Tumulto dei Ciompi

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Tumulto dei Ciompi
Giuseppe Lorenzo Gatteri, Tumulto dei Ciompi, 1877, Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste
Dataluglio-agosto 1378
LuogoRepubblica di Firenze
Causarivendicazioni di natura economico-sociale
Esitosconfitta dei Ciompi
Schieramenti
Ciompi Governo fiorentino (capeggiato dall'Oligarchia cittadina)
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Il tumulto dei Ciompi fu una delle rivolte popolari del XIV secolo, questa verificatasi a Firenze tra luglio e agosto del 1378. I principali protagonisti furono gli operai salariati della lana, noti come "Ciompi", insieme ad altri membri del cosiddetto "popolo minuto", come lavoranti, garzoni e piccoli artigiani non affiliati alle Arti di Firenze (le corporazioni cittadine). Questa rivolta ebbe luogo in un momento difficile per la città, caratterizzato da scontri tra guelfi e ghibellini, fallimenti bancari, sconfitte militari ed epidemie di peste.

Dal 1375, Firenze era coinvolta nella Guerra degli Otto Santi contro lo Stato Pontificio, il che aveva aumentato le tensioni tra il potente partito Parte Guelfa, dominato dai magnati nobili, e il governo dei Priori, composto da rappresentanti delle Arti maggiori ossia i borghesi più facoltosi. Il 18 giugno 1378, il gonfaloniere di giustizia Salvestro di Alamanno de' Medici propose una petizione per rafforzare gli Ordinamenti di Giustizia, le disposizioni attraverso le quali quasi un secolo prima erano stati esclusi i nobili dal governo cittadino. Questa proposta scatenò una reazione sia dei magnati contro Salvestro, che delle Arti, unite al popolo minuto, a difesa degli Ordinamenti. La tensione culminò in saccheggi che furono sedati con difficoltà la sera del 22 giugno, ma l'atmosfera rimase tesa.

Nelle settimane seguenti, il popolo minuto, in un clima di paura, cominciò a considerare l'idea di un'insurrezione per ottenere un riconoscimento politico e il diritto di accedere alle magistrature cittadine. Il tumulto esplose il 20 luglio quando si diffuse la voce che i Priori avessero arrestato e torturato alcuni cittadini sospettati di organizzare la rivolta. Inizialmente scesero in piazza gli operai della lana, chiamati da quel momento i Ciompi, ma presto tutte le altre Arti si unirono alla protesta, eccetto quella dei lanaioli. Due giorni dopo, i Priori abbandonarono il Palazzo, che fu preso senza spargimento di sangue dai rivoltosi. Michele di Lando, un uomo del popolo, venne fatto Gonfaloniere di Giustizia e prese il controllo della città. Nei giorni successivi, furono istituite tre nuove Arti per includere gli operai della lana e furono introdotte riforme nel governo cittadino, con la partecipazione del popolo minuto.

Tuttavia, le tensioni aumentarono quando il governo di Lando sembrò favorire il popolo ricco tradendo il popolo minuto che tornò a sentirsi emarginato. Le Arti minori presero le distanze dall'Arte del Popolo di Dio (così era chiamata la neo costituita corporazione degli operai lanaioli) per via degli obiettivi divergenti. Il 31 agosto, le Arti tradizionali, con il sostegno del governo, attaccarono i Ciompi, oramai isolati, mentre si trovavano in piazza della Signoria. Dopo una violenta repressione, l'Arte dei Ciompi fu ufficialmente soppressa e Firenze tornò sostanzialmente alla sua struttura politica precedente, seppur non completamente.

Questi eventi ebbero un impatto significativo sulla popolazione fiorentina, in particolare per i ceti più alti, che furono colti di sorpresa. Gli storici, sia dell'epoca che moderni, hanno interpretato in vari modi questi eventi, alcuni vedendoli come una manipolazione del popolo minuto da parte dei poteri esistenti, altri riconoscendo obiettivi politici chiari e una presa di coscienza sociale anticipatrice dei futuri conflitti tra capitale e movimento operaio.

Premesse[modifica | modifica wikitesto]

La politica e la società della Firenze del XIII-XIV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Firenze e Arti di Firenze.
Stemmi di alcune Arti di Firenze

Nella seconda metà del XIII secolo, Firenze iniziò a distinguersi come una delle città più influenti e fiorenti d'Europa, grazie alle sue istituzioni bancarie e agli intensi scambi commerciali che si estendevano dalle opulente fiere della Champagne ai vasti mercati dell'Oriente.[1][2] Sulla scia dell'Arte dei Mercatanti, fondata intorno al 1182 e nota anche come "Arte dei Calimala", nacquero nel tempo ventuno "Arti" - sette maggiori e quattordici minori - associazioni laiche che raggruppavano gli individui di una stessa professione o mestiere uniti per garantirsi protezione e perseguire obiettivi comuni. Furono proprio queste Arti a catalizzare lo sviluppo economico di Firenze durante tutto il basso Medioevo, tanto che divennero presto protagonisti della scena politica cittadina.[3][4]

Nel 1282, venne istituito il Priorato delle Arti, noto anche come "Signoria", inizialmente composto da tre priori, successivamente diventati sei, scelti a sorte tra i membri di tutte le ventuno Arti. Il Priorato, insieme al capitano del popolo, deteneva il potere esecutivo e rappresentativo, con un mandato di due mesi durante il quale convocava i Consigli e sovrintendeva a tutti gli uffici della Repubblica fiorentina. Nel 1293, su iniziativa del priore Giano Della Bella, vennero approvati i cosiddetti Ordinamenti di giustizia per io quali era richiesta non solo l'iscrizione formale a un'Arte per essere sorteggiati al Priorato, ma anche la pratica effettiva dell'attività professionale. Ciò servì per escludere le famiglie nobiliari dalle cariche pubbliche e venne compilato un registro delle famiglie ineleggibili. Il governo di Firenze divenne, quindi, un'oligarchia in mano alle Arti. Venne, inoltre, istituita la carica di Gonfaloniere di Giustizia, con il compito di far rispettare gli ordinamenti e punire chi minacciasse la stabilità del governo.[5][6][7]

Una bottega della lana

Gli Ordinamenti di giustizia segnarono il trionfo del cosiddetto "popolo grasso", ovvero la borghesia benestante composta da cittadini facoltosi impegnati in professioni come banchieri, notai o nel redditizio commercio di tessuti e produzione di lana. Questo successo avvenne a scapito della classe nobiliare, i "magnati" o i "grandi", visti dalla popolazione delle Arti come una minaccia per la loro propensione alla guerra e alla tirannia che vennero esclusi dai più importanti consigli cittadini.[8]

Il governo della città si trovò sì saldamente nelle mani del Popolo, ma solo di coloro che facevano parte delle Arti. Al di fuori di questo gruppo rimanevano coloro che lavoravano per loro come dipendenti salariati: garzoni, apprendisti, operai. Questi individui, spesso definiti come "popolo minuto" o "gente minuta", costituivano la maggioranza della popolazione fiorentina e vivevano in condizioni di estrema povertà, privati di qualsiasi possibilità di partecipare al governo della città.[9][10][11] Tra costoro, molti erano i lavoratori dell'Arte della Lana, che divenne la corporazione più influente a Firenze nel XIV secolo, superando quella dei Calimala negli anni precedenti.[12]

I Ciompi[modifica | modifica wikitesto]

Stemma dei battilani, lavoratori della lana, posto sulla parete esterna della chiesa di Santa Maria dei Battilani

Tradizionalmente con il termine "ciompi" si voleva indicare, nel contesto della Firenze medievale, i salariati, appartenenti soprattutto al settore della lavorazione della lana (addetti alla pettinatura e alla cardatura). Lo storico Alessandro Barbero, in un suo saggio del 2023, ha evidenziato di come tale nome non fosse mai comparso prima degli eventi del 1378 di cui furono protagonisti quando appare in alcune cronache anonime coeve.[13] In ogni caso essi appartenevano al cosiddetto "popolo magro", consistente in braccianti, operai e piccoli commercianti spesso immigrati dal contado per soddisfare la necessità di lavoro a basso costo. Privi di qualsiasi forma di rappresentanza, le condizioni economiche del "popolo magro" erano caratterizzate da estrema precarietà. I Ciompi, assieme ad altri mestieranti più umili rappresentavano uno dei gradini più bassi della scala sociale dell'epoca: non godevano di alcuna rappresentanza ed erano per questo esclusi da una qualsiasi gestione politica della società.

L'etimo di "ciompi" sembra derivare dal verbo "ciompare", sinonimo di battere, picchiare, percuotere e siccome una delle operazioni iniziali della lavorazione della lana consisteva nel batterla con un bastone per favorire il distacco dei mazzeri (Nodi della lana o grumi di sporco presenti prima della cardatura o pettinatura) di pelo e permetterne poi la cardatura quelli che battevano, "ciompavano", venivano perciò definiti ciompi. Essi avevano come luogo di ritrovo la chiesa di Santa Maria dei Battilani in via delle Ruote (oggi sconsacrata)

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Firenze nel 1352

Il sistema politico fiorentino, che favorì l'emergere del "popolo grasso" e il prosperare dell'economia, non fu immune da difficoltà, soprattutto durante la crisi del XIV secolo che colpì tutta l'Europa. Una delle prime criticità emerse dall'esclusione della nobiltà dal governo cittadino, indebolendo Firenze sul fronte militare. Infatti, i nobili, con la loro esperienza bellica, erano considerati esperti in materia di guerra, e la mancanza della loro leadership ebbe conseguenze evidenti nella politica estera. La possibilità di armare il "popolo minuto" venne scartata per timore di rivolte, e il ricorso a truppe mercenarie, oltre ad essere molto oneroso, si dimostrò spesso inefficace.[14]

In aggiunta alle difficoltà nel difendere con le armi gli interessi cittadini, il prestigio del "popolo grasso" subì un declino a causa della grave crisi economica che afflisse Firenze. Nel 1343, il fallimento dei potenti banchieri cittadini, i Bardi e i Peruzzi, a causa del mancato pagamento dei prestiti concessi al re Edoardo III d'Inghilterra per finanziare la guerra dei cent'anni, esacerbò ulteriormente la situazione economica precaria.[15]

Cacciata del Duca d'Atene, affresco nel Carcere delle Stinche, ora in Palazzo Vecchio

Le difficoltà militari, l'instabilità economica e i conflitti incessanti con i ghibellini (Firenze era da molto tempo guelfa) portarono le autorità fiorentine a cercare una figura neutrale e straniera come podestà e questa venne trovata nel duca d'Atene, il francese Gualtieri VI di Brienne. Gualtieri, adottò politiche aggressive e divisive, ottenendo il sostegno del "popolo minuto" e dei nobili, un'inedita alleanza basata sull'antipatia nei confronti del "popolo grasso". Tuttavia, le misure adottate da Gualtieri a favore dei ceti subalterni e il suo auspicio di instaurare una signoria cittadina finirono per suscitare il malcontento dei nobili, che, voltarono le spalle ai popolani e insieme ai ricchi borghesi, lo scacciarono dalla città solo dieci mesi dopo la sua nomina.[16]

La cacciata di Gualtieri e l'estromissione del popolo minuto non furono indolore. I primi tumulti si ebbero già nell'autunno dell'anno dopo[17] venendo però prontamente soffocati sebbene senza sopire il malcontento popolare. Nel maggio 1345 il cardatore Ciuto Brandini organizzò uno sciopero e delle adunanze per le vie della città, ma il tentativo di associare i propri compagni di lavoro in una "fratellanza" che raccogliesse le adesioni di operai e artigiani fallì: arrestato con i figli il 24 maggio 1345, fu mandato a morte per decapitazione.[17] L'esperienza di Ciuto può essere considerata l'antesignana di quanto sarebbe succederà poco più di trent'anni dopo.

Il tumulto[modifica | modifica wikitesto]

Preludio, la petizione di Salvestro de' Medici[modifica | modifica wikitesto]

Caterina da Siena cerca di convincere papa Gregorio IX a tornare in Italia. L'effettivo rientro del pontefice sarà la causa della Guerra degli Otto Santi che metterà in crisi la politica fiorentina, preludio al tumulto del 1378

Nonostante l'istituzione degli Ordinamenti di Giustizia, i magnati rimasero attivi nella politica fiorentina nel Trecento. Si radunavano in Parte Guelfa, un potente partito che esercitava notevole influenza sulla città. La Parte Guelfa aveva il potere di compilare elenchi di presunti ghibellini, chiamati "ammoniti", che venivano esclusi da incarichi pubblici e subivano pesanti conseguenze personali. Questo costituiva a tutti gli effetti un «formidabile strumento di controllo della politica cittadina» da parte dei nobili.[18][19][20]

Nonostante Firenze fosse storicamente guelfa, nel 1375 scatenò una guerra contro il papa stesso, conosciuta come "guerra degli Otto Santi", a causa del tentativo di Gregorio XI di riconquistare l'influenza sull'Italia centrale dopo il periodo avignonese. L'elite di governo fiorentina si divise tra la Parte Guelfa contraria alla guerra e una magistratura straordinaria, chiamata "degli Otto Santi", nominata per sovrintendere alle operazioni militari e composta da esponenti delle Arti.[21][19][22] Il successivo interdetto lanciato dal papa contro Firenze provocò gravi ripercussioni politiche ed economiche alla città,[23] colpendo soprattutto le classi più basse, come i salariati, che videro il loro potere d'acquisto diminuire a causa della svalutazione del fiorino.[24]

Nel 1378, la Parte Guelfa aumentò le "ammonizioni" contro i propri nemici, minacciando anche gli Otto Santi, che erano consapevoli di poter essere accusati di ghibellinismo a causa del loro coinvolgimento nella guerra contro il papato.[25][26] In risposta, il gonfaloniere di giustizia e priore Salvestro di Alamanno de' Medici, schierato con gli Otto Santi, propose una petizione con cui ripristinare l'applicazione rigorosa degli Ordinamenti di Giustizia, resi poco efficaci dalle ripetute correzioni e precisazioni nel tempo. Vista l'opposizione della Signoria, composta principalmente da membri del popolo grasso, Salvestro si appellò alla Consulta del popolo, composta anche dalle Arti minori, ottenendo il sostegno per la sua proposta sebbene registrando 73 voti contrari su 239.[27][28][19][29][30] Molti storici hanno interpretato questa mossa come un tentativo astuto di Salvestro di guadagnare l'appoggio delle masse popolari nel confronto con la Parte Guelfa, ravvivando antiche tensioni tra le classi sociali fiorentine.[31][32]

Palazzo Vecchio a Firenze, il palazzo in cui nel XIV secolo si riunivano i Priori

Quando i magnati vennero a conoscenza degli eventi in corso a palazzo dei Priori (l'attuale "palazzo Vecchio"), presero immediatamente le armi e si radunarono al Palagio di Parte Guelfa, decisi a contrastare l'iniziativa di Salvestro. Tuttavia, questa reazione scatenò una catena di eventi che portò anche il popolo delle Arti maggiori e minori a armarsi e ad unirsi a difesa della petizione di Salvestro.[33][34] Il 22 giugno, la folla si riversò in Piazza della Signoria. La situazione precipitò rapidamente, con la folla tumultuante che mise a fuoco le case di alcuni esponenti del Popolo Grasso, accusati di tradimento per la loro vicinanza alla Parte Guelfa. Case di personalità come Lapo da Castiglionchio, Piero degli Albizi, Carlo Strozzi, dei Soderini, dei Buondelmonti, dei Guadagni furono assaltate. Alle Arti ribelli si unì anche il popolo minuto prvo di rappresentanza (operai, salariati, lavoranti,...), dandosi a saccheggi che coinvolsero anche monasteri di Santa Marita Novella, Santa Maria degli Angeli, Santa Croce.[35][36][37][38]

L'ordine in città fu ristabilito già la sera del 22 giugno, dopo alcune esecuzioni capitali di rivoltosi, ma la tensione rimase palpabile. Nei giorni successivi, i magnati si rinchiusero nelle proprie case e le botteghe furono serrate. Il tradizionale palio di San Giovanni Battista del 24 giugno non si disputò, e la festività del santo non fu celebrata.[39] Per evitare nuovi disordini vennero prese alcune misure favorevoli ai dimostranti: il 25 giugno gli ammoniti vennero prosciolti e il giorno successivo gli Ordinamenti di Giustizia tornarono ad essere applicati.[40] Inoltre, vennero effettuati diversi arresti di individui sospettati di aver preso parte alla rivolta. Tuttavia, ciò non bastò a far ritenere che la situazione si fosse stabilizzata. Il 1° luglio vennero sorteggiati nuovi priori ma la cerimonia avvenne in silenzio, senza il consueto suono delle campane per evitare di provocare ulteriori agitazioni.[41][42][43] Il popolo delle Arti Minori e il popolo minuto aveva ormai preso coscienza della propria forza e «nelle convulse settimane successive costoro, riuniti in assemblee clandestine, pensarono a un’insurrezione per ottenere, per la prima volta nella storia della città, un riconoscimento politico e il diritto di potere accedere alle magistrature».[19][44][36] E fu in queste riunioni clandestine che si programmò per il 20 luglio una nuova insurrezione.[45]

20 luglio 1378: inizia la rivolta[modifica | modifica wikitesto]

Piazza della Signoria in un quadro del XVIII secolo; la piazza (all'epoca chiamata "dei Priori") fu il principale teatro del tumulto dei Ciompi

Secondo quanto riportato dai resoconti dell'epoca, nelle prime settimane di luglio a Firenze regnava una calma apparente.[46]ai Priori riuniti in Palazzo Vecchio, giunse la notizia che il giorno successivo il popolo minuto aveva intenzione di scendere in piazza armato per attaccare i centri del potere. Di conseguenza, i Priori procedettero con alcuni arresti tra coloro sospettati di essere coinvolti nella pianificazione della rivolta. Tra gli arrestati vi era un uomo chiamato Simoncino di Bartolomeo, detto "Bugigatto",[N 1] che, sotto interrogatorio e sottoposto a tortura, confermò i piani per la rivolta raccontando anche quali fossero le loro richieste.[47][48] Questi eventi sono documentati grazie alla testimonianza diretta di Alamanno Acciaiuoli, uno dei priori che partecipò personalmente agli interrogatori.[49]

Anche se l'interrogatorio era stato condotto in segreto, un orologiaio di nome Niccolò degli Oriuli, presente a Palazzo Vecchio per riparare l'orologio comunale, udì tutto. Appena ebbe l'opportunità, all'alba del 20 luglio, si mise a gridare per le strade di Firenze che i Priori stavano uccidendo gli arrestati, incitando così la "cattiva gente" (ovvero il popolo minuto) ad armarsi per difendersi.[50][51][N 2] Questo evento fu il catalizzatore della rivolta: le campane delle chiese iniziarono a suonare a martello e il popolo minuto si radunò nell'attuale Piazza della Signoria armato. Un cronista anonimo raccontò: «e furono in sulla Piazza dei Signori e dissono "O voi ci rendete costoro, o noi v'arderemo nel Palagio". I rivoltosi gridavano "Viva il popolo e le Arti"».[52] Erano circa le 9 del mattino, probabilmente poco prima di quanto precedentemente stabilito per dare inizio alla rivolta.[53]

Già dalla sera precedente, i Priori avevano fatto schierare in piazza alcuni soldati mercenari (circa solo un'ottantina secondo le cronache, invece dei 230-250 sperati), ma, di fronte alla vasta folla, rimasero immobili[N 3], mentre le Arti, richiamate a gran voce dai Priori chiusi in Palazzo, non si fecero vedere quel mattino.[54][55] Di conseguenza, la piazza venne conquistata dal popolo minuto, in particolare dagli operai della lana. Sembra che da quel momento in poi iniziarono ad essere chiamati i "Ciompi", sebbene tale termine fosse sostanzialmente dispregiativo e quindi mai adottato da loro stessi. Secondo la Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, facevano parte di questa categoria gli «scardasseri, pettinatori, vergheggiatori, lavatori, purgatori e rivenditori ed altre membra».[56][19]

I Priori, colti di sorpresa e spaventati dall'assenza di supporto dalle Arti, dopo un acceso dibattito tra di loro, decisero di liberare Simoncino e gli altri arrestati. Tuttavia, ciò non bastò a calmare gli animi e la folla iniziò ad attaccare le case dei ricchi, considerati traditori. I capi della rivolta però proibirono i saccheggi, minacciando di impiccare chiunque si fosse lasciato coinvolgere.[57][58][59] Poco dopo, anche le Arti minori si unirono alla rivolta, sebbene sia da notare che i loro obiettivi non fossero gli stessi del popolo minuto, ma che condividessero il risentimento verso il potere e gli abusi perpetrati dalla Parte Guelfa e dagli esponenti delle Arti maggiori.[60] Gli insorti riuscirono ad assaltare la casa del nuovo Gonfaloniere di Giustizia, Luigi Guicciardini (eletto all'inizio di luglio insieme ai priori), e il palazzo dell'Arte della Lana, dove l'Ufficiale Forestiero, incaricato di amministrare la giustizia penale all'interno dell'arte e quindi molto impopolare tra gli operai, riuscì a malapena a scappare.[58]

La giornata del 20 giugno si concluse con festeggiamenti tra gli insorti e con un evento insolito: la nomina di oltre sessanta nuovi cavalieri da parte del popolo, una pratica solitamente riservata alla nobiltà, ma che in quel contesto potrebbe essere stata vista come un riconoscimento della sovranità popolare. Tra coloro che vennero addobbati a cavaliere vi furono anche Selvestro dè Medici e Luigi Guicciardini.[61][62][58][63]

I due giorni seguenti e la presa del Palagio[modifica | modifica wikitesto]

Il Palazzo del Podestà, oggi conosciuto come Palazzo del Bargello a Firenze

Calata la sera, la folla si dirigeva al di là dell'Arno, dopo aver attraversato il ponte Rubaconte (oggi noto come ponte delle Grazie).[64] Durante gli scontri, alcuni ribelli erano riusciti ad assaltare la residenza dell'Esecutore di Giustizia e a impadronirsi del suo Gonfalone, ora custodito attentamente nel palazzo di messer Stefano di Broye. Nell'epoca medievale, le bandiere rivestivano un ruolo di grande importanza: servivano da segnale per le truppe in battaglia, identificavano i quartieri cittadini e rappresentavano il governo locale. Possedere il Gonfalone del Gonfaloniere di Giustizia conferiva alla folla un senso di legittimità come rappresentante del comune.[65][66][67] Nel frattempo, continuavano presso la chiesa di San Lorenzo le riunioni di 20-30 ciompi per preparare le richieste, che si sarebbero poi formalizzate in forma di "petizioni" da presentare ai Priori.[68][69][70]

Il giorno successivo, il 21 luglio, trascorse senza eventi rilevanti a causa di un violento temporale che impedì qualsiasi azione, portando i Priori a sperare che la folla si sarebbe dispersa. Tuttavia, ciò non avvenne e il 22 luglio i Ciompi erano ancora padroni della piazza. Essi invitarono tutte le altre Arti ad unirsi a loro, che accettarono, tranne l'Arte della Lana, che, come annota lo storico Alessandro Barbero, «coerentemente si dissociò dall'insurrezione dei propri operai».[71][72] Si stima che circa 10000 manifestanti erano scesi in piazza.[73] In seguito, il Palazzo del Podestà (oggi noto come "Palazzo del Bargello) venne assaltato. Dopo aver permesso al Podestà di fuggire incolume, nonostante ci fossero morti e feriti tra i rivoltosi e i difensori, la bandiera dell'Arte dei Fabbri (raffigurante due tenaglie) fu issata sulla sommità del palazzo, mentre alle finestre furono appese le insegne di tutte le altre Arti, tranne quella della Lana. Durante l'assalto, numerosi documenti contenuti nel palazzo furono dati alle fiamme con l'intento preciso di eliminare tracce di debiti e processi pendenti che coinvolgevano i rivoltosi.[74][75][76]

Stabilito nel Palazzo del Podestà il loro quartier generale, il popolo insorto presentò finalmente le sue petizioni ai Priori, che erano state preparate la sera precedente. Fondamentalmente, furono due: una da parte delle Arti e una da parte del popolo minuto, segno che, nonostante fossero scesi in piazza insieme, i due gruppi non erano così uniti.[77] I rappresentanti delle Arti chiesero in particolare che fossero ripristinate e rispettate le precedenti disposizioni degli Ordinamenti di Giustizia, che limitavano il potere della Parte Guelfa, e che coloro che erano stati "ammoniti" fossero reintegrati negli uffici pubblici.[78] Le richieste del popolo minuto furono più articolate. Oltre alle richieste relative a sgravi fiscali, alla sospensione dei procedimenti penali contro di loro e alla concessione, a spese del comune, di un luogo dove tenere le loro assemblee, chiesero soprattutto di potersi costituire in una propria Arte e che due Priori fossero scelti tra di loro, oltre a rivendicare il diritto che la carica di Gonfaloniere di Giustizia spettasse a turno anche a loro. Infine, chiesero l'abolizione dell'ufficiale forestiero della Lana, a cui era conferita l'autorità penale su di loro. Oltre alle richieste, è da notare che per la prima volta, il nome del popolo minuto era comparso in un atto pubblico ufficiale, sancendo una concretezza politica mai avuta prima.[79][80][81]

Nel frattempo, tra i Priori rinchiusi nel Palazzo Vecchio da due giorni, regnava la paura e l'incertezza sulle azioni da intraprendere. Già nella tarda mattinata, le petizioni richieste dalla folla furono accettate, ponendo la Signoria in una difficile situazione: doveva ora applicarle sotto la minaccia delle migliaia di Ciompi radunatisi in piazza. [82] Il Priore Guerriante Marignolli, fingendo di comunicare al popolo l'approvazione delle richieste, fuggì rifugiandosi a casa, contravvenendo così all'obbligo di risiedere nel Palazzo per tutto il mandato. Ciò generò confusione nel governo e, progressivamente, anche gli altri magistrati, inclusi il Gonfaloniere di Giustizia, decisero di ritornare alle proprie abitazioni. Senza la presenza dei Priori, le porte del Palagio furono aperte e il popolo vi fece ingresso senza spargimento di sangue.[83][84] L'unica vittima fu l'odiato bergello, messer Nuto, che nel suo ruolo di funzionario di polizia non si era risparmiato nel perseguitare i popolani; scovato dalla folla[N 4] venne impiccato per i piedi[85][86][87] e il suo corpo «tutto tagliato per pezzi; il minore pezzo non fu oncie sei».[88][89]

Il governo di Michele Lando[modifica | modifica wikitesto]

La statua di Michele di Lando presso la Loggia del Mercato Nuovo, Firenze

Dopo la caduta dei Priori, Firenze si trovò senza un governo costituito. Il 22 luglio, quando i rivoltosi presero il controllo del Palazzo Vecchio, avevano in loro possesso il Gonfalone di Giustizia, che era nelle mani di un tale chiamato Michele di Lando, identificato come un lavoratore della lana o forse un modesto capo di operai. Gli insorti decisero sorprendentemente che sarebbe stato proprio lui a ricoprire la carica di Gonfaloniere di Giustizia.[90][91] Il cronista Alemanno Acciaiuoli raccontò:[58]

«E uno Michele Lando, pettinatore overo che fusse sopra i pettinatori e sopra li scardassieri, fattore di bottega di lana, avea il gonfalone del popolo minuto in mano, cioè quello si cavò di casa lo executore, ed era in iscarpette senza calze; con questo gonfalone in mano entrò in palazzo con tutto il popolo che ìl volle seguitare, e su per le scale n'andò infino nella udienza de' priori, e quivi si fermò ritto. E a voce di popolo gli diedero la signoria, e vollono che fusse gonfaloniere di iustizia e signore.»

Nella sua cronaca, ser Nofri racconta dettagliatamente che durante l'entrata del popolo al palazzo, «Michele di Lando disse "volete che io faccia i fatti vostri?" il popolo che era alla ricerca di una guida gli rispose "sì", "Ora datemi questo gonfalone e seguitemi...". E così prese il gonfalone e venne seguito».[92] Questo gesto è interpretato da alcuni storici, come Victor Rutenburg, come parte di un piano orchestrato dal Popolo Grasso, che deliberatamente aveva fatto in modo che il gonfalone finisse nelle mani di Lando, infiltrato tra i rivoltosi, per perseguire i suoi fini.[93] Ad ogni modo, senza Priori, Lando si trovò a governare la città da solo per circa due giorni; le cronache riportano che «così tutto quello dì, infino all'altro dì a mezza nona, si può dire che questo Michele di Lando, pettinatore, fosse Signore di Firenze per XXVIII ore più», aggiungendo che questo sarebbe stato un «castigo di Dio» contro la città colpevole di aver mosso guerra contro il papa.[94][95] Poco si sa di Lando; sembra che al momento del tumulto avesse circa 35 anni, figlio di monna Simona venditrice di frutta e stoviglie nei pressi delle Stinche, ed era stato designato tra i Sindaci rappresentati del popolo minuto la sera prima a San Lorenzo.[96][97][98]

Come detto, la Signoria esclusiva di Lando durò solo per un paio di giorni, poiché si decise immediatamente di nominare tutti gli organi costituzionali del governo fiorentino. Prima di tutto, il Parlamento generale fu convocato per ratificare ufficialmente l'abbandono dei precedenti Priori. Successivamente, ne vennero nominati di nuovi, questa volta rappresentativi di tutte le classi sociali: tre erano scelti tra le Arti maggiori, tre tra quelle minori e tre (per la prima volta) tra il popolo minuto. Lando mantenne per sé il gonfalonierato.[99][100][101] Per proteggere il nuovo assetto istituzionale nato dalla rivoluzione, venne costituita una milizia popolare composta da 1500 balestrieri, suddivisi in drappelli da 25 ciascuno, scelti tra il popolo minuto e pagati dal Comune. Tuttavia, la loro paga giornaliera di 13 soldi era ben al di sotto della minima paga di un Ciompo, il che influenzò negativamente la loro efficienza tanto che molti di loro finirono addirittura per dare in pegno le proprie armi agli usurai pur di potersi sfamare.[102][103][104]

In seguito si procedette a realizzare uno degli obiettivi più importanti perseguiti dal popolo minuto: la creazione di un'Arte che li rappresentasse. Date le diverse figure presenti nel popolo minuto, si optò per la creazione di tre Arti: l'Arte dei Farsettai, l'Arte dei Tintori e l'Arte della Lana, quest'ultima essendo la più significativa in quanto comprendeva la maggioranza di coloro che avevano partecipato alle proteste, i Ciompi, che si facevano chiamare anche l'"Arte del Popolo di Dio". Queste tre nuove Arti raggruppavano complessivamente circa 13000 persone.[N 5][105]

Tutte e tre le nuove Arti si dotarono di uno stemma distintivo: i lanaioli adottarono quello di un angelo con la spada sguainata, lo stesso utilizzato trentacinque anni prima dagli stessi operai della lana riconosciuti dal governo del duca d'Atene, Gualtieri. Gli insigniti dell'Arte dei Tintori, invece, adottarono uno stemma con una mano che reggeva una spada con l'iscrizione "giustizia", mentre quelli dell'Arte dei Farsettai optarono per una mano con un ramo di ulivo e un panno rosso su sfondo bianco.[106] Poco si sa dell'organizzazione di queste nuove Arti poiché gli statuti andarono distrutti dopo la loro soppressione in una sorta di damnatio memoriae.[107][108] A questo punto, «riplasmata la comunità delle Arti, vennero dettati nuovi criteri per le procedure elettorali, con una ripartizione paritaria delle cariche fra i tre gruppi che ora formavano l'insieme delle corporazioni fiorentine: le 7 maggiori, le 14 minori e le 3 neocostituite».[103]

A questo punto, rimaneva solo da nominare tutti gli altri collegi e magistrature del complesso sistema di governo fiorentino. Dopo aver completato le operazioni di scrutinio, o "squittìnio" come si usava dire a Firenze all'epoca, le campane cittadine suonarono a festa e si recitò il Te Deum.[109][110] Il 26 luglio le botteghe ripresero, finalmente, le loro attività.[111]

Nei giorni successivi, il governo si adoperò per attuare una serie di riforme a favore del popolo minuto. Queste includono la soppressione della gabella sul grano e sulla farina, la riduzione della pressione fiscale, il controllo sulla svalutazione delle monete con cui venivano pagati i salari e l'abolizione dell'ufficiale forestiero dell'Arte della Lana, figura particolarmente odiata dagli operai. Avendo il sospetto che i lanaioli stessero pianificando una serrata, con un decreto del 3 agosto venne loro imposto di mantenere una produzione minima di 2000 panni al mese «sotto gran pena».[112][113][114]

Nonostante le iniziali promesse, la situazione a Firenze rimase instabile. Il governo fu costantemente bersagliato da parte delle crescenti richieste del popolo minuto, mentre Michele di Lando fu criticato sia per la sua vicinanza ad alcuni membri del più agiato popolo grasso (in particolare Salvestro de' Medici), sia per un atteggiamento considerato troppo moderato da molti. Già screditato agli occhi degli operai che rappresentava, fu costretto ad adottare misure repressive contro l'escalation di violenza che essi scatenavano, compiendo ritorsioni contro la nobiltà. Inoltre, anche il popolo delle vecchie Arti, mai del tutto convinto della rivoluzione che aveva comunque sostenuto, manifestò sempre più il proprio malcontento, mettendo in dubbio se «se avessero fatto bene ad affidare il governo a dei poveracci» i cui obiettivi erano spesso contrastanti.[115][116][17][117][118] Ulteriormente complicando le cose, nonostante le disposizioni del governo, molti lanaioli riuscirono a chiudere le botteghe, lasciando il popolo senza salario e in condizioni di estrema necessità. «La posizione dei Ciompi, che erano riusciti a dar vita ad un governo in cui per la prima volta sedevano i loro rappresentanti, risultava adesso estremamente complessa. Il tentativo di raggiungere l'uguaglianza venne frustrato, la loro illusione di una possibile collaborazione dei popolani grassi con quelli minuti risultò infondata. I Ciompi si trovavano ora a dover scegliere tra la morte per fame ed una nuova lotta».[119]

L'epilogo di fine agosto[modifica | modifica wikitesto]

Il popolo, insoddisfatto e preoccupato di essere stato tradito dallo stesso governo che aveva instaurato, tornò a prendere l'iniziativa. Il 27 agosto, in Piazza San Marco, un'assemblea molto partecipata istituì una commissione di otto uomini, detti gli "Otto Santi del popolo di Dio", appartenenti alla fazione più radicale dei Ciompi, con l'obiettivo che questi potessero esercitare un potere di controllo sugli stessi Priori costituendo una sorta di «governo ombra».[120][121][122][123]

Il 29 agosto si procedette alla nomina dei nuovi Priori che sarebbero dovuti entrare in funzione il primo di settembre ma prima che assumessero la carica la situazione degenerò. La mattina del 31 agosto due degli Otto Santi lasciarono la chiesa di Santa Maria Novella, dove avevano fissato la propria sede, per recarsi a Palazzo della Signoria per portare le nuove richieste provenienti dalla piazza. Tra queste vi era soprattutto il riconoscimento della prerogativa degli Otto sul controllo sopra tutti gli atti del governo; inoltre ai Priori venne chiesti di rinnovare il giuramento verso il popolo. A tali richieste lo stesso Michele di Lando reagì violentemente: prese una spada, ferì i due emissari e li fece gettare in prigione.[124]

Tale azione mise in subbuglio la piazza aizzata da Lando che accusò gli Otto di essere stati loro a tradire i Ciompi e non lui. I Priori allora ordinarono che tutte le Arti portassero a Palazzo il proprio gonfalone e tutte obbedirono tranne l'Arte del popolo di Dio che ormai fortemente sospettoso temeva che tale richiesta nascondesse un complotto contro di lui.[125][126] I rappresentanti della vecchia oligarchia avevano fatto cerchio tra di loro per isolare la fazione dei Ciompi, ormai disgregata internamente e abbandonata dallo stesso Michele di Lando.[127][128][17]

Quando gli scontri iniziarono un numeroso gruppo di Ciompi, stabilitisi in piazza della Signoria, fu cacciato con facilità dalle forze combinate delle altre arti forti anche del supporto del governo che fece scagliare frecce e pietre dal Palazzo contro di loro. Alla rappresaglia contro il popolo della Lana presero parte anche le due nuove Arti, quella dei Tintori e quella dei Farsettai, segno di come fossero stati traditi dagli stessi con cui avevano condiviso poco più di un mese prima la rivolta. Il giorno successivo la sconfitta dei Ciompi fu oramai chiara: i due Priori che li rappresentavano si dimisero per salvarsi la vita, la milizia popolare fu disarmata e sciolta e il gonfalone che li rappresentava venne gettato in piazza e calpestato.[N 6] Abolita ufficialmente l'Arte della Lana e quindi estromessi i Ciompi dal Priorato e da qualsiasi possibilità di accedere alle cariche di governo, Firenze si trovò nuovamente sotto il controllo delle Arti tradizionali (con la, momentanea, aggiunta di quelle dei Tintori e dei Farsettai tra le Minori).[129][121]

Conseguenze e storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Eventi successivi[modifica | modifica wikitesto]

A settembre scoppiò la violenta reazione contro i Ciompi.[130] Il 10 settembre vennero fatte portare a Palazzo tutte le bandiere delle Arti, ovviamente senza quella dei Ciompi, per poi essere restituite solennemente.[131] Il giorno seguente vennero messi a morte, dopo un processo sommario, in piazza della Signoria due degli Otto Santi del Popolo che si erano recati dai Priori e poi aggrediti da Lando.[132] Nei giorni seguenti vi furono altre condanne a morte ma molti di coloro che si erano distinti nel tumulto riuscirono a fuggire e a salvarsi.[133] Michele Lando, già accusato dai popolani di averli traditi, affrontò l'accusa di baratteria ma ne fu prosciolto il 25 settembre con sentenza dell'Esecutore di Giustizia. Successivamente ebbe diversi incarichi pubblici al di fuori di Firenze.[134]

Le Arti dei Tintori e dei Farsettai, sopravvissute alla caduta dei Ciompi, vennero comunque sciolte entro il 1382, riprendendo i loro addetti nel seno della maggiore Arte della Lana. Nello stesso anno venne anche reintrodotto l'ufficiale forestiero della Lana sebbene con poteri inferiori, tra cui gli fu fatto divieto di ricorrere alla tortura.[135] Il controllo delle grandi famiglie sulla vita politica cittadina di Firenze durò fino alla metà del Quattrocento, quando i Medici instaurarono, con ritardo rispetto ad altre analoghe situazioni in Italia, una Signoria di fatto.

Storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Niccolò Machiavelli parlò del tumulto dei Ciompi nelle sue Istorie fiorentine

Nonostante che tutto, o quasi, fosse tornato come prima del tumulto, gli eventi dell'estate del 1378 lasciarono un profondo solco nell'anima dei fiorentini «il cui stato d'animo si trovò sospeso tra l'incredulità e il terrore come testimoniato dai numerosi resoconti che ci sono pervenuti».[136]

Le cronache coeve, i cui autori appartenevano alle classi più elevate della società fiorentina, unanimemente presentano un giudizio avverso alla causa dei Ciompi con un sola eccezione, il cosiddetto "diario dello Squittinatore". La notizia circa l'esistenza di questo, anonimo, diario si ebbe grazie alla ricerca dello storico Pio Carlo Falletti, mentre l'attributo "dello Squittinatore" si deve a Giuseppe Odoardo Corazzini per il fatto che l'autore fu di fatto presente allo squittinio (come all'epoca si chiamava lo scrutinio) di agosto. Oltre per parteggiare apertamente per i Ciompi, ha destato particolare attenzione le commosse parole che egli dedicò alle vittime occorse tra le fila del popolo minuto e in particolare ai giustiziati di settembre di cui raccolse le ultime parole.[137] Le altri contemporanee furono di tutt'altro tenore. Se nella cronaca copponiana si afferma che il tumulto fosse stato un castigo di Dio per la partecipazione di Firenze alla guerra contro il Papa, Alemanno Acciaiuoli nei suoi racconti non si risparmiò di affermare che i rivoltosi «si credevano certi di avere a riformare la città eglino, ma la speranza e il pensiero fallì loro, perché il popolo minuto volle essere signore lui».[138] Anche Filippo Villani dette una viva descrizione del fallimento del tumulto: «i Ciompi se ne andarono sì come gente rotta, et senza capo et sentimento, perché si fidavano et furono traditi da loro medesimi». Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine raccontò la rivolta con una serie di didascalie e dialoghi inventati che riflettevano le posizioni dei protagonisti, mutuate attraverso il suo punto di vista focalizzando la narrazione sull'opposizione tra i poveri e i ricchi come fondamento della rivolta.[139] Nei secoli successivi, l'interesse verso il tumulto dei Ciompi scemò, con l'importante eccezione degli eruditi e storici settecenteschi Ludovico Antonio Muratori e Ildefonso di San Luigi Gonzaga.[140]

Interesse che però tornò ad accendersi verso la metà del XIX secolo anche per via di alcune possibili similitudini con il tema dello scontro di classe che contraddistinse buona parte del dibattito sociologico e politico del tempo.[141] A titolo di esempio, lo scrittore e patriota Gabriele Rosa se ne occupò nel 1848, nel 1873 venne presentata una caratterizzazione socio economica del tumulto mentre, due anni dopo, Pio Carlo Fossati ne analizzò gli aspetti storico sociali. L'impresa dei Ciompi non sfuggì nemmeno a Karl Marx che la analizzò attraverso il racconto di Gino Capponi. Nel 1904 Alfredo Doren, esperto di economia medievale, ne tratteggiò i tratti peculiari nella sua storia delle corporazioni fiorentine e dell'arte della lana (Studien aus der Florentiner Wirtschaftsgeschichte); nel 1934 Gino Scaramella, autore anche della relativa voce per l'enciclopedia Treccani, presentò un suo lavoro riguardo alle cronache sul tumulto. Altri lavori degni di nota risalenti alla prima metà del XX secolo furono quelli degli storici ed economisti Georges Renard, Romolo Caggese, Alfredo Oriani, Pietro Orsi, Niccolò Rodolico, Victor Rutenburg.[142]

Analisi storica[modifica | modifica wikitesto]

Fin dal principio, il tumulto dei Ciompi ha suscitato diverse interpretazioni da parte dei cronisti prima e dagli storici poi. In particolare l'attenzione si è posta sul ruolo e le ambizioni del popolo minuto negli eventi. Gran parte delle cronache del tempo fanno intendere che i Ciompi furono poco più che delle pedine in mano al popolo Grasso per realizzare i propri fini. In particolare, in molti sottolineano di come il tumulto sia stato in realtà il risultato di un preciso disegno da parte della magistratura degli Otto Santi, a cui Salvestro de' Medici fu molto vicino, studiato in un momento in cui si trovò in difficoltà a causa della guerra contro lo Stato Pontificio e la forte opposizione di Parte Guelfa. A tal proposito lo storico sovietico Victor Rutenburg osservò di come lo stesso Michele di Lando, fin dal principio, non fosse altri che un "infiltrato" a servizio del popolo grasso incaricato di gestire il potere una volta che la rivolta avesse sortito il suo effetto. La sua storia, il modo con cui ottenne in gonfalonierato, il presunto tradimento e gli incarichi pubblici che ottenne successivamente fuori Firenze potrebbero essere indizi a favore di tale tesi.[143]

Sempre su tale scia, in molti hanno analizzato l'azione dei Ciompi, dividendosi tra chi lo ha interpretato come uno tra i tanti episodi di lotta tra fazioni contrapposte tipiche della vita comunale del basso medioevo «negando agli insorti coesione sociale e coscienza politica» suggerendo che questi fossero soltanto manipolati dalle oligarchie cittadine e chi invece ne riconobbe «un'autonoma iniziativa» dei rivoltosi. A sostegno di quest'ultima tesi si possono considerare le petizioni, frutto di diverse assemblee segrete tenutesi fin da prima dello scoppio del tumulto, presentate ai Priori che senza alcun dubbio furono chiare, organiche e articolate.[144] Lo storico Alessandro Barbero, nell'introduzione del suo saggio del 2023 All'arme! All'arme! I priori fanno carne!, a proposito del tumulto dei Ciompi e delle altre rivolte popolari del XIV secolo, ha sottolineato che «per molto tempo gli storici hanno visto nel loro fallimento non solo la prova che i rivoltosi non avevano nessuna possibilità di riuscire, ma che non perseguivano neppure un obiettivo consapevole. Nulla di più falso: i rivoltosi sapevano quello che stavano facendo, avevano rivendicazioni precise e si battevano consapevolmente per realizzarle».[145]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative
  1. ^ Gli altri arrestati furono Pagolo del Bodda e Lorenzo Ricomanni. In Rutenburg, 1971, p. 202.
  2. ^ È ancora Acciaiuoli a riportare ciò che Niccolò gridò per le strade: «"A l'arme!, a l'arme!; i priori fanno carne e gl'hanno mandato e fatto venire ser Nuto bargello in palagio; armatevi cattiva gente, se non che tutti sarete morti». In Rutenburg, 1945, p. 209 e in Barbero, 2023, pp. 62-63.
  3. ^ Secondo la cronaca di un anonimo: «... i soldati non si muovevano, anzi stavano a vedere». In Rutenburg, 1971, p. 211.
  4. ^ Singolare il racconto di come i rivoltosi riuscirono a trovare il bergello che nel frattempo si era rifugiato in una delle taverne di via Vinegia. Dopo che un garzone gli aveva raso barba e capelli in una bottega di via dei Leoni, un suo servitore gli chiese «ser Nuto, quanto gli devo dare?» palesando così la sua identità. Il garzone riferì di quanto appreso al padrone che a sua volta diffuse la voce. Ser Nuto tentò di nascondersi sotto un letto, ma qui venne scovato e trascinato fuori con la forza. In Rutenburg, 1971, pp. 229-230.
  5. ^ Riguardo alla composizione di queste nuove Arti, di quella dei Tintori ne fecero parte anche i saponai, cardatori, lavandai di sudicio, alcune categorie di tessili; tra i Farsettai invece vi erano anche sarti e calzolai. Entrambe contavano circa 4000 persone ciascuna, mentre l'Arte dei Ciompi (o del Popolo di Dio) ne contava circa 5000 Rutenburg, 1971, p. 250.
  6. ^ Nel diario dell'anonimo "Squittinatore" si riporta che «fu tutta istracciata e gittata via, e saltatovi su co' piè». In Rodolico, 1945, p. 174.
Bibliografiche
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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