Alessandra Girardo, la chief operating officer con il mantra della saggezza e dell’armonia - la Repubblica

Economia

Alessandra Girardo, la chief operating officer con il mantra della saggezza e dell’armonia

Alessandra Girardo, la chief operating officer con il mantra della saggezza e dell’armonia

In Kirey Group, uno dei maggiori It system integrator italiani, è responsabile della supervisione delle attività aziendali. Una compagnia che registra ricavi per 85 milioni di euro

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ROMA – Letteralmente in giapponese kirey vuol dire ‘bello’. È il nome scelto come buon auspicio, e richiama il concetto di saggezza e armonia per un’azienda che progetta e fornisce alle imprese soluzioni tecnologiche su misura e di alta qualità per innovare e costruire il loro percorso di digital business. In Kirey Group, uno dei maggiori It system integrator italiani, Alessandra Girardo è coo, chief operating officer, responsabile della supervisione delle attività aziendali. Con 800 dipendenti in Italia e 200 clienti, la compagnia registra ricavi per 85 milioni di euro, mentre il gruppo nel suo insieme ha 1070 addetti e più di centocinque milioni di ricavi. Un head quarter a Milano e diverse sedi operative a Torino, Padova, Firenze e Roma, così pure a livello internazionale è in Spagna, con un’azienda comprata nel 2018, e in Portogallo, Romania, Serbia, Croazia, Albania, Bulgaria, Messico e Kenya.

La passione per l’ingegneria

Alessandra Girardo, nata a Cuneo il 30 agosto del 1971, è un’ingegnera gestionale, dopo il liceo classico al san Giuseppe di Rivoli si è laureata al Politecnico di Torino nel marzo del 1996. Suo padre ingegnere come lei, ma chimico, di umili origini, negli anni Settanta ha creato una sua azienda informatica della prima ora, specializzata in consulenza e organizzazione aziendale, con grande attenzione alle risorse umane. Mamma insegnante, una sorella, anche lei ingegnera e talent manager di una multinazionale, suo fratello lavora nella farmaceutica. “Sono stata fortunata, ho capito il valore della fatica ma con agio. Ho avuto una gioventù fatta anche di viaggi bellissimi all’estero con la mia famiglia. Il liceo classico mi ha aperto la testa, adoravo la filosofia, il greco e la matematica era la mia passione. Amo studiare e non mi stanco mai di imparare”. Girardo viene dal ramo Italia di Unisys, multinazionale americana focalizzata sull’information technology, dove era direttrice marketing a livello Emea con un team internazionale di una quarantina di persone. Unisys ha deciso nel 2008 di lasciare l’Italia e l’ad dei tempi, Vittorio Lusvarghi ha effettuato un manager byout dando vita a Kirey Italia, una piccola azienda con 10 milioni di ricavi, legata al mondo assicurativo. Nel dicembre 2015, grazie a un fondo di private equity italiano, Sinergo, capitanato allora da Gianfilippo Cuneo, ha avuto i finanziamenti per iniziare con le prime acquisizioni e a febbraio 2016 dall’unione di diverse realtà già affermate nel mondo dei servizi It, Iks, Insirio e System Evolution, ha iniziato una campagna velocissima di acquisti fino ad arrivare alle dimensioni attuali.

Lo spostamento in Kirey Group

“Mi sono spostata in Kirey Group in quell’anno perché prima le dimensioni erano troppo piccole: era una realtà prettamente italiana, uscire non era logico perché voleva dire ridimensionare sia il mio ruolo che le mie sfide. Quando poi Lusvarghi, attualmente ad di Kirey Group, mi cercò nel 2015, avendo lavorato già bene con lui ed essendo il contesto più interessante per me, mi sono spostata. Abbiamo avuto poi un cambio di proprietà”.Nel maggio dell’anno scorso, infatti, Kirey Group è passato a un fondo di private equity americano, ‘One equity partners’, mantenendo una minoranza della proprietà, “che ha l’obiettivo sfidante di portarci dai centocinque milioni di fatturato attuale a triplicare i numeri nei prossimi tre anni e mezzo. Si punta a far crescere il nucleo italiano e irrobustirlo, e dedicarsi in maniera intensa a comprare altre aziende che ci possano far compiere questo bel salto di volumi perché il settore dell’It, pur essendo dinamico e veloce, è animato da grande competizione”. Quindi sfida doppia dal lato del nucleo Kirey, che oggi è un gruppo su cui inserire le aziende che man mano compra, rafforzarsi, permanere e crescere sempre di più. “La partita delle acquisizioni che ho vissuto in questi otto anni è grandissima perché centralizzare, omogeneizzare, standardizzare processi di organizzazione, creare sinergie e fiducia e fare in modo che l’azienda sia azienda, e non più come finora un build-up di tante società comprate, non è semplice. Ogni volta che si acquisisce un nuovo brand si deve rispettare l’imprenditore che l’ha portato a essere quello che è. Compriamo solo imprese sane, che ci portano del valore aggiunto, per arricchire ambiti nel quali forse non siamo così forti, in mercati o aree geografiche dove non siamo molto presenti, e mai per ristrutturare. La nostra internazionalità oggi vive di Spagna, di un po’ di centro America, di paesi dell’Est dove abbiamo delle software factory. La volontà del fondo che ci possiede è andare anche nei paesi del nord Europa, Germania Austria, Francia, Paesi scandinavi per poter arrivare a essere più competitivi”. Le competenze tecnologiche di Kirey sono forti nella gestione dati nel cloud, nella cyber security, nell’aspetto funzionale per aiutare il cliente a diventare veloce, intelligente, capace di gestire dati per affrontare i cambiamenti improvvisi nel mercato. In grado di recepire i trend tecnologici globali, come l’IoT, l’Ai e la Blockchain, e di assicurare un vantaggio competitivo per i clienti. “Il 60 per cento dei nostri clienti viene dal mondo bancario e assicurativo, grande e media impresa, mondo retail e fashion manifatturiero in generale che copre il 40 per cento. Siamo attivi poi in ambito pubblico dal quale avendo anche una sede a Roma non si può prescindere”. La sfida tuttavia è più sul settore privato, perché Kirey Group viene dal mondo finanziario. “Ognuna delle aziende che oggi fa parte del gruppo, si porta dietro anche una specificità verticale, una ricchezza pazzesca perché riesci a parlare al cliente con un linguaggio che capisce e conoscendo i processi sui quali si basa il suo core business, ottieni di valorizzare gli ambiti tecnologici. Questa è la nostra forza, abbiamo una dimensione che ci permette di essere sartoriali, una qualità molto apprezzata. Tutte le aziende hanno portato con sé un portafoglio clienti che non si è perso. Le principali banche e assicurazioni italiane che hanno filiali in tutta Europa ti chiedono di essere lì proprio come un’azienda e presidiare questi paesi”.

Il pallino dell’estero

L’estero è stato sempre il pallino di Alessandra Girardo che ha fatto l’Erasmus in Olanda, con una borsa di studio ha conseguito un master in Business management alla London School of Economics, si è specializzata in Business leadership all’Insead business school di Fontainebleau, vicino Parigi, e ha collaborato per sei mesi di ricerca con la Stanford Graduate School of Business in California. “Curiosa e sfacciata com’ero, mi sono fatta invitare in queste prestigiose università più volte”. Il richiamo della famiglia l’ha fatta rientrare in Italia. L’università però l’ha delusa. “Mi ingaggiava soltanto per esercitazioni e per correggere i compiti, allora non era così aperta come oggi e non capiva questa internazionalità e il valore che potevo portare con i miei contatti”. Pioniera la manager lo è stata con Kubris, piccola società innovativa di Kirey Group, “e fin troppo perché il mercato non era pronto a capire la potenza dell’intelligenza artificiale, una realtà che a volte spaventa, a volte rallegra. Ai miei tre figli adolescenti, senza però dire loro che deve essere uno strumento, perché non deve esserlo, e bisogna che imparino sui libri come ho imparato io, ogni tanto lancio delle sfide e vedo come mi può aiutare nelle ricerche e nella interpretazione dei dati. Il consumatore ci gioca con l’Ia, capisce la potenza e anche i rischi, e quindi le aziende adesso sono aperte sempre di più a partire con progetti, non di grandi volumi, però efficaci perché sanno che prima o poi diventerà pervasiva nello sviluppo, nell’ottimizzazione dei processi di amministrazione, nell’archiviazione e interpretazione di documenti, e consentirà alle persone di smettere le attività ripetitive per dare più valore al proprio operato. Poi ci sono i rischi, noi europei li conosciamo e li stiamo gestendo con una cautela che serve tantissimo. Gli americani ovviamente corrono più di noi”.

La formula smart working al 95%

In Kirey Group si lavora in smart working al 95 per cento, c’è richiesta di presenza di quattro giorni al mese, con un work life balance molto spinto. I team lavorano per obiettivi, con grande delega e trasparenza. Nel progetto Cocrescere, crescere col coaching, ci sono tre sessioni dove si parla non solo di lavoro ma anche di problemi personali. Tranne che di cambiare azienda, ovvio. “Mi dicono: mi ha aiutato a essere migliore anche con mio figlio, con mia moglie. Per me sentire questo è una gioia incredibile. Poi abbiamo un corso per talenti. Ogni anno scegliamo una decina fra le persone più meritevoli. Nelle due giornate finali si va in aula e c’è una cena, in modo che si conoscano perché un pochino lo sentono mancare il rapporto umano e queste iniziative tendono a compensare. In azienda abbiamo una quota del 35 per cento di donne, e la ritengo ottima dato che siamo nell’informatica. Ci sono in ruoli apicali e funzionali, tanti project manager, sono una grande fan di acquisizione di figure femminili perché portano valore. Alle donne che assumo dico sempre: se ce l’ho fatta io. A 36 anni, tre figli in 18 mesi, il primo e dopo due gemelli, Matteo, Tommaso e Pietro. In più, secondo il mio carattere, ascolto, spingo; la mia leadership non è direttiva, cerco di conquistare le persone, creare valore, poi insieme si fanno le cose. E questo lo applico anche nella vita personale”.Girardo sta cercando di inserire in azienda figure non standard ma che aiutano con la loro ricchezza. Sostiene la fondazione ‘Cervelli ribelli’ e chiama in causa l’autismo. “Siamo partiti da donazioni, social responsibility, per Fondazione Umberto Veronesi. Poi siamo arrivati alla fondazione per l’autismo e abbiamo pensato di metterci in gioco offrendo lavoro a ragazzi neurodivergenti. Con un percorso di inserimento, un vero protocollo costruito con psicologi e tecnici, di ragazzi autistici all’interno della nostra azienda nell’ambito cyber security. È quello a loro più affine. Li abbiamo inseriti nelle squadre tecniche con uno stage. Alessio e Enrico, con già sei mesi di esperienza, hanno trovato un mondo che li ha accolti e che sta traendo molto vantaggio perché la loro precisione e l’ossessione al dettaglio, i loro tempi hanno fatto sì che il gruppo si adeguasse e fosse più attento, rispettoso e armonico, con un vantaggio di qualità e di soft dal punto di vista della squadra. Progetto sfidante e bellissimo, e stiamo collaborando con altre aziende che vogliono replicare la nostra esperienza. Non per essere presuntuosi, ma sarebbe meraviglioso che il mondo scoprisse quale beneficio può trarre anche da loro. Entrare nel tema dell’autismo è stato uno stimolo arrivato da colleghi perché in azienda abbiamo tante famiglie che hanno questo problema”.

La passione per i libri

Una vita di corsa per la manager. Alle sei del mattino si allena correndo, cuffie e podcast sulla geopolitica, poi sveglia i figli. “Noi tutti siamo in corsa, io cerco sempre di rallentarmi per non dare ansia alla famiglia e ai colleghi, ma la pianificazione, la corsa ad incastro è la mia vita”. Il marito, chimico farmaceutico, è appassionato di montagna, insieme tanti viaggi avventura, zaino in spalla, in Africa e molto altro. “Leggo, e dovrei farlo di più, strumenti per migliorare l’efficacia nel lavoro, la mia efficienza. Utilissimo ‘Seven habits’ di Franklin Covey. Ti dà delle pillole. Questo Natale me ne hanno regalato un altro interessante, ‘Lo faccio per me, Essere madri senza il mito del sacrificio’, di Stefania Andreoli. Prima leggevo Pirandello, quando i figli non avranno più bisogno di me ci tornerò. E tanta letteratura sud americana, la mia migliore amica è messicana. Dante mi piace moltissimo, uno dei miei figli sa recitare mezza Divina Commedia a memoria. Sono anni impegnativi ma molto divertenti e sfidanti. Bisogna credere a quello che si fa, avere entusiasmo, spero che i miei ragazzi imparino da me. I giovani oggi si sentono inadatti, sviliti, o pensano che tutto sia dovuto, non è facile riuscire ad aiutarli. Non sono molto social, cercherò di impegnarmi”.

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