500 giorni insieme Recensione

(500) giorni insieme, la recensione del film di Marc Webb

26 novembre 2009
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Lo dice la voce narrante che apre il film nel suo prologo: (500) giorni insieme non è una storia d’amore. È la storia di un ragazzo che incontra una ragazza. E di quel che ne consegue. Quello di Marc Webb è un film che racconta un (non) amore, il cui grande successo di pubblico e critica negli Stati Uniti non è giustificabile solo con ...

(500) giorni insieme, la recensione del film di Marc Webb

(500) giorni insieme - la recensione

Lo dice la voce narrante che apre il film nel suo prologo: (500) giorni insieme non è una storia d’amore. È la storia di un ragazzo che incontra una ragazza. E di quel che ne consegue. Quello di Marc Webb è un film che racconta un (non) amore, il cui grande successo di pubblico e critica negli Stati Uniti non è giustificabile solo con gli indubitabili (ma forse sopravvalutati) pregi di cui si può vantare.

Perché se è vero che il film è ben scritto e diretto, supportato da due protagonisti accattivanti, simpatici e in parte come i bravi Zooey Deschanel e Joseph Gordon-Levitt, che è più fresco e coraggioso di molti altri prodotti mainstream per il ribaltamento del tradizionale assunto di base (qui il disperatamente romantico è lui, non lei) e per alcune scelte di declinazione formale, a ben vedere tutto questo non è in fondo così originale come ci è stato raccontato finora. Sia nella forma che, soprattutto, nel contenuto e nella sostanza del discorso amoroso che porta avanti, (500) giorni insieme è un film magari “realistico”, ma che di originalità ne contiene ben poca, se si va a guardare sotto la pur gradevole patinatura indie-pop che lo ricopre e lo impacchetta.

E allora da dove deriva il grande appeal che ha dimostrato di avere? Non tanto dal fatto che un pelo di ruffianeria non è negabile, ma molto più probabilmente – e seriamente – dal fatto che l’insieme dei suoi pregi e dei suoi difetti, e il loro assemblaggio, risulta essere una fotografia piuttosto precisa delle incertezze e delle contraddizioni sentimentali ed esistenziali di una generazione (quella coetanea dei protagonisti) che si barcamena costantemente tra precarietà di varia natura e che va alla ricerca di una nuova definizione e declinazione del concetto di maturità: amorosa e non.

Non è quindi un caso che tra i momenti più riusciti del film ci siano i dialoghi di Tom con la “saggissima” sorellina Rachel, o che il consueto cotè di amici del protagonista sia in questo caso inefficace e ininfluente sia all’interno della storia: scelte forse incoscienti di sceneggiatura che però vanno a braccetto con la scelta di raccontare dinamiche di genere a ruoli invertiti o quella di regalare alla protagonista – teoricamente la “cattiva” della situazione, data l’ottica Tom-centrica del film – la capacità di stare dalla parte sia del sentimento che della ragione sia nel senso di ratio che di buon diritto in un ottimo dialogo finale. Perché la fluidità di certe dinamiche è (oramai) trasversale a qualsiasi distinzione anagrafica, di genere o di “tradizione”, perché la maturità si raggiunge attraverso percorsi che partono dal passato per approdare a momenti definitivi nuovi e più complessi, più presenti, perché il successo, spesso nasce da un fallimento.

Se quindi, nonostante la chiara avvertenza iniziale, si legge (500) giorni insieme solo come una semplice storia d’amore, ci si troverà di fronte ad un film gradevole, ma tutto sommato banale nella descrizione post-adolescenziale dell’evoluzione complessa e dolorosa di un rapporto. Se invece si guarda un po’ più oltre, ecco allora che, forse senza saperlo, quello di Marc Webb diventa un ritratto privo di connotazioni valutative di una situazione emotiva generalizzata che va oltre lo specifico sentimentale.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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