Ricordo me stesso nel 1949 spaventato all’uscita di scuola perché non sapevo come digerire la notizia: la squadra del Torino, tutta quanta, era morta. Precipitati in aereo sulla collina di Superga. Era una notizia eccessiva come la guerra e non potevo separarmi dalle immagini delle figurine di quei giocatori e dal fatto che fossero morti. Gli anni, quegli anni, diventavano giorno dopo giorno più terribili. Poi, dopo, a decenni di distanza tutti avrebbero usato queste parole insignificanti come ricostruzione, pacificazione, democrazia, miracolo economico. Non c’era ancora nulla, nel 1949. La società che ricordo era mentalmente settaria e violenta, tutti molto aggressivi e ognuno con un suo conto da regolare, politico o umano.Tutte le famiglie o quasi erano uscite distrutte dalla guerra e la spaccatura della guerra fredda ci passava per le ossa. nelle famiglie, a tavola. Mia nonna si vantava di aver sfilato di tasca a suo figlio una copia de l’Unità. ma quell’anno, il 1949, fu un annus terribilissimus perché la guerra, quella prossima, era nell’aria e sembrava cosa fatta.

L’America aveva rotto con la Russia e così la Francia e l’Inghilterra. Noi italiani non contavamo nulla, ma quando i grandi dell’Occidente decisero di formare un’alleanza anti-sovietica che si sarebbe chiamata “Alleanza Atlantica”, il governo De Gasperi chiese e anzi supplicò di accettarci fra i soci fondatori. Scoppiò la rivoluzione. A sinistra. I comunisti si indignarono: questa nuova roba atlantica altro non era che l’ennesima crociata contro i comunisti che hanno salvato il mondo dai nazisti: è un tradimento, una mascalzonata, un attentato contro la pace, la democrazia eccetera. Le cose non stavano proprio così: tutta l’Europa dell’Est, che Stalin aveva prima trattato con Hitler nelle clausole segrete del Patto di Non Aggressione dell’agosto del 1939 e che poi si era fatto riconfermare da Churchill e da Roosevelt, era stata sì assegnata come “zona d’influenza” all’Unione Sovietica, ma a condizione che la democrazia rappresentativa e le libertà fondamentali fossero state garantite. Invece nel 1948 un colpaccio di Stato aveva instaurato la dittatura del partito a Praga e lo stesso era successo in tutti gli Stati che da allora in poi furono chiamati “satelliti”.

Inoltre, lo scisma del maresciallo Tito aveva sottratto all’impero sovietico la grande Jugoslavia che restava un Paese comunista, sì, ma “diverso”: molto legato agli inglesi, aperto al turismo occidentale, ma più che altro con l’arma al piede, se a Stalin fosse saltato in mente un colpo di mano: gli jugoslavi erano stati i soli, sia pure con un potente aiuto inglese (un figlio di Churchill collaborava strettamente con Tito) a vedersela con i tedeschi. Il fatto che Tito fosse ora l’uomo nero per Mosca e per tutti i comunisti ortodossi permise a Palmiro Togliatti di reclamare a gran voce il ritorno di Trieste all’Italia. Intanto, l’Italia – Paese che non era per nulla ben visto in Occidente – fece nel 1949 una pessima e maleodorante figura: un’inchiesta americana sul modo in cui venivano spesi dai Paesi beneficiari i soldi del piano Marshall, rivelò che l’Italia li stava sperperando in regalie per gli amici, giochi di potere e correnti, nulla di strutturale ma anzi di molto personale e vagamente mafioso. Fu uno scandalo internazionale che mise in grandissimo imbarazzo il nostro governo che balbettò, promise, face la faccia feroce e cercò di recuperare ancora una volta l’onore perduto. Ma nel frattempo avevamo, come Paese, guadagnato una posizione nuova e invidiabile che ci avrebbe reso moltissimo per mezzo secolo sotto ogni punto di vista, in particolare perché ci avrebbe permesso di giocare, secondo le circostanze con il piede in due staffe.

Eravamo diventati il Paese cerniera e questo ci avrebbe dato molti vantaggi. Il fatto di avere il più grande partito comunista dell’Occidente, per di più un partito influente a Mosca e composto da un gruppo dirigente disciplinato in cui non prevalevano le teste calde che avrebbero voluto passare dalla Resistenza alla rivoluzione, era un fattore d’interesse anche per gli alleati. Interesse e pericolo allo stesso tempo.
Il Papa, il principe romano Eugenio Pacelli, era un anticomunista oltranzista. Fece un pubblico discorso in cui dichiarò che santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica Romana era perfettamente d’accordo sull’Alleanza Atlantica che avrebbe tenuto a distanza i comunisti russi, considerati come il maggior pericolo per il genere umano. Gran parte del Partito socialista guidato da Pietro Nenni (allora molto stalinista che poi avrebbe capovolto la sua posizione restituendo il Premio Stalin che aveva ricevuto) si infuriò contro il Patto Atlantico e in molti gridarono in Parlamento che un’alleanza contro l’Unione Sovietica era da considerare come uno schiaffo al Paese che più di tutti aveva contribuito alla sconfitta del nazismo e ne nacquero molti tafferugli in aula.

L’anno precedente erano stati infatti ritrovati a Berlino nella Wilhelmstrasse i documenti originari del cosiddetto “Trattato di non aggressione” fra Terzo Reich nazista e Unione Sovietica, contenenti le clausole segrete che prevedevano l’immediato intervento russo nell’invasione della Polonia (come accadde il 17 settembre del 1939) e l’attribuzione all’Urss dei tre Paesi baltici, Bessarabia, Romania e mano libera in Finlandia. I sovietici negavano ad alta voce e soltanto Michail Gorbaciov nel 1989 confermò che le clausole erano autentiche e che dunque l’Urss aveva tecnicamente iniziato la seconda guerra mondiale dalla parte tedesca. Nel 1949 nessuno era appassionato alla scoperta della verità, ma tutti avevano il coltello fra i denti, per cui il clima politico e nelle strade e nelle famiglie diventò violento, con tafferugli. In Parlamento l’ambiente era rovente, i discorsi erano tutti retorici e minacciosi, ma i numeri erano numeri e alla fine il Patto Atlantico passò e l’Italia entrò in quella che poi si chiamerà la Nato (Trattato dell’organizzazione del Nord Atlantico, benché fossimo nel Sud mediterraneo). L’Italia era diventata anche la terra delle spie perché Paese di frontiera fra Est ed Ovest e perché eravamo anche nel pieno crocevia del Medio Oriente. Abbiamo già raccontato quel che era accaduto nel 1948, quando le Nazioni Unite dettero mandato per la nascita di due nuovi Stati, uno ebraico e uno arabo palestinese, ma che quest’ultimo fu respinto con sdegno dalla Lega Araba che cercò distruggere il focolaio ebraico con tutti gli eserciti disponibili, restando alla fine battuta dal giovane Stato israeliano pieno di giovani che si erano battuti in Europa contro i nazisti.

Era appena terminato l’esodo arabo dal nuovo Stato di Israele da cui erano fuggiti in 720 mila arabi che vivevano nelle regioni bibliche della Giudea e Samaria.In Israele i nuovi dirigenti Ben Gurion e Golda Meir tentarono di convincere gli arabi a restare rendendosi conto che si stava aprendo una piaga che non si sarebbe più riemarginata. Soltanto frange terroriste ebraiche spingevano verso la cacciata degli arabi, seguendo una linea di condotta sanguinaria che si era già mostrata con l’eccidio di Yeir Dassin. Gli arabi che accettarono di restare ottennero una cittadinanza pari a quella dei cittadini ebrei, con alcune limitazioni, come il non obbligo di prestare il servizio militare. Ma fino ad oggi gli arabi musulmani anti-israeliani cittadini dello Stato di Israele sono gli unici arabi musulmani con diritto di voto attivo e passivo, diritto di formare partiti, pubblicare e leggere quel che vogliono. I palestinesi dell’esodo che avevano lasciato i luoghi in cui nasceva Israele furono accolti con profonda ostilità dagli Stati arabi e furono costretti a concentrarsi in campi profughi dove diventarono di fatto il più potente strumento di pressione per ogni trattativa con Israele, strumento per pressioni reciproche e per i combattimenti contro gli israeliani.

Intanto, centinaia di migliaia di ebrei che vivevano (anche da duemila e cinquecento anni) nei Paesi arabi, si spostano in Israele. Si registrano attacchi alle comunità ebraiche ad Aden, in Egitto, Libia, Siria e Iraq, dove il “sionismo” diventò un reato punito con la pena capitale. Il bilancio del primo rientro ebraico nei confini palestinesi fu di circa seicentomila persone che sostituirono, più o meno, gli arabi fuggiti. Seguirono degli armistizi di cui solo alcuni si trasformarono in trattati di pace, con l’Egitto, il Libano e la Giordania che si annesse la Giudea e la Samaria con il consenso dell’Inghilterra e del Pakistan, quest’ultimo un nuovo Paese di religione musulmana emerso dall’indipendenza dell’India dall’impero britannico.

L’Italia si trovava a far parte di uno scacchiere che prevedeva uno stato di guerra più o meno permanente tra Israele e gli Stati arabi, con un nuovo elemento: il petrolio. L’Italia stava per liquidare una vecchia azienda di Stato che risaliva all’epoca fascista per uso agricolo, l’Ente nazionale Idrocarburi, l’Eni, quando furono trovati giacimenti di gas e petrolio in Italia e il nuovo capo dell’ente, Enrico Mattei, si improvvisò manager di una azienda che avrebbe combattuto da parti a pari con le “Sette sorelle” del petrolio mondiale e che avrebbe avuto un ruolo nuovo ed essenziale nella politica estera italiana, tutta volta allo sfruttamento delle risorse di gas e petrolio sullo scacchiere mediorientale. L’Italia aveva appena scoperto di aver posseduto con la Libia, ormai indipendente, il più grande lago di petrolio del mondo, ma si stava rifacendo con una politica molto sfrontata, aggressiva, quasi del tutto indipendente dallo stesso governo italiano.

Nel mese di agosto arrivò la sorpresa tanto temuta: gli Stati Uniti perdevano ufficialmente il primato di unica potenzia atomica del mondo, perché l’Unione Sovietica faceva esplodere la sua prima bomba. L’Occidente non ne fu poi così scioccato. Si sapeva da anni che i sovietici seguivano gli americani a poca distanza e gli esperti statunitensi affermarono che il contributo spionistico offerto dai coniugi Rosenberg e di altri circa duecento agenti aveva accelerato il processo. Questa novità benché attesa e temuta strappava agli Stati Uniti un potere implicito anche se mai dichiarato: quello di poter inferire il primo colpo, senza dover attendere una risposta di parti intensità.

Gli americani avevano dalla loro un buon nucleo di scienziati tedeschi portati negli Stati Uniti, capeggiati da Von Braun che era stato l’inventore dei missili “V2” con cui la Germania aveva bombardato Londra e che guiderà la ricerca spaziale americana fino alla conquista della Luna. Fra russi e americani circolava la battuta “i nostri scienziati tedeschi sono migliori dei vostri”. Intanto, un evento di portata mondiale e millenaria, se è ancora lecito usare aggettivi tanto pomposi, si concluse quell’anno: la Cina, questo enorme Paese eternamente malato, eternamente conquistato, frazionato, povero, dominato da dinastie e da stranieri (anche l’Italia aveva a Shangai la sua rappresentanza militare come ogni Paese occidentale coloniale) era stata conquistata dall’esercito popolare di Mao Zedong che proclamò la Repubblica Popolare Cinese. Il secondo Stato comunista del mondo diventato tale per una sua evoluzione e rivoluzione interna, dopo l’Unione Sovietica. La vittoria di Mao fu salutata come il più grande evento del dopoguerra da tutte le sinistre mondiali, anche in considerazione del fatto che sia Mao che gli uomini del suo Stato maggiore, fra cui Ciu Enlai (suo potente e coltissimo ministro degli esteri) venivano da una covata intellettuale che si era sviluppata in Francia, alla università della Sorbonne e persino negli Stati Uniti, dove un altro leader, il futuro presidente del Vietnam Ho-Chi-Minh, aveva lavorato per anni come cameriere studiando l’opera di Lincoln.

La Cina era stata invasa dal Giappone negli anni Trenta che aveva creato uno stato cinese fantoccio in Manciuria, ai confini con la Siberia sovietica, dove proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale si registrarono feroci scontri tra giapponesi e sovietici. Si formarono così due eserciti cinesi di resistenza contro il Giappone: quello di Mao e quello nazionalista filoccidentale del maresciallo Chang-Kaishek che combatterono insieme contro gli invasori nipponici e poi si scontrarono fra loro e il vincitore fu il comunista Mao, al termine della sua “lunga marcia” durata ben nove anni spesi arruolando contadini. Il maresciallo sconfitto si ritirò nell’isola di Taiwan, che ancora veniva indicata con il nome coloniale di Formosa. Lì Chang governò mantenendo in piedi un esercito con cui sognava di tornare sul continente e riconquistare Pechino. Dopo la sua morte, Taiwan diventò un protettorato americano, ma dal punto di vista del diritto internazionale nessuno obiettò che l’isola apparteneva alla Cina che proprio oggi la rivendica con grande energia, come ha fatto per l’ex colonia britannica Hong Kong. Taiwan, insieme a Singapore, Hong Kong, la Cambogia e il Vietnam (per non dire dell’Australia) costituisce la più lacerante ferita nel fianco del regime di Pechino.

Quando ero un giovane giornalista nel 1963 nella redazione de l’Avanti! ci davamo appuntamento ogni mercoledì e venerdì davanti alle telescriventi intorno alle 15 perché a quell’ora ogni settimana dell’anno, le batterie costiere cinesi bombardavano i disabitati scogli di Quemoy e Matsu, i più vicini a Taiwan, in segno di “grave avvertimento” del popolo e dell’esercito della Repubblica cinese. Ricordo che a quell’epoca era d’uso festeggiare l’evento brindando con pessimo spumante a temperatura ambiente.

(4/CONTINUA)

LA CRONOLOGIA DEGLI EVENTI DEL 1949

25 gennaio – Ben Gurion è eletto primo ministro di Israele

3 febbraio – Inizia il processo a Budapest al cardinale Jozsef Mindszenty. Accusato di spionaggio. Ergastolo

5 febbraio – Negli Stati Uniti viene pubblicatoil rapporto Hoffman. L’Italia è accusata di aver sperperato i fondi dle piano Marshall. In particolare è sotto accusa la decisione di Fanfani di dare alcuni miliardi all’Ina Casa per costruire case popolari.

5 marzo – L’ex procuratore generale dell’Urss Andrej Vysinskij diventa ministro degli esteri al posto del mitico Molotov. Anche Vysinskij è mitico: è il Pm che ha fatto condnanare a morte decine di alti dirigenti del partito, compreso Bucharin.

11-20 marzo – L’Italia aderisce al patto atlantico (NATO). Contrarie le sinistre. Dissensi nella Dc. Votano contro due nomi eccellenti: Luigi Gui e Giuseppe Dossetti.

4 Maggio – L’aereo sul quale viaggia la squadra di calcio del Torino – quella di Valentino Mazzola – si schianta sulla collina di Superga. Muoiono tutti: giocatori accompagnatori, giornalisti.

14 maggio – Riammessi al lavoro i dipendenti statali ex fascisti.

23 maggio –  Nasce la Repubblica Federale tedesca.

14 giugno – A Cortemaggiore, in provincia di Piacenza, viene scoperto un gigantesco giacimento petrolifero. All’Eni inizia l’era Mattei.

29 agosto – L’Urss annuncia di aver costruito la bomba atomica.

1 ottobre- Mao Tse Tung annuncia la nascita della Repubblica popolare cinese.

16 ottobre – Finisce la guerra civile in Grecia. I comunisti sono sconfitti.

6 dicembre – Nasce il quotidiano Paese Sera

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.