Dugin e la Russia di Putin. I fondamenti dell’ideologia di Aleksandr Gel’evič Dugin

da Settimananews.it, la storica rivista di attualità, pastorale, teologia dei dehoniani.

L’Europa occidentale è decadente, perde tutta l’identità e questa non è la conseguenza di processi naturali, ma ideologici. Le élites liberal vogliono che l’Europa perda la propria identità, con la politica dell’immigrazione e del gender. (…) L’Europa sarà sempre più contraddittoria, sempre più idiota. I russi devono salvare l’Europa dalle élites liberal che la stanno distruggendo (…). I paesi vicini alla Russia erano costruzioni artificiali dopo il crollo dell’Unione sovietica e non esistevano prima del comunismo. Sono il risultato del crollo comunista. Erano invece parte di una civiltà euroasiatica e dell’impero russo prerivoluzionario. Non c’è aggressione di Putin, ma restaurazione di una civiltà russa che si era dissolta.

Aleksandr Dugin, intervista rilasciata a Giulio Meotti, il Foglio, 2 marzo 2017

Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli, geopolitico e ideologico. La Russia rifiuta tutto nel globalismo, unipolarismo, atlantismo, da un lato, e liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia, Grande Reset, in una parola, dall’altro. È chiaro che tutti i leader europei fanno parte dell’élite liberale atlantista. E noi siamo in guerra esattamente con questo.

Aleksandr Dugin, Agenzia Stampa Italia, 4 marzo 2022

Aleksandr Gelevic Dugin è un ideologo russo, conosciuto in tutto il mondo come il principale esponente della corrente di pensiero definita “eurasiatismo”, in base alla quale esiste uno spazio geopolitico a cavallo fra l’Europa e l’Asia che rappresenta un unicum, alternativo – culturalmente e politicamente – all’Occidente atlantista e all’Oriente. Uno spazio caratterizzato da valori storicamente determinati e universali, irriducibile alle suggestioni della modernità e della mondializzazione.

Panslavismo e collasso dell’Unione Sovietica

Per definire il pensiero di Dugin è bene guardarsi da eccessive semplificazioni. Il teorico russo, infatti, viene spesso e sbrigativamente liquidato come un nazionalista qualsiasi, ma questa definizione lo inquadra solo parzialmente.

Dugin è sicuramente un epigone del panslavismo russo ottocentesco, ma lo declina alla luce degli avvenimenti successivi, non ultimo il collasso dell’Unione Sovietica. Superata la fase del “nazional-bolscevismo” (che lo aveva visto co-fondatore, insieme a Eduard Limonov, del movimento ispirato ai “nazisti di sinistra” Gregor e Otto Strasser), il nucleo centrale del suo pensiero è ciò che lui stesso definisce “rivoluzione conservatrice”, cosa che lo ha reso attraente agli occhi dell’estrema destra europea, ma i suoi riferimenti ad alcune icone del pensiero politico ultraconservatore occidentale sono tutt’altro che in completa sintonia.

Prendiamo il caso di Julius Evola, a cui Dugin dice di ispirarsi: ebbene, Dugin ed Evola sono accomunati dalla denuncia del cattolicesimo come elemento di decadenza della cultura occidentale e, più in generale, delle culture “imperiali”; ma mentre il ragionamento di Julius Evola approda ad una sorta di neopaganesimo (sua la definizione del cristianesimo come “sincope della tradizione romana”), quello di Dugin lo porta verso la spiritualità del cristianesimo ortodosso.

Mentre nell’opera di Evola il concetto di “Terza Roma” non esiste, identificando l’idea imperiale, semmai, con il Terzo Reich, per Dugin la Terza Roma esiste ed è, dopo quella dei Cesari e Costantinopoli, Mosca. In sintesi, entrambi esaltano la funzione imperiale o “ghibellina”, ma la declinano in maniera radicalmente diversa.

Dugin e la nomenclatura russa

Dugin è da molti considerato l’ispiratore delle scelte di Vladimir Putin, tanto da essersi guadagnato la fama di nuovo Rasputin. Non sono disponibili informazioni certe su tutti i suoi rapporti diretti con il Presidente russo, del quale sarebbe stato consigliere almeno fino al 2015, ma è certo che Dugin sia stato consigliere di Sergey Naryshkin, Presidente della Duma di Stato (il Parlamento russo) dal 2011 al 2016 e successivamente a capo del SVR, il servizio russo di intelligence internazionale.

Naryshkin è diventato recentemente famoso in tutto il mondo per il video della riunione in cui viene trattato come uno scolaretto da Putin, episodio rispetto al quale i media occidentali hanno dato un’interpretazione probabilmente superficiale ed errata. I commenti al video, infatti, hanno parlato di un timido tentativo di Naryshkin di dissuadere Putin dall’intenzione di riconoscere immediatamente le repubbliche separatiste del Donbass, cosa che avrebbe provocato la reazione sprezzante dell’autocrate, fino all’umiliante autodafé del Capo dell’intelligence.

In realtà, l’interpretazione dell’episodio potrebbe essere molto diversa. Incalzato da Putin, Naryshkin alla fine dice di essere favorevole all’annessione delle repubbliche separatiste ucraine alla Federazione Russa, guadagnandosi l’ironia del Presidente, che gli rammenta che l’oggetto della discussione non era quello, ma il riconoscimento della loro indipendenza.

Ora, si fatica a credere che l’uomo da molti anni a capo del servizio segreto internazionale di una grande potenza, commilitone dello stesso Putin nel KGB sovietico, commetta un errore così marchiano in una simile occasione.

Appare plausibile un’altra interpretazione: secondo Francesca Salvatore, che scrive su “Inside over”, Naryshkin – come il suo mentore Dugin – è ossessionato dall’Ucraina ed è su suo ordine che “l’SVR gestisce da tempo spie e doppiogiochisti in Ucraina e nel mondo, supervisionando al contempo le operazioni di disinformazione globale”.

È ipotizzabile, dunque, che Naryshkin non si fosse affatto sbagliato quando ha parlato dell’annessione del Donbass, ma stesse esprimendo il suo pensiero reale, del resto coerente con quello del suo vecchio consigliere. Sempre secondo le informazioni di “Inside over”, molti “rumours” indicano proprio in Naryshkin il sostituto di Sergey Lavrov al Ministero degli Esteri di Mosca.

Il patriarca e l’ideologo

Le parole del patriarca Kirill sulla guerra in corso rispecchiano alla perfezione l’attitudine di Dugin. Il nuovo zar del Cremlino trova, dunque, in Dugin lo stratega e in Kirill un utile pifferaio, buono per incantare gli abitanti della sterminata “Russia profonda”, molto meno per convincere i giovani metropolitani di Mosca e San Pietroburgo, gli intellettuali e gli artisti, che in numero crescente abbandonano la Russia.

Il corpus ideologico di Dugin – oltre che in moltissimi articoli e interviste – è compiutamente illustrato nel suo testo più importante e organico, il saggio La quarta teoria politica, ponderoso tomo di oltre 450 pagine in cui l’ideologo dispiega la sua visione del mondo, alternativa alle tre principali ideologie della modernità – il liberalismo, il comunismo e il fascismo – sostenendo la necessità di un loro superamento in nome della necessaria opposizione al liberalismo egemone nell’Occidente capitalista e decadente.

Il Dugin-pensiero da un lato appare – ed è – organico e funzionale alla propaganda di guerra del Cremlino, e questa non è che un’ovvia constatazione (fra l’altro, Dugin è stato dichiarato “persona non gradita” da diversi Stati, fra i quali la Grecia e il Canada, oltre – naturalmente – l’Ucraina).

Meno ovvio l’interesse e il discreto successo riscosso in Occidente e, in particolare, in Italia, dove i suoi libri sono pubblicati da case editrici come NovaEuropa, che si autodefinisce “la prima casa editrice comunitarista europea” o Aspis, che fa parte di un network editoriale che comprende Altaforte e Il Primato Nazionale, casa editrice e rivista legate a CasaPound.

Dugin, la Lega e Salvini

Bisogna premettere che l’influenza delle teorie di Dugin in Italia è stata ed è limitata a cerchie piuttosto ristrette e non ha mai conosciuto una popolarità di massa. Tuttavia, stiamo parlando di circoli anche molto potenti, sia economicamente che politicamente.

Se a richiamarsi apertamente all’ideologo russo nel pensiero e nell’azione, oltre al cosiddetto “filosofo” Diego Fusaro, sono solo piccoli gruppi di estrema destra, attivi sia sul web che nell’editoria, non va trascurato il ruolo svolto da Dugin nei rapporti fra la Russia e un partito politico importante, fra l’altro tuttora al governo del nostro Paese: la Lega di Matteo Salvini.

Fra i gruppi di estrema destra che hanno stretto rapporti con Alexander Dugin, va segnalata CasaPound, che il 22 giugno 2018, nello stabile che occupa a Roma, ospitò un dibattito con il politologo russo, lo scrittore Maurizio Murelli (condannato a diciotto anni di carcere per concorso morale nell’assassinio dell’agente di polizia Antonio Marino, colpito in petto da una bomba a mano il 12 aprile del 1973) e il giornalista Giulietto Chiesa, scomparso nel 2020, a lungo corrispondente da Mosca per l’Unità quotidiano del PCI e, successivamente, titolare dell’esclusiva per l’Italia, delle immagini del network Russia Today e della sua sussidiaria Ruptly. Dirigente di CasaPound era anche Mauro Antonini, fondatore e presidente dell’associazione Lazio-Russia, “gemella” di associazioni consimili in altre regioni italiane.

Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle, non si h notizia di contatti diretti con Dugin, ma l’attuale sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, nel non lontano 28 giugno 2016 si vantava sul Blog delle Stelle di aver rappresentato – unico italiano – il M5S al congresso del partito di Putin, Russia Unita.

Comprensibili, dunque, le ironie riservate a Di Stefano nelle ultime settimane a causa della sua repentina conversione atlantista, perché il Di Stefano che oggi si allinea senza “se” e senza “ma” alla ferma condanna della comunità internazionale per la decisione di Vladimir Putin di riconoscere le repubbliche separatiste di Donetsk e Luganks e di invadere l’Ucraina è lo stesso che definiva l’Ucraina uno “stato fantoccio della Nato (Usa e Ue)”, come ha ricordato, fra gli altri, Luciano Capone su “Il Foglio” dello scorso 23 febbraio.

Le esibizioni di Matteo Salvini che indossa una maglietta con impressa l’immagine di Putin, sullo sfondo del Cremlino o nel Parlamento Europeo, così come le sue boutades (“Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!”), sono solo la rappresentazione folcloristica di qualcosa di ben più solido. Sono note le vicende dell’inchiesta conosciuta come “Russiagate”, partita a seguito degli articoli pubblicati in Italia da “L’Espresso” e, all’estero, dalle agenzie di giornalismo investigativo BuzzFeed e Bellingcat nell’estate 2019. L’inchiesta della magistratura è tuttora in corso.

Mosca, Hotel Metropol

Il 18 ottobre 2018 – governo Lega-M5S con Salvini vicepremier nonché Ministro degli Interni – alcuni uomini si incontrano all’hotel Metropol di Mosca. Sono tre italiani e tre russi e parlano di politica, ma anche di affari.

L’italiano più importante è Gianluca Savoini, stretto collaboratore di Matteo Salvini (prima di lui, anche di Umberto Bossi e di Roberto Maroni), fondatore e presidente dell’Associazione Lombardia-Russia, in precedenza partecipe del gruppo di estrema destra “Orion”, riunito intorno al citato Maurizio Murelli e di cui faceva parte anche quello che diventerà un altro esponente importante della Lega, Mario Borghezio.

Uno dei Russi presenti all’incontro nell’hotel di Mosca è Ilya Yakunin, considerato fedelissimo di Vladimir Putin.

Secondo le accuse, Savoini e gli altri avrebbero intavolato una trattativa per ottenere, nell’ambito di un accordo commerciale fra l’Italia e la Russia per l’acquisto di carburante, un finanziamento occulto di alcune decine di milioni di euro alla Lega. In una foto scattata di fronte all’hotel Metropol il giorno prima dell’incontro, insieme a Savoini appare Aleksandr Dugin, il quale, fra l’altro, all’epoca era Presidente onorario dell’associazione Piemonte-Russia, gemella di quelle dirette dallo stesso Savoini e dal “fascista del Terzo Millennio” Antonini.

Ancora poche settimane prima delle rivelazioni de “L’Espresso” e dell’avvio dell’inchiesta giudiziaria, Aleksandr Dugin è il principale relatore di un convegno del movimento giovanile della Lega tenutosi nel castello di Monteruzzo a Castiglione Olona, nel Varesotto. A introdurre l’incontro, tra Dugin e il movimento giovanile del Carroccio, è proprio Gianluca Savoini. In quell’occasione, Dugin dichiara: “Conosco Salvini personalmente, credo che sia il miglior leader dell’Europa nuova, è l’uomo del futuro”.

Anche se, con ogni probabilità, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani non ne conosce nemmeno l’esistenza, l’influenza di Aleksandr Dugin, è stata ed è tutt’altro che irrilevante.

Germano Monti

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