DEPRETIS, Agostino in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

DEPRETIS, Agostino

Enciclopedia Italiana (1931)

DEPRETIS, Agostino

Costanzo MARALDI

Uomo di stato e patriota, nato il 13 gennaio 1813 a Mezzana Corti-Bottarone (Pavia) da un'agiata famiglia di agricoltori, morto a Stradella il 29 luglio 1887. Studente in legge all'università di Pavia, verso il 1834 si trovò coinvolto in una cospirazione studentesca di carattere mazziniano. Laureatosi il 20 giugno di quello stesso anno, dopo due anni di esercizio fu costretto, per ragioni di famiglia, ad abbandonare l'avvocatura e ad assumere l'amministrazione dei suoi beni e di quelli vastissimi della casa Gazzaniga-Arnaboldi. Negli anni 1847 e 1848 fu uno dei capi del movimento liberale nella provincia di Voghera, e, appena concesso lo statuto e convocati i comizî elettorali, il collegio di Broni lo inviò (26 giugno 1848) come suo rappresentante al Parlamento Subalpino. Rivelatosi oratore vigoroso e assennato, strenuo difensore delle libertà costituzionali, divenne ben presto uno dei capi dell'opposizione democratica, nelle cui file sempre militò, avendo per compagni di lotta Angelo Brofferio e Urbano Rattazzi. Dedicatosi al giornalismo, dopo aver collaborato alla Concordia, fondò con. Cesare Correnti e con altri il Progresso, mantenendo contemporaneamente relazione epistolare con Giuseppe Mazzini, che preparava il moto milanese del 6 febbraio, al quale il D. non partecipò direttamente, perché ne prevedeva l'insuccesso. Dopo la formazione del "gran ministero" Cavour e il nuovo orientamento della politica nazionale, il D. non mutò il suo indirizzo d'opposizione e nel conflitto Cavour-Brofferio sostenne il secondo votando contro la spedizione di Crimea. Il D. criticava con vigore il ministero, segnalandosi per la sua particolare competenza in materia di politica doganale e finanziaria. Nominato dopo la guerra del 1859 governatore di Brescia, l'anno seguente fu inviato in Sicilia con la carica di prodittatore. Sbarcò a Palermo il giorno dopo la battaglia di Milazzo, quando la Sicilia era ormai nelle mani di Garibaldi e già si delineava il problema dell'annessione che divideva in due partiti i patrioti siciliani. Il D., che in quegli ultimi anni si era lentamente accostato alla monarchia, si sforzò anzitutto di far cessare il disordine che regnava nell'amministrazione dell'isola, e, seguendo alla lettera le istruzioni ricevute dal conte di Cavour, ai primi di settembre del 1860 cercò di convertire Garibaldi all'idea dell'annessione immediata; ne nacque un aperto dissidio tra il Crispi, segretario generale della dittatura, e il D., il quale, constatando l'inutilità dei suoi sforzi per procedere all'annessione dell'isola al Piemonte, rassegnò le sue dimissioni (14 settembre 1860) e tornò a Torino, dove riprese la vita parlamentare, militando sempre nel partito di sinistra che faceva capo al Rattazzi, il quale, divenuto presidente del consiglio (1862), affidò al D. il portafoglio dei Lavori pubblici, che tenne fino alla caduta del gabinetto (10 dicembre 1862).

Nel giugno 1866, nel gabinetto Ricasoli, ebbe il portafoglio della Marina, proprio alla vigilia della dichiarazione di guerra (20 giugno 1866). "Questa data (dice il D. stesso) dimostra che non ebbi nessuna parte nella nomina dei comandanti della flotta e che certo non potevo far altro che provvedere come amministratore a che la flotta non mancasse di mezzi e tutte le forze si riunissero". Certo, il D. influì, sia pure indirettamente, sull'andamento della campagna navale, che doveva finire con l'insuccesso di Lissa (v.). In seguito ad una crisi ministeriale che obbligò il Ricasoli ad accondiscendere a un "rimpasto" del gabinetto, il D. lasciò il 18 gennaio 1867 il dicastero della Marina per assumere quello delle Finanze, che tenne solo per due mesi, cioè fino alla definitiva caduta del ministero Ricasoli (10 aprile 1867). Dal 1867 al 1876 partecipò a tutte le lotte che si svolsero nel parlamento, rimanendo sempre nelle file del vecchio partito di sinistra, che, morto il Rattazzi nel 1873, lo riconobbe come suo capo. L'antagonismo fra destra e sinistra si era in quegli ultimi anni maggiormente acuito, anzi si era tramutato in vero duello, dacché Marco Minghetti aveva assunto la presidenza del Consiglio, dimostrandosi reciso avversario di quasi tutte le riforme democratiche propugnate dagli uomini di sinistra.

Nella discussione avvenuta il 18 marzo 1876 al parlamento per la completa abolizione della tassa sul macinato, il ministero Minghetti, aspramente combattuto dalla sinistra e abbandonato anche da molti deputati della stessa destra, riportò nella questione di fiducia un voto sfavorevole (242 voti contro 182) e fu costretto a dimettersi, aprendo così la via al primo ministero di sinistra, che ebbe il D. per presidente (25 marzo 1876). Il nuovo ministero si trovò di fronte a gravi difficoltà di carattere politico e finanziario e non potè quindi applicare se non in parte il suo programma riformatore. Così, a poco a poco, le eccessive speranze che molti avevano riposte nel governo di sinistra svanirono, e il D., benché nelle elezioni del novembre 1875 avesse ottenuto una maggioranza composta di oltre 400 deputati, vide l'estrema sinistra passare all'opposizione, accusando il governo di troppa remissività nella politica ecclesiastica, mentre i rapporti col Vaticano erano peggiorati, in seguito alle frequenti dimostrazioni anticlericali che il govemo credeva di non poter facilmente reprimere. L'8 marzo 1878 il D. dovette dimettersi, lasciando la successione al Cairoli; ma il 12 dicembre dello stesso anno tornò di nuovo al governo, tenendo per sé gli Esteri e gl'Interni, e richiamando alle Finanze Agostino Magliani. Il nuovo ministero non mutò la linea di condotta adottata dalla nostra diplomazia, dopo il congresso di Berlino (17 giugno-14 luglio 1878), manifestando fin d'allora la tendenza ad un ravvicinamento con gl'Imperi centrali, per attenuare la sensazione d'isolamento in cui pareva trovarsi l'Italia dopo la firma del trattato di Berlino; d'altronde, l'incerta situazione interna, aggravata dalle non buone condizioni economiche, e le continue agitazioni promosse dai comitati irredentisti suscitavano diffidenze e malumori nelle maggiori potenze europee. Il ministero cercò di diminuire il disagio economico, incoraggiando la costruzione di ferrovie e di strade e stanziando a tal fine nel bilancio oltre un miliardo e 260 milioni di lire; infine, dietro le pressioni dell'estrema sinistra, ridusse notevolmente la tassa sul macinato. Ma nel luglio 1879, essendo sorto un conflitto tra Camera e Senato a proposito appunto della tassa sul macinato, e avendo il Cairoli patrocinato lo stesso progetto del Senato, il D. si trovò ad aver contro, oltre alla destra, auche parte della stessa sinistra, e di nuovo dovette rassegnare le dimissioni, accettando solo, nel novembre 1879, di partecipare al gabinetto Cairoli in qualità di ministro dell'Interno.

Caduto il Cairoli in seguito agli avvenìmenti tunisini (maggio 1881), il D. tornò al governo e si presentò alla Camera con un incerto programma e non sorretto da una forte maggioranza; ma appena ottenuto dal parlamento il voto di fiducia, egli accentuò il riavvicinamento italo-austriaco, accompagnando i reali d'Italia nel loro viaggio a Vienna, e iniziò con gl'Imperi centrali quelle trattative che dovevano condurre alla conclusione del trattato della Triplice Alleanza (20 maggio 1882). Il D. promulgò quindi la tanto desiderata legge elettorale (22 gennaio 1882), che, applicata nelle elezioni del 1882, allargò il numero degli elettori da mezzo milione a circa tre milioni; vennero finalmente aboliti il corso forzoso e la tassa sul macinato, mentre il governo fu costretto, per mantenere un atteggiamento conforme al trattato di alleanza, a reprimere le manifestazioni irredentiste, che si moltiplicarono dopo l'esecuzione di Oberdan (20 dicembre 1882). Allora le critiche alla politica ministeriale si fecero più aspre, e il D., combattuto tanto dall'estrema destra, che lo accusava di soverchia debolezza, quanto dall'estrema sinistra, che lo tacciava di reazionario e di conservatore, si trovò nella primavera del 1883 in grandi difficoltà che lo costrinsero di nuovo a lasciare il potere. Ricostituito il ministero (19 maggio 1883), il D., mediante abilissime manovre parlamentari, si accinse a formare una nuova maggioranza con gli elementi più moderati dei partiti di destra e di sinistra, inaugurando così la politica del cosiddetto trasformismo, la quale fu ispirata non da semplici motivi di tattica parlamentare, ma da profonde ragioni politico-finanziarie, in quanto il D. voleva instaurare una nuova politica che combattesse le intemperanze degli estremisti di sinistra e il conservatorismo accanito di alcuni uomini della destra (per diminuire, con opportune riforme, il malessere del popolo) e consentisse al governo d'iniziare l'espansione coloniale diretta a risolvere il grave problema dell'emigrazione. Il nuovo indirizzo politico e i metodi adoperati per raggiungere la maggioranza suscitarono contro il ministero l'opposizione dei principali rappresentanti della sinistra storica, come lo Zanardelli, il Baccarini, il Cairoli, il Crispi e il Nicotera, i quali, nel novembre 1883, costituirono la cosiddetta pentarchia, alla quale aderirono anche elementi repubblicani, come Felice Cavallotti e Alessandro Fortis. Ma il D., forte dell'appoggio di gran parte dei liberali e di moltissimi deputati, un tempo appartenenti a diversi partiti e ora accostatisi al nuovo indirizzo politico, continuò con grande abilità lo svolgimento del programma ministeriale, non badando alle accuse di diserzione e di cinismo che gli muovevano i suoi antichi colleghi. E mentre s'iniziavano i lavori di risanamento della città di Napoli e si dava grande impulso alla marina da guerra e mercantile, egli provvedeva al riordinamento delle ferrovie (aumentate sotto il suo governo di 3000 km.), concedendo l'esercizio di esse in appalto a tre società. La crisi ministeriale del 29 giugno 1885 non indebolì, ma rinforzò il ministero, che acquistò un attivo e valoroso ministro degli Esteri, il de Robilant, il quale mirò soprattutto a migliorare la posizione diplomatica dell'Italia e, nelle trattative col Bismarck e col Kálnoky, riuscì a ottenere migliori condizioni per l'Italia quando si trattò di rinnovare la Triplice Alleanza (20 febbraio 1887). Ma l'eccidio di Dogali (26 gennaio 1887), e le conseguenze politico-militari che ne derivarono, valsero ad accrescere l'influenza della pentarchia, che nei mesi di marzo ed aprile 1887 intensificò la sua attività diretta ad abbattere il ministero. Il D. rassegnò allora per l'ultima volta le dimissioni e nello stesso tempo aprì trattative col Crispi e i principali capi dell'opposizione; così, quando a tutti pareva certa e definitiva la caduta del D., ormai stanco per il lavoro sostenuto in quegli ultimi anni e indebolito dall'età e da una grave malattia che da tempo lo travagliava, il vecchio uomo di stato dimostrava invece di rimanere ancora l'arbitro della vita politica italiana e ricostituiva un ministero, facendovi entrare il Crispi e lo Zanardelli. Fu l'ultimo trionfo politico del D., che il rapido aggravarsi del male condusse in breve alla tomba.

Bibl.: A. Breganze, A. D. e i suoi tempi, Padova 1894; P. S. Massimo, A. D., Napoli 1887; J. Grabinski, A. D., Bruxelles 1890; Lewis (pseud. di L. Branzi), A. D., Napoli 1891; Discorsi parlamentari di A. D. Raccolta a cura della Camera dei deputati; C. Maraldi, Il partito democratico subalpino e l'opera di A. D. nel 1849-59, in Rass. del Risorg. marzo 1930; M. Rosi, L'Italia odierna, Torino 1926, II, i e III; F. Crispi, I Mille, Milano 1911; A. Arzano, Il dissidio tra Garibaldi e D., in Memorie storico-militari, 1913; A. Colombo, Contributo alla storia della prodittatura di A. D. in Sicilia, Saluzzo 1911; J. W. Mario, Agostino Bertani ed i suoi tempi, Milano 1888; G. Volpe, L'Italia in cammino, Milano 1927; B. Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari 1928.

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