Civil War, l'opera che ha diviso l'America. E che in un solo weekend ha conquistato 25 milioni di dollari - MYmovies.it
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Civil War, l'opera che ha diviso l'America. E che in un solo weekend ha conquistato 25 milioni di dollari

Il film di Alex Garland - la produzione più costosa di sempre di A24 - scopre provocatoriamente i nervi di una nazione in bilico tra Trump e Biden. 
di Roberto Manassero

venerdì 19 aprile 2024 - Focus

E così anche il cinema ha il suo "Il canto del profeta", il romanzo di Paul Lynch vincitore del Book Prize 2023 (in Italia pubblicato a fine marzo da 66th&2nd) che immagina in un presente nemmeno così alternativo l’Irlanda prima governata da un partito fascista e poi devastata da una guerra civile. Il film in questione si chiama Civil War, l’ha diretto il regista e romanziere inglese Alex Garland (suoi Ex machina, Annientamento e Men) ed è tra le uscite più attese di questa primavera, dopo che in patria in un solo weekend ha incassato più di 25 milioni di dollari e generato una netta polarizzazione di giudizi.

In un paese che si avvia alle presidenziali con una base elettorale mai così divisa, con un candidato (Trump) che promette ferro e fuoco in caso di sconfitta e già una volta ha approvato l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso e un presidente in carica (Biden) distratto da due fronti di guerra esteri (Ucraina e Palestina), Civil War sfrutta il momento e coglie furbescamente nel segno: giusto o sbagliato, bello o brutto che sia, è un film che scopre provocatoriamente i nervi di una nazione. Come ha scritto Anna Lombardi su “La Repubblica”, «il 43% dei cittadini americani già pensa che una guerra civile è effettivamente possibile entro il prossimo decennio e il 23% concorda che la violenza potrebbe essere necessaria a salvare il Paese».

Nel film il conflitto non ha una motivazione chiara e le divisioni sul campo sono così confuse e irrealistiche che la casa produttrice A24 ha sentito il dovere (e la necessità promozionale) di caricare online una cartina del Paese in guerra. Giusto per capirci sull’assurdità del contesto, la liberalissima California e il repubblicano Texas sono alleati, gli stati lealisti tengono insieme zone politicamente e geograficamente antitetiche come il New England e la fascia centrale del Midwest, mentre la capitale Washington è assediata a nord dalle Western Forces e a sud dalla Florida Alliance… Evidentemente Garland, anche sceneggiatore, si è divertito a mescolare le carte della storia passata e presente, tanto che in un’intervista apparsa sul “New York Times” ha sentito il dovere di precisare che la sua guerra civile è «la semplice estensione dell’attuale situazione degli Stati Uniti: una situazione polarizzata».

Come però ha fatto notare sul “New Yorker” Andrew Marantz, «Civil War pare assolutamente disinteressato a cercare le cause di una moderna guerra civile americana, e di conseguenza a suggerire dei modi per prevenirla». E opporsi a un ipotetico conflitto senza affrontare le condizioni che potrebbero innescarlo, ha proseguito il critico, «è un po’ come affermare di schierarsi contro l’incarcerazione di massa evitando deliberatamente di parlare di criminalità, polizia, povertà, psicologia, giudici e leggi».

Insomma, l’accusa più comune nei confronti di Civil War è quella di superficialità, quando non addirittura di ambiguità. Garland ha descritto il suo film come «empaticamente contro la guerra», ma molti commentatori hanno scritto che i grandi film anti-bellici americani del passato (Apocalypse Now, Il dottor Stranamore) erano anche atti di accusa contro il governo degli Stati Uniti, mentre qui si rimane piuttosto sul vago a proposito di colpe e responsabilità, riducendo la guerra civile a una fratricida e indistinta lotta per la sopravvivenza.

Un indizio sulla posizione di Garland potrebbe venire dal fatto che la protagonista Lee Smith, interpretata da Kirsten Dunst e ispirata alla vera Lee Miller, è una fotografa di guerra, una testimone imparziale di orrori e tragedie. Eppure proprio l’equidistanza del personaggio dal conflitto, nel corso del viaggio infernale che porta lei e altri tre colleghi da New York a Washington per intervistare il Presidente asserragliato nella Casa Bianca, mostrerebbe le contraddizioni del film, perché, come ha scritto Clarisse Loughrey sull’“Independent”, «non tutti i conflitti nascono e crescono allo stesso modo; le persone non uccidono e muoiono senza motivo; e l’imparzialità di Lee suona vuota quando gli stessi Stati Uniti hanno partecipato in prima persona a così tanti conflitti internazionali».

Di contro, va detto che i sostenitori del film esaltano proprio l’incertezza nebulosa di Civil War, il pessimismo esistenziale e il crudo realismo che ne farebbero un’opera universale e chiamerebbero in causa la posizione morale di ogni spettatore e ogni forza politica. «Raramente», ha scritto Manhola Dargis sul “New York Times”, «ho visto un film capace di mettermi altrettanto a disagio e un volto come quello di Kirsten Dunst, in grado di esprimere il malessere di una nazione in modo così vivido da sembrare una radiografia».

Nel frattempo, tra i commenti online di spettatori entusiasti e altri critici, la A24 ha venduto Civil War a decine di paesi prima ancora di conoscere i risultati al box office del primo weekend, rientrando così da subito dei 50 milioni spesi per produrlo, cifra più alta mai spesa dalla compagnia più cool del nuovo cinema americano.


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