Anche io: il film-inchiesta sul caso Weinstein è una lezione di giornalismo e di empatia

Dal 19 gennaio nelle sale, diretto dalla regista della miniserie Unorthodox: ecco perché è un film rivoluzionario
Caso Weinstein il film inchiesta Anche io è una lezione di giornalismo e di empatia

Perché le molestie sessuali sono così diffuse e difficili da trattare? Risponde  Anche io di Maria Schrader, che nel raccontare il caso Weinstein mostra tutta la connivenza di un intero sistema per la prima volta messo in questione, interrogato, scandagliato. Un sistema che, sottolinea il film, protegge chi abusa ed emargina invece le vittime, cioè le donne. Dietro la macchina da presa c’è una regista dedita al racconto delle minoranze e delle donne capaci di ribellarsi a un sistema che le opprime: così, dopo il successo mondiale della sua miniserie Unorthodox (assolutamente da recuperare su Netflix), firma adesso un’opera di denuncia potente che ha definito una sorta di Tutte le donne del Presidente

È un film sull’inchiesta che ha portato alla luce il caso Weinstein, incentrato sulla determinata ricerca della verità (cioè di prove) delle due reporter del New York Times Megan Twohey e Jodi Kantor. Non due eroine senza macchia e senza paura, ma due donne normalissime, alle prese con le molteplici problematiche della loro vita privata, tra compagni, figli e quotidianità complesse. In comune hanno la passione per il loro lavoro e l'urgenza di sovvertire l’ordine prestabilito del silenzio e dell’omertà del potere dominante per dare voce agli invisibili, cioè alle donne vittime di abusi e violenze sessuali.

Diciamolo chiaramente, Anche io è un film rivoluzionario. Perché affronta il caso più eclatante della storia contemporanea a pieno viso, e senza mai mettere in scena esplicitamente gli atti di abuso per non aggiungere violenza alla violenza. Perché sceglie come protagoniste due donne, due giornaliste di inchiesta disposte a tutto, persino ad andare contro il Presidente degli Stati Uniti d’America (Trump, nello specifico) pur di fare bene il loro lavoro. Cioè informare, fare luce su una nebulosa di fatti oscuri, restituire voce e dignità a chi ha subito atrocità sul posto di lavoro. Perché, ancora, è un film sul senso profondo di sorellanza e cooperazione tra donne, sulla pacca sulla spalla condivisa come sul consiglio per affrontare la depressione post partum. 

A renderlo credibile, oltre a una scrittura mai debordante né retorica e a una regia misurata e appassionata, due interpreti per cui abbiamo esaurito i superlativi. Carey Mulligan e Zoe Kazan, che con le loro vulnerabilità, le crisi di pianto, i dubbi e quella maledetta ostinazione ad andare fino in fondo per ottenere prove e testimonianze, vi rimarranno in testa a lungo, anche dopo i titoli di coda. Come vi resterà impresso questo gionalismo fatto di precisione e accuratezza, ma anche di pietas umana, la stessa con cui hanno approcciato alle varie testimoni facendo loro capire che, se non è mai possibile cambiare ciò che è accaduto, è sempre possibile fare in modo che non accada più ad altre donne.

Prodotto dalla Plan B di Brad Pitt, il film vanta la presenza, nei panni di se stesse, di attrici come Ashley Judd, che ha voluto rendere testimonianza in prima persona, e Gwyneth Paltrow, intervenuta solo in voce. Ognuna di loro ha deciso liberamente quale contributo apportare alla realizzazione di un film che non mira mai al colpo ad effetto, non cerca scorciatoie narrative, non vuole essere scandalistico: punta a mostrare con empatia a chi guarda fin dove possono arrivare due donne qualsiasi decise a ribellarsi a un sistema perverso e a fare luce sulla verità dei fatti.