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Montagne affollate, animali notturni

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Foto: Pexels.com

La notte pullula di vita. Non quella dei locali e delle strade, ma quella della natura e dei boschi. Lo dice uno studio condotto dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento insieme all’Università di Firenze e pubblicato sulla prestigiosa rivista di sostenibilità ambientale «Ambio». Realizzato in convenzione con il Servizio Faunistico della Provincia autonoma di Trento, la ricerca rivela gli effetti di lungo periodo sulla fauna selvatica della frequentazione escursionistica negli ambienti montani.

Già, perché negli ultimi decenni il territorio alpino è molto cambiato e non solo perché ce lo dicono i dati e i ricercatori, ma perché lo vediamo con i nostri occhi: l’abbandono delle pratiche di agricoltura e pastorizia ha consentito in molte aree una rigenerazione naturale delle foreste e molte specie di mammiferi hanno ri-trovato nel bosco il loro habitat naturale. Contemporaneamente però anche noi umani – e te pareva! – abbiamo giocato un ruolo determinante: la frequentazione turistica di queste aree è aumentata, come in gran parte dei Paesi ad alto reddito del mondo, creando un potenziale disturbo per gli animali selvatici. E questo sì è un dato molto evidente e sotto gli occhi di chiunque frequenti la montagna con un po’ di consapevolezza.

Soprattutto dopo la pandemia, che ci ha costretti a ripensare – non sempre cum grano salis – il nostro rapporto con la Terra, le aree naturali sono diventate destinazioni popolari per molte attività ricreative all’aria aperta. E se da un lato questo riavvicinamento sta svolgendo un ruolo cruciale nel ricollegare le persone al mondo naturale in una società sempre più urbanizzata, dall’altro la scarsa cultura ambientale preoccupa chi ha a cuore l’equilibrio degli ecosistemi forestali e montani. Perché se la domanda di turismo naturalistico continua ad aumentare a livello globale, cresce in effetti e inevitabilmente anche la preoccupazione per i possibili effetti collaterali sulla biodiversità e in particolare sulla fauna selvatica.

Come reagiscono gli animali selvatici a questa crescente presenza di esseri umani nei loro habitat? Ci sono effetti negativi nel lungo periodo? Sono alcune delle domande che stanno alla base della ricerca «Crowded mountains: Long-term effects of human outdoor recreation on a community of wild mammals monitored with systematic camera trapping», che fa luce proprio su questo tema e dimostra come un’attività di monitoraggio scientifico standardizzato sia fondamentale per misurare la sostenibilità ambientale delle attività umane e per raggiungere gli obiettivi di lotta alla crisi della biodiversità posti a livello globale.

Lo studio ha utilizzato ogni estate e in modo sistematico 60 fototrappole a partire dal 2015 in un’area delle Dolomiti del Trentino occidentale altamente frequentata da escursionisti, al fine di rilevare i passaggi di animali e persone e monitorare la fauna per studiarne le possibili risposte. Ciò che è emerso lo riassume Marco Salvatori, dottorando dell’Università di Firenze in collaborazione con il MUSE e primo autore dello studio: “I risultati delle analisi ci mostrano che delle oltre 500 mila foto raccolte in 7 anni di ricerca (dal 2015 al 2022) il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte alle fototrappole è stato 7 volte superiore a quello della specie selvatica più comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che è risultata più raramente fotografata. Il passaggio delle persone inoltre non differisce fra le fototrappole presenti all’interno del Parco Naturale Adamello-Brenta e quelle poste al di fuori, dimostrando, come prevedibile, una potenziale pressione anche all’interno dell’area protetta”.

Una frequentazione umana molto intensa, che non ha però compromesso le tendenze a mantenere stabile la loro presenza delle 8 specie considerate: orso, cervo, camoscio, capriolo, tasso, volpe, lepre e faina, che in alcuni casi hanno dimostrato anche un trend di crescita, segnale indubbiamente rassicurante per la loro conservazione. Tutte hanno però rivelato una chiara risposta comportamentale al disturbo provocato dal passaggio delle persone: nelle zone più frequentate sono diventate più notturne per diminuire la probabilità di contatto con le persone e hanno concentrato le loro attività di notte anche in prossimità dei centri abitati. Le specie di maggiori dimensioni inoltre (orso, cervo e camoscio) hanno esibito una inequivocabile tendenza a evitare la frequentazione di zone in cui il passaggio umano sia più intenso, segnale indubbiamente incoraggiante per la convivenza uomo-fauna selvatica.

I risultati di questo studio dimostrano un’essenziale punto da tenere a mente per quanto riguarda gli animali selvatici: essi mettono in atto tutte le strategie a loro disposizione per minimizzare le probabilità di incontro con l’uomo. Se questo da un lato rassicura i più scettici e inquieti rispetto alla presenza della fauna selvatica vicino o in aree anche antropizzate, dall’altro ci conferma ancora una volta che la nostra presenza dovrebbe tendere a essere il più leggera possibile sul Pianeta, proprio in virtù del rispetto dovuto ad altre specie che con noi lo condividono. Perché se gli animali ci evitano, per il bene nostro e loro, questi comportamenti non sono a costo zero: richiedono maggiori difficoltà di movimento, una regolazione non ottimale della temperatura corporea, l’utilizzo di aree meno produttive in termini di risorse alimentari. Sono dunque sì, come ribadisce Francesco Rovero, docente di ecologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio, risposte comportamentali comuni a molti mammiferi esposti alla presenza di grandi numeri di persone, ma se, “da parte degli animali, l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani è notevole, ora sta anche a noi umani fare attenzione adottando – ad esempio – alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna, una strategia già ampliamente applicata in molte parti del mondo”.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il portale www.ecoselvatica.it, progetto indipendente di divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice Master CSEN di Forest Bathing. A dicembre 2020 è uscito il suo primo libro, Ventodentro. Come redattrice di testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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