mai di viaggiare per portare la sua musica negli Usa e in Europa» aggiungeva Marchesi.
L'eredità. Dagli anni Trenta fino alla morte realizzò poi molte incisioni discografiche e filmati, tracciando inconsapevolmente la sua eredità di mito. «Nel corso degli anni, il maestro si perfezionò: da un primo momento in cui dirigeva opera lirica si concentrò sul più grande repertorio sinfonico, soprattutto dell'800», concludeva Marchesi.
Ultimo atto. Suonò fino alla fine: dopo più di 67 anni a dirigere orchestre, si ritirò a 87 anni compiuti. Il suo ultimo concerto italiano fu alla Scala (che era stata ricostruita anche grazie ai suoi finanziamenti dopo la guerra) il 19 settembre 1952. E l'ultima volta che salì su un palcoscenico fu a New York. Era il 4 aprile 1954 e quella sera Toscanini e la Symphony Orchestra suonarono solo Wagner.