La storia di Amy Winehouse nel film biografico “Back to black” - la Repubblica

Il Venerdì

Marisa Abela: “Così mi sono trasformata in Amy Winehouse”

Marisa Abela (27 anni) in Back to Black: il film sarà nelle sale dal 18 aprile. Courtesy of Dean Rogers/Focus Features
Marisa Abela (27 anni) in Back to Black: il film sarà nelle sale dal 18 aprile. Courtesy of Dean Rogers/Focus Features 

Avrebbe potuto limitarsi a imitare la star morta a 27 anni. Ma l’attrice non ama le scorciatoie. e nel biopic in uscita quando canta la voce è sua. Intervista

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Ai provini per la parte da protagonista, nell’atteso biopic su Amy Winehouse, Back to Black, molte aspiranti al ruolo hanno commesso un errore fatale: si sono presentate davanti alla regista Sam Taylor-Johnson come delle sosia da concorsaccio di paese della cantante di Rehab, con tanto di cofana e eye-liner stile Cleopatra. Marisa Abela, no: lei a quell’audizione che le ha cambiato la vita ci è andata vestita come tutti i giorni, con i capelli sciolti e niente trucco. Eppure, come ha raccontato in seguito Taylor-Johnson, «nel momento in cui ha guardato in macchina, abbiamo tutti smesso di respirare: lei era Amy».

Anche oggi, in collegamento via Zoom dalla cucina color pastello della sua casa di Londra, l’attrice inglese, già vista in Barbie e nell’acclamata serie tv Industry, ha un’aria acqua e sapone: maglione a collo alto beige e chignon disordinato. Sorride molto mentre spiega che quella decisione, all’apparenza rischiosa, è stata frutto di un ragionamento preciso: «Non volevo ricorrere a facili trucchetti per somigliarle. Ma prima di presentarmi all’audizione ho studiato moltissimo, letto interviste e guardato video, cercando di capire chi fosse davvero. Desideravo catturare la sua essenza e trasmetterla».

A giudicare dalle immagini di Back to Black, che arriverà in sala il 18 aprile, ci è riuscita. Più che interpretare Amy Winehouse, Abela, che adesso ha 27 anni, la stessa età della cantante quando morì, ne sembra posseduta medianicamente. Tanto che nel genere biografia musicale la sua performance può competere con le migliori sulla piazza: Val Kilmer/Jim Morrison in The Doors o Gary Oldman/Sid Vicious in Sid e Nancy.

Come il vecchio film di Alex Cox, anche Back to Black racconta una storia d’amore “tossica”, da tutti i punti di vista: quella tra Winehouse e Blake Fielder-Civil (Jack O’Connell), giovane e scapestrato eroinomane che diventò suo marito nel 2007, dopo una relazione di alti e bassi che ispirò il capolavoro della cantante, Back to Black. La sceneggiatura, scritta da Taylor-Johnson con Matt Greenhalgh, lo stesso team dello struggente Nowhere Boy (2009) su John Lennon, è costruita proprio intorno alle canzoni dell’album, mentre la musica strumentale che accompagna il film è opera di Nick Cave e Warren Ellis. «Back to Black è il punto di partenza e di arrivo del film» conferma Abela «e d’altronde questo era l’unico modo per raccontare quello che è successo, finalmente dal punto di vista di Amy: è tutto lì, nelle sue parole e nella sua musica».

Terapia in note

In effetti, Winehouse diceva spesso che comporre canzoni per lei era come scrivere un diario, una forma di psicoterapia, e Back to Black in particolare catturava il suo momento più buio, nero appunto, quando Fielder-Civil la mollò per un’altra donna, lasciandola a combattere con i propri demoni. Che all’epoca includevano “solo” alcolismo, disturbi alimentari e una depressione iniziata in adolescenza e mai curata.

Crack ed eroina sarebbero arrivati dopo, con il ritorno di Blake e il successo globale, i milioni di dischi venduti e i tabloid che non le davano tregua, documentandone gli eccessi e imbastendo giorno dopo giorno la lugubre cronaca di una morte annunciata e puntualmente avvenuta, nel 2011, per intossicazione da alcol.

Ma prima di tutta quella squallida tragedia, tanto più assurda perché accaduta quando la cantante si stava finalmente disintossicando, c’era la Amy che in molti hanno dimenticato e che ora rivive nel film: l’esuberante teenager ebrea del quartiere londinese di Southgate che aveva imparato ad amare il jazz dalla nonna ex cantante, Cynthia, e dal papà tassista Mitch (interpretato dal bravissimo Eddie Marsan di La felicità porta fortuna - Happy Go Lucky di Mike Leigh) . Un talento così smisurato da nascere una sola volta per generazione, come disse Tony Bennett che duettò con lei nell’ultima registrazione prima della morte.

Per renderle giustizia, musica compresa, Abela si è sottoposta a un addestramento durissimo: lezioni di chitarra, dieta e personal trainer che l’hanno aiutata a trasformarsi dalla Amy florida e sana degli inizi a quella fragile e consumata degli ultimi tempi. «Ma la cosa più difficile ovviamente è stata il canto. Perché è il suo tratto distintivo, ciò che la rende subito riconoscibile, e così tanto imitata» racconta l’attrice. «Personalmente, ritengo che a renderla una grande artista fosse la sua abilità nello scrivere canzoni, diventate dei veri e propri classici. Ma quella voce era il mezzo perfetto per la sua visione. Sapevo che per essere credibile dovevo non dico ricrearla, ma almeno evocarla».

Per riuscirci, si è affidata alla vocal coach Anne-Marie Speed e a Giles Martin, il figlio del George leggendario produttore dei Beatles, che aveva già lavorato a un altro importante biopic, Rocket Man su Elton John. «Giles è una specie di versione musicale di uno stunt coordinator. Mi ha aiutata a capire come replicare la tecnica di Amy, che doveva moltissimo a cantanti come Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald. Come loro, anche lei non cantava mai due volte nello stesso modo» spiega Abela. «All’inizio è stato complicato, perché mi sembrava di non riuscire a ingranare. Poi però è scattato qualcosa e ho capito che mi ci stavo avvicinando».

Amica fragile

Ci si è avvicinata così tanto che non è stato necessario usare “controfigure” vocali, persino nelle performance più importanti riprodotte nel film, come quella di Glastonbury 2008 o la storica esibizione dopo la vittoria ai Grammy nello stesso anno, dove è sempre lei a cantare, spalleggiata dalla storica band di Amy. «Ci siamo ritrovati agli Abbey Road Studios con il suo bassista, Dale Davis, e Ade Omotayo, che era il suo corista e anche un amico d’infanzia. Quando abbiamo suonato insieme è stato magico. Ho capito di aver guadagnato la loro fiducia, e loro mi hanno ripagato parlandomi di Amy e dandomi suggerimenti su come muovermi sul palco. Spesso si presentavano sul set a sorpresa, solo per fare un po’ di musica. E quando siamo andati a girare a New York, Mark Ronson (produttore di Back to Black, ndr) ci ha fatto visitare il suo studio, mostrandoci dove Amy amava sedersi a comporre le canzoni e raccontandomi aneddoti su di lei».

Anche la famiglia ha contribuito: il padre Mitch ha addirittura permesso di usare per le riprese l’appartamento della cantante a Camden, oltre a molti suoi vestiti e gioielli. «Sono stati incredibilmente generosi. Anche Amy lo era, oltre a essere intelligentissima, vulnerabile e molto, molto divertente. Aveva un senso dell’umorismo unico. Tutti quelli che la conoscevano davvero mi hanno detto la stessa cosa: quando entrava in una stanza, l’energia cambiava. Era palpabile».

Posso confermare. Nel 2007 la intervistai per la copertina di XL, il magazine musicale di Repubblica. Back to Black era uscito da poco e lei venne in Italia per promuoverlo. Quando fece il suo ingresso nella hall dell’albergo di Milano adibita per l’intervista, era vestita di felpa e jeans come una qualsiasi ventitreenne, ricordo che mi sembrò allo stesso tempo giovanissima e vecchissima. Parlò di Blake, a un certo punto si scoprì la spalla per mostrare un nuovo tatuaggio e poi pronunciò una frase che a posteriori sembra tristemente profetica. Disse che si riteneva una persona molto immatura, ma che «la vita è breve, dunque se ti piace qualcosa, non devi stare lì a menartela e a pensarci su, ma buttarti, vivere».

Forse si riferiva all’amore, forse alla dipendenza: un altro finale sarebbe stato possibile? «Non sta a me dirlo» conclude Abela «in molti, soprattutto i giornali scandalistici, hanno voluto vedere in Blake il cattivo della storia, ma è una visione troppo semplicistica. Anche se non riuscivano a stare insieme senza farsi del male, Amy era davvero innamorata e lui la ricambiava. Spero che questo film aiuti il pubblico a capirla meglio, oltre i suoi errori e le sue debolezze. E ad amarla ancora di più».

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