Albert Nobbs Recensione

Albert Nobbs - la recensione del film con Glenn Close

07 febbraio 2012
2 di 5

La passione di un attore per un personaggio e la capacità di questo stesso attore di impersonarlo in maniera sublime possono da sole essere garanzia di un buon film?


La passione di un attore per un personaggio e la capacità di questo stesso attore di impersonarlo in maniera sublime possono da sole essere garanzia di un buon film?
Guardando Albert Nobbs di Rodrigo Garcia verrebbe da rispondere di no, nonostante l'apporto creativo e produttivo di Glenn Close e nonostante le nomination all'Oscar per la migliore attrice protagonista e per la migliore attrice non protagonista.
Fin dalle prime sequenze, infatti, questo period-movie liberamente tratto da una pièce teatrale interpretata più di trenta anni fa dalla stessa Glenn Close presenta alcuni problemi sia di messa in scena che di messa a fuoco.
Fatta salva la nobile intenzione da parte del team di sceneggiatori di non demandare l'appeal della narrazione alla pomposità barocca di arredi e costumi, il film, più che seguire un suo percorso, scarta le strade già intraprese da altri. A cominciare dall'analisi storica e sociale.

Sostenuto dal bisogno di dare un carattere universale al racconto, il regista delinea appena il contesto in cui la vicenda si svolge, privandoci così del sottile piacere di capire fino in fondo le motivazioni dei personaggi. Ci spiega, per esempio, cosa abbia spinto la protagonista a diventare uomo, ma dimentica di giustificare le ragioni della sua impossibilità di fare un outing tardivo.
Chiudendo le porte di quell'Irlanda ottocentesca in cui le donne nubili o andavano in convento o finivano per la strada, Rodrigo Garcia non riesce però nemmeno a gettare le basi per un dramma intimista, perché il mistero di cui vuole circondare Albert Nobbs finisce per paralizzare sia il personaggio, che si rinchuide in una gabbia di pudore e infelicità, che il racconto. Ed è un peccato, perché i temi che il film affronta, e cioè l'ambiguità sessuale, la ricerca di un'identità e la necessità di indossare una maschera per essere accettati dalla società, sono interessanti. In qualche scena vengono approfonditi, anche con un certo umorismo e con la giusta leggerezza, ma non basta: non sono che attimi fugaci, fremiti di vita in un universo raggelato che somiglia un po' a un museo delle cere. Un universo sostanzialmente statico, a cui la suddivisione in "mondo di sopra" (quello dei signori) e "mondo di sotto" (quello della servitù) giova fino a un certo punto, perché chiama in causa l'impietoso paragone con i due Mogul Gosford Park e Quel che resta del giorno.

Cosa resta allora di Albert Nobbs? Quel che resta di Albert Nobbs, e non è poco, è la performance di Glenn Close, coraggiosissima nella sua rinuncia a ogni sensualità e intensa come non lo era mai stata prima.
Ci piacerebbe che quest'anno l'Oscar andasse a lei, invece che alla Lady di Ferro Meryl Streep.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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