A spasso con Daisy, quella carezza che denuncia

A spasso con Daisy recensione film

“Dice che le cose stanno cambiando, ma non sono cambiate mica tanto!”

Titolo originale: Driving Miss Daisy
Regista: Bruce Beresford
Sceneggiatura: Alfred Uhry
Cast Principale: Jessica Tendy, Morgan Freeman, Dan Aykroyd, Patti LuPone, Eshter Rolle,
Nazione: USA

Il razzismo è un argomento che la Settima Arte ha sempre affrontato, soprattutto per la sua (ahinoi) eterna attualità. Alcuni affrontano il tema in maniera molto cruda, come American History X; altri invece cercano di mandare il massaggio in maniera molto più delicata, seppur molto efficente, come A spasso con Daisy, del 1990, scritto e diretto da Alfred Uhry.

Miss Daisy Werthman (Tendy) è un’anziana signora, orgogliosamente ebrea, che vive ad Atlanta nel 1948. Maestra elementare ormai in pensione, Daisy è una donna indipendente, austera, molto attiva, burbera e piena di fissazioni. Un giorno, per distrazione, perde il controllo della sua automobile, causando un danno di una notevole somma, così il figlio Boolie (Aykroyd) decide di affiancarle un autista, con estrema disapprovazione della donna. La scelta cade su Hoke (Freeman), un afroamericano di quasi settant’anni, ex fattorino del latte, anche lui ormai in pensione, di cui Boolie ha un’alta considerazione.

Nei primi giorni di servizio a casa di Miss Daisy, Hoke non riceve un buon trattamento da parte della signora.

L’anziana signora, infatti, non accetta Hoke – a suo dire – perché la sua figura sembrerebbe uno sfrontare la propria ricchezza davanti a tutti. Il paziente uomo, però, ben capisce e, con sarcasmo e astuzia, lentamente riesce ad entrare in amicizia con Daisy, la quale non solo apprezza la dolcezza e il rispetto che Hoke le offre, ma lo aiuta anche a lottare il suo analfabetismo. Il tempo passa e il mondo americano vede l’arrivo degli anni ’60: un periodo di lotte e pregiudizi, che non risparmia nessuno. L’amicizia tra Hoke e Daisy è sempre più salda, anche se l’anziana ha ancora alcune cose da imparare. Come tutte le cose, però, anche il rapporto tra i due anziani viene scosso dal Tempo: non la Storia, ma il semplice rintocco delle lancette, in una maniera non così scontata…

Tratta dall’omonima e fortunata commedia teatrale, A spasso con Daisy affronta molti temi forti, con la delicatezza del profumo alla violetta nella sciarpa di una nonna.

Entrambi i protagonisti, infatti, fanno di comunità che nella metà degli anni ’60 – e purtroppo ancora oggi – subivano angherie, soprusi e discriminazioni. Non ci mostra violenze od offese, ma il cinismo del ben-pensante, quello che ripete ogni volta che non ha pregiudizi, quasi a volersene convincere da solo; evidenziando quell’ipocrisia di chi cerca un pretesto per essere malfidato. Nella pellicola più volte viene rimarcato il concetto che non basta condannare episodi eclatanti per definirsi contrari alle forme intolleranti: è la quotidianità che ci rende lontani dalle idee pregiudizievoli.

La grande magia di questa pellicola non è nelle parole, ma nei gesti e nelle azioni. Sguardi e movimenti, infatti, sono a volte loro i veri portatori di quel messaggio: ciò fa della pellicola una degna erede del testo teatrale da cui deriva.

La storia è toccante, soprattutto perché, come pochi sanno, è tratta da una storia vera! L’autore del copione teatrale, nonché sceneggiatore del film, raccontò che la trama è presa dalla realtà, dove Daisy è in realtà sua nonna, Lena Fox, e del suo autista afro-americano Will Coleman.

Menzione a parte merita la colonna sonora.

Il compositore Hans Zimmer, non alla sua prima esperienza, decise per questa sfida di occuparsi personalmente di tutta la musica del film. Quella che noi sentiamo infatti non è il frutto di un’orchestra, ma il risultato di soli sintetizzatori, suonati dal solo Zimmer.

Il cast ovviamente fa da padrone, anche se la scelta non fu così semplice.

Per il ruolo di Daisy molte grandi star erano pronte a prenderne i panni, in primis Angela Lansbury (che invece interpreterà l’augusta signora più volte in seguito a teatro), Bette Davis e Katharine Hepburn. Jessica Tandy.

Morgan Freeman è a suo agio nel ruolo che aveva anche ricoperto sul palco alla prima del 1987; mentre è interessante vedere Dan Aykroyd in un ruolo anomalo per la sua carriera: talmente anomalo da condividere con Freeman la candidatura all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista.

Il film, nella notte degli Oscar del 1990, ricevette 9 candidature e vinse 4 statuine: Miglior Film (ma stranamente non Miglior Regia), Miglior Sceneggiatura Non Originale; Miglior Trucco (dove nel team risultava anche l’italiano Manlio Ronchetti) e Miglior Attrice Protagonista, facendo della Tendy la donna più anziana a ricevere il premio.

3 motivi per vedere il film

  • Morgan Freeman, in una parte di un uomo molto anziano, nonostante all’epoca avesse poco più di 50 anni
  • Dan Aykroyd, nel suo primo intenso ruolo drammatico
  • La capacità di Uhry di trasformare un successo su palco anche al cinema, con la sua dote di sceneggiatore

Quando vedere il film

Domenica pomeriggio, dopo un pasto. È adatto ai bambini, poiché insegna, oltre agli argomenti già detti, anche come può diventare il passare degli anni.

Francesco Fario

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IL VOTO DEL PUSHER
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Area tecnica (trucco, costumi, luci, effetti speciali)
Francesco Fario
Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"
a-spasso-con-daisy-recensione-filmÈ una pellicola che insegna, senza esagerare. Mostra inoltre un armonico e denso abbraccio tra testo teatrale e riadattamento cinematografico, senza eccessivi stravolgimenti

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